Solo una società che si cura è una società sicura
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di Marco Bersani
Attac italia
Viviamo dentro una società organizzata intorno al mito dell’autonomia dell’individuo, del self-made man, dell”uomo che non deve chiedere mai’ e che attraversa la sua vita in diretta competizione con quella degli altri. Una società che ha trasformato il diritto al lavoro nel dovere di dimostrarsi occupabili e i beni comuni in beni economici da comprare sul mercato.
Dentro questa frantumazione dei legami sociali, il modello dominante non dispone né di una pratica efficace, né di un vocabolario per la cura. Per questo persegue il mito onnipotente della sicurezza, parola che deriva da sine cura, senza preoccupazioni, e contrasta la curiosità, parola che serve a significare colei o colui che si cura di qualcosa.
Eppure viviamo in un’epoca di crisi drammatiche che rendono evidente la necessità di un’inversione di rotta politica e culturale.
Siamo immersi dentro una crisi eco-climatica senza precedenti. Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato a livello globale e il primo anno solare la cui temperatura media globale ha superato di 1.5 C il livello preindustriale. Limitandoci agli effetti sul nostro Paese, questo ha significato qualcosa come 351 eventi meteorologici estremi, con un aumento esponenziale (+485%) negli ultimi dieci anni(1). Si è trattato soprattutto di danni da siccità prolungata, da esondazioni fluviali e da allagamenti dovuti a piogge intense.
Una situazione ormai “strutturale” che richiederebbe strategie di intervento capaci di guardare all’interesse collettivo e di medio e lungo respiro, ovvero l’esatto contrario del qui ed ora, su cui si basa la ricerca del profitto del modello dominante.
Siamo immersi dentro una diseguaglianza sociale la cui forbice non ha precedenti nella storia dell’umanità e che stride ferocemente con una capacità di produzione di ricchezza che permetterebbe a tutte le persone del pianeta una vita degna.
Come ci ricorda l’ultimo rapporto di Oxfam(2) , nel 2024 la ricchezza dei miliardari è cresciuta in termini reali, nel mondo, di 2.000 miliardi di dollari, pari a circa 5,7 miliardi di dollari al giorno, a un ritmo tre volte superiore rispetto all’anno precedente. Il numero di persone che oggi vivono in povertà, con meno di 6,85 dollari al giorno, è rimasto pressoché invariato rispetto al 1990 e, alle tendenze attuali, ci vorrebbe più di un secolo per portare l’intera popolazione del pianeta sopra tale soglia.
Diseguaglianza evidente anche in Italia, dove il 5% più ricco delle famiglie, titolare del 47,7% della ricchezza nazionale, possiede quasi il 20% in più della ricchezza complessivamente detenuta dal 90% più povero.
Questa diseguaglianza è assolutamente certificata da altri dati che riguardano tanto l’istruzione quanto la sanità.
Per quanto riguarda l’istruzione(3), l’Italia è tra i cinque Paesi dell’Unione europea che meno spende per l’istruzione (4,1% del Pil rispetto al 4,7% della media europea), e questo incide fortemente sui dati della povertà familiare assoluta che, mentre se la persona di riferimento è in possesso di un diploma si attesta sul 4,6%, in caso di licenza media balza al 12,3%.
Per quanto riguarda la sanità, il nostro Paese, grazie a decenni di politiche liberiste è riuscito a far deragliare un Sevizio Sanitario Nazionale che fino all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso era uno dei migliori al mondo. I risultati sono di nuovo evidenti e li illustra il CNEL nella Relazione 2024 sui servizi pubblici(4) : sono 4,5 milioni le persone che nel nostro Paese hanno rinunciato a curarsi per problemi economici, lunghe liste d’attesa o difficoltà a raggiungere i luoghi di erogazione del servizio. Si tratta del 7,6% della popolazione italiana, in netto aumento rispetto agli anni pre-pandemia (6,3% nel 2019).
La spesa pubblica in sanità continua ad essere una delle più basse in Europa (75,6% rispetto alla media europea) e comporta il contraltare di una spesa privata per le persone che ha superato i 40 miliardi. Il definanziamento del pubblico costituisce una spinta potentissima alla privatizzazione, che ha ormai raggiunto il 27,1% dell’insieme delle attività di ricovero.
Non si tratta tuttavia “solo” di una grave insufficienza di risorse a disposizione, ma di un disegno preciso in direzione dello smantellamento del servizio pubblico, basato soprattutto sulla drastica riduzione del personale: nel periodo 2012-2023 il capitolo di spesa sanitaria relativo ai redditi da lavoro dipendente è stato quello maggiormente sacrificato, passando dal 33,5% della spesa complessiva del 2012 al 30,6% del 2023, con una riduzione di 28 mld.
