Sono una madre e una giornalista di Gaza. Il futuro è molto incerto
Islam Imad Al-Zaanoun condivide la sua storia personale di giornalista durante il genocidio di Gaza, dopo essere sopravvissuta a stento alla nascita di sua figlia.
Fonte: English version
di Islam Imad Al-Zaanoun, 25 febbraio 2025
Immagine di copertina: : Settimane prima del parto, mentre continuavo a lavorare come reporter sul campo, ho rischiato di perdere il mio bambino non ancora nato e la mia stessa vita”, scrive Islam Imad Al-Zaanoun. [GETTY]
Mentre il cessate il fuoco stenta a reggere e Gaza è in macerie, gli echi del genocidio a cui siamo sopravvissuti sono più forti che mai.
Come giornalista e neomamma che ha partorito in mezzo a rumori di sfollamento ed esplosioni, nulla avrebbe potuto prepararmi a ciò a cui sono sopravvissuta.
Riflettendo sugli oltre 15 mesi di attacchi israeliani, mi rendo conto di aver svolto i due lavori più pericolosi a Gaza: il giornalismo e la maternità. Tuttavia, la mia storia è quella di innumerevoli altre donne che affrontano i rischi più elevati mentre gli aiuti e il sostegno continuano a essere negati nella Striscia.
Prima del 7 ottobre, stavo pregustando il momento in cui avrei accolto mia figlia nel mondo, mentre mi preparavo per il parto. Ora, quando ripenso alla mia gravidanza e alla sua nascita, ricordo gli orrori e le difficoltà che nessuno dovrebbe essere costretto a sopportare.
Settimane prima del parto, mentre continuavo a lavorare come reporter sul campo, ho rischiato di perdere la mia bambina non ancora nata e la mia stessa vita. Poiché avevo già subito due parti cesarei, sapevo che qualsiasi ritardo nel parto avrebbe potuto metterci in pericolo, ma nonostante questo non potevo smettere di mostrare al mondo la realtà del genocidio.
Non appena finivo di coprire un massacro, ne avveniva un altro, senza che avessi la possibilità di rassicurarmi sui miei figli e sulla mia bambina non ancora nata. Ma ogni volta che mi precipitavo a casa per abbracciare i miei due figli dopo il lavoro, mi balenava costantemente nella mente l’immagine straziante del feto che moriva in un attacco aereo israeliano mentre era ancora legato alla madre dal cordone ombelicale.
Anche il fatto che gli ospedali fossero pieni di feriti che si accalcavano sui pavimenti a causa dell’impossibilità di accogliere il numero considerevole di persone, era un aspetto che mi preoccupava continuamente. Durante il genocidio, infatti, era raro trovare spazio negli ospedali per le madri in attesa e le cure dovevano essere effettuate in fretta e furia, il che spesso significava che erano inadeguate.
I medici hanno fatto del loro meglio, ma le stanze e i letti sono stati invasi dai feriti e dai morti.
Quando finalmente ho potuto essere visitata al nono mese di gravidanza, avevo perso così tanto peso che ho dovuto essere indirizzata a un altro ospedale. Ho pensato alle migliaia di donne che attendono il loro destino dovendo partorire senza alcuna sicurezza e con poche attrezzature, risorse e cure.
Poiché ho avuto una gravidanza ad alto rischio, il giorno della nascita della mia bambina la cosa più importante per me era avere una sala operatoria vuota, anche se sarebbe stato un lusso visto che ero in una lunga lista d’attesa.
Mentre aspettavo il mio turno, un edificio residenziale vicino all’ospedale ha ricevuto un allarme bomba. Tutto il personale medico si affrettò a trasferire i pazienti in altri reparti. Dopo qualche ora, un’infermiera mi ha portato a piedi in sala operatoria.
Una volta salita da sola sul tavolo operatorio, le porte sono state chiuse e l’équipe medica ha iniziato a prepararmi per l’anestesia spinale. Mi è stato detto che non era facoltativa. Poi, mentre iniziava a fare effetto, si sono spente improvvisamente le luci e l’aria condizionata.
“La sterilizzazione non è più necessaria”, ho sentito dire dai medici mentre ero sdraiata in preda alla paura più totale, ricordando il profumo della morte. Fu il pensiero dei miei figli e della bambina ancora dentro di me a darmi coraggio. Chiesi al medico di procedere con l’operazione. L’incisione è stata fatta con le torce del telefono.
La mia bellissima figlia Judy è nata durante un genocidio, al suono delle esplosioni, nello stress, nella paura e con una madre che alla fine dell’operazione era in bilico tra la vita e la morte. Dopo di che, l’incubo è continuato con lo sfollamento e la mancanza di una casa. Non avevamo nulla, nemmeno i vestiti.
Uccidere i giornalisti
A due mesi dal parto sono dovuta tornare al lavoro. Ho dovuto accettare un lavoro extra con un altro canale di notizie per sopravvivere alle spese salite alle stelle a causa della guerra e perché anche mio marito aveva perso il lavoro.
Mentre ero ancora una volta sfollata, mi è sembrato di vedere più chiaramente la portata della distruzione di Gaza. A un certo punto, mi sono trovata in un’area che avevo visitato prima dell’attacco di Israele, ma che non riuscivo più a riconoscere. Non ho visto una sola casa in piedi, né una strada nel suo stato originario; mi sembrava di aver attraversato una città fantasma.
Fu in quel momento che desiderai che la terra mi inghiottisse completamente. Il peso di ciò a cui la mia mente stava assistendo era insopportabile. Il mio cuore si è frantumato e il mio respiro si è accorciato, ma dovevo concentrarmi sulla sicurezza dei miei figli.
La cosa peggiore è che il bersaglio dei giornalisti è una delle strategie più comuni di Israele, e il numero di martiri a Gaza è stato il più alto in qualsiasi guerra della storia recente. Il bilancio delle vittime ha superato i 160 palestinesi e i feriti sono stati decine. Per questo motivo, le persone intorno a noi avevano paura di starci vicino. Quando qualcuno ha scoperto che lavoravo nei media, ha chiesto a me e alla mia famiglia di andarcene.
Durante i mesi di sfollamento forzato ho dovuto nascondere il fatto di essere una giornalista per il bene dei miei figli, in modo che potessero avere un posto caldo dove vivere.
Ora, anche dopo l’accordo di cessate il fuoco, siamo di nuovo sfollati. Sono preoccupata per il futuro.
Ho lavorato in condizioni terrificanti e in condizioni di estrema costrizione per tutta la durata della guerra di Israele contro Gaza e, se questa riprenderà, farò di nuovo lo stesso. Non credo che esista un giornalista al mondo che abbia coperto un genocidio come questo per un periodo così lungo, senza interruzioni. Né credo che il mondo abbia mai assistito a un genocidio più brutale di quello che stiamo affrontando.
Vorrei poter scrivere di cose che esistevano e che mi piacevano, come la mia bella casa, il mio giardino, gli alberi, o anche i nuovi vestiti della mia bambina e le esperienze di crescita – ma tutto è stato distrutto dai bombardamenti aerei.
Anche se i bombardamenti rallentano e i droni non sono più in volo, lo sfollamento di massa, la sofferenza e la preoccupazione sono intorno a noi. Ci hanno lasciato solo ricordi sbiaditi che stanno lentamente scomparendo mentre siamo consumati dalla nostra dura realtà.
Ogni giorno, anche quando portiamo una nuova vita nel mondo, cerchiamo sicurezza, riparo e cibo, mentre lottiamo per rimanere in vita.
Islam Imad Al-Zaanoun è una giornalista di Gaza News e una reporter della Palestinian Broadcasting Corporation e di Palestine TV a Gaza.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org
28/2/2025 https://www.invictapalestina.org
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