L’insieme di questi dati indica con evidenza quali siano le urgenze del nostro Paese. Serve una pianificazione sociale democratica capace di affrontare i grandi temi della conversione ecologica del sistema produttivo, della produzione e consumo di energia, della mobilità. Serve una riappropriazione sociale dei beni comuni naturali -acqua, energia e territorio- e dei beni comuni sociali -istruzione, sanità, abitare, previdenza, servizi di cura. E serve un’inversione di rotta sulla politica fiscale, capace di far pagare ai ricchi i costi dell’insieme di queste trasformazioni.
In altre parole, serve mettere il paradigma della cura -di sé, dell’altra e dell’altro, del vivente e del pianeta- al centro del pensiero politico e il paradigma del “prendersi cura con” al centro di una nuova e differente democrazia.
Nulla di tutto questo si intravede all’orizzonte, a partire dalle politiche dell’Unione europea e da quelle del governo Meloni in Italia.
Entrambe le realtà istituzionali sembrano aver interiorizzato l’idea dell’inamovibilità del capitalismo come orizzonte globale e dei grandi interessi finanziari come motore sociale.
Solo così si spiega la pervicacia con la quale l’Unione europea ha reintrodotto il patto di stabilità e le relative politiche di austerità a dispetto di tutte le evidenze che, al contrario, evidenziano la necessità di un fortissimo intervento pubblico, socialmente partecipativo, per mettere in campo strategie in grado di affrontare le contraddizioni di cui sopra.
Solo così si spiega la retorica sovranista del governo Meloni che, mentre a livello internazionale si accoda a tutti i poteri forti -dai diktat della Commissione europea ai disegni della nuova internazionale nera promossa da Trump e Elon Musk- a livello nazionale persegue politiche a favore delle grandi imprese e dei grandi fondi finanziari, contrasta ogni politica di conversione ecologica (compreso il pur timido e criticabile New Green Deal) e cerca di silenziare dissenso e conflitto sociale con normative autoritarie e liberticide.
Soprattutto, tanto l’Unione europea quanto il governo Meloni sembrano allineati nella trasformazione dell’assetto sociale in una nuova economia e società di guerra, illudendosi di rinviare- a costi sociali ed ecologici altissimi- le insuperabili contraddizioni che il capitalismo finanziarizzato porta con sé.
Ed ecco allora l’enorme aumento del bilancio della Difesa, che nel 2025 si appresta a superare il record storico e ad attestarsi sopra i 32 miliardi di euro, con stanziamenti che superano del 7,1% quelli dello scorso anno. Se teniamo conto del fatto che nel 2016 il bilancio della Difesa era poco più di 19 mld e che nel 2021 era poco più di 24 mld, si ha la dimensione dell’aumento esponenziale verificatosi (+61% in dieci anni).
Va peraltro sottolineato come quasi 13 miliardi dello stanziamento complessivo saranno destinati all’industria per l’acquisizione di nuovi armamenti, con un aumento del 77% negli ultimi cinque anni. E, come se tutto ciò non bastasse, sono state avviate in Consiglio europeo e in sede Nato le consultazioni dei paesi Ue e dei paesi dell’Alleanza Atlantica per arrivare a giugno 2025 a un accordo per investire nel settore degli armamenti una quota che parta da un minimo corrispondente al 3% del Pil ad un massimo che raggiunga addirittura il 5% del Pil.
Questo è il quadro che abbiamo di fronte. Un quadro che ci dice come il tempo che stiamo attraversando richieda scelte di campo nette e radicali. Si tratta di decidere se continuare a stare dentro un modello economico, finanziario e militare che porta alla rottura degli equilibri che fanno della Terra un luogo abitabile, che trasforma la democrazia in dominio del più forte, che seleziona le esistenze in vite degne e vite da scarto o lottare per una società che metta la centro la vita e la sua dignità, che sia consapevole di essere interdipendente con la natura, che costruisca sul valore d’uso le sue produzioni, sul mutualismo i suoi scambi, sull’uguaglianza le sue relazioni e sulla partecipazione le sue decisioni.
Si tratta di decidere fra la Borsa e la vita. E scegliere la vita. Tutte e tutti assieme, la vita.
1- Osservatorio Città Clima Bilancio finale 2024 a cura di Legambiente
2- Disuguaglianza. Povertà ingiusta e ricchezza immeritata – gennaio 2025 – a cura di Oxfam Italia
3- https://www.openpolis.it/la-spesa-per-listruzione-in-italia-e-in-ue/
4- https://static.cnel.it
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