Sorveglianze e interferenze: svelata la guerra segreta di Israele alla Corte Penale Internazionale

di Yuval Abraham e Meron Rapoport,   

+972 Magazine, 28 maggio 2024. 

Alti funzionari del governo e della sicurezza israeliani hanno supervisionato un’operazione di sorveglianza durata nove anni che ha preso di mira la CPI e i gruppi palestinesi per i diritti, nel tentativo di ostacolare un’indagine sui crimini di guerra, come rivela un’indagine congiunta.

Per quasi un decennio, Israele ha sorvegliato alti funzionari della Corte Penale Internazionale (CPI) e operatori palestinesi per i diritti umani, nell’ambito di un’operazione segreta volta a ostacolare l’indagine della CPI su presunti crimini di guerra: lo rivela un’inchiesta congiunta di +972 Magazine, Local Call e il Guardian.

L’operazione multi-agenzia, che risale al 2015, ha visto la comunità di intelligence israeliana sorvegliare regolarmente l’attuale procuratore capo della Corte Karim Khan, la precedente procuratrice Fatou Bensouda e decine di altri funzionari della CPI e delle Nazioni Unite. L’intelligence israeliana ha anche monitorato il materiale che l’Autorità Palestinese presentava all’ufficio del procuratore e ha sorvegliato i dipendenti di quattro organizzazioni palestinesi per i diritti umani le cui denunce sono al centro dell’indagine.

Secondo le fonti, l’operazione segreta ha mobilitato le più alte cariche del governo israeliano, la comunità dei servizi segreti e i sistemi legali civili e militari al fine di far deragliare l’indagine della CPI.

Le informazioni di intelligence ottenute attraverso questa sorveglianza sono state trasmesse a un gruppo segreto di avvocati e diplomatici del governo israeliano, che si sono recati all’Aia per incontri riservati con funzionari della CPI nel tentativo di “fornire [alla procuratrice capo] informazioni che le avrebbero fatto dubitare del suo diritto di occuparsi di questa questione”. L’intelligence è stata utilizzata anche dall’esercito israeliano per aprire retroattivamente indagini su incidenti che interessavano la CPI, per cercare di dimostrare che il sistema legale israeliano è in grado di rendere conto del proprio operato.

Inoltre, come riporta oggi il Guardian, il Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana, ha condotto un’operazione parallela che ha cercato di ottenere informazioni compromettenti su Bensouda e sui suoi familiari più stretti, nell’evidente tentativo di sabotare l’indagine della CPI. L’ex capo del Mossad, Yossi Cohen, ha tentato personalmente di “arruolare” Bensouda e di manipolarla affinché assecondasse i desideri di Israele, secondo quanto riferito da fonti che hanno familiarità con le sue attività, facendo temere l’allora procuratrice per la sua sicurezza personale.

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu con Yossi Cohen, allora capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, durante una conferenza stampa al Ministero degli Esteri a Gerusalemme, il 15 ottobre 2015. (Miriam Alster/Flash90)

La nostra inchiesta si basa su interviste a più di due dozzine di attuali ed ex funzionari dell’intelligence e del governo israeliano, ex funzionari della CPI, diplomatici e avvocati che hanno familiarità con il caso della CPI e con gli sforzi di Israele per minarla. Secondo queste fonti, inizialmente l’operazione israeliana ha tentato di impedire alla Corte di aprire un’indagine penale completa; dopo che un’indagine completa è stata avviata nel 2021, Israele ha cercato di assicurarsi che non arrivasse a nessun risultato.

Inoltre, secondo diverse fonti, gli sforzi subdoli di Israele per interferire con le indagini – sforzi che potrebbero configurare reati contro l’amministrazione della giustizia, punibili con una pena detentiva – sono stati gestiti dall’alto. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu si sarebbe interessato molto all’operazione, inviando persino alle squadre di intelligence “istruzioni” e “aree di interesse” per il monitoraggio dei funzionari della CPI. Una fonte ha sottolineato che Netanyahu era “ossessionato, ossessionato, ossessionato” dallo scoprire quali materiali ricevesse la CPI.

Il Primo Ministro aveva buone ragioni per essere preoccupato: la settimana scorsa, Khan ha annunciato che il suo ufficio sta cercando di ottenere mandati di arresto per Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant, così come per tre leader delle ali politiche e militari di Hamas, in relazione a presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi il 7 ottobre o successivamente. L’annuncio ha chiarito che ulteriori mandati – che espongono all’arresto le persone incriminate nel caso in cui si rechino in uno dei 124 stati membri della CPI – potrebbero essere ancora emessi.

Per i vertici di Israele, l’annuncio di Khan non è stato una sorpresa. Negli ultimi mesi, la campagna di sorveglianza sul procuratore capo “è salita in cima all’agenda”, secondo una fonte, dando così al governo una conoscenza anticipata delle intenzioni di Khan.

Cosa particolarmente significativa, nelle sue dichiarazioni Khan ha lanciato un avvertimento criptico: “Insisto che tutti i tentativi di ostacolare, intimidire o influenzare impropriamente i funzionari di questo tribunale devono cessare immediatamente”. Ora siamo in grado di rivelare (almeno in parte) i dettagli di ciò contro cui il procuratore stava mettendo in guardia: La “guerra” di nove anni di Israele contro la Corte Penale Internazionale.

“I generali avevano un grande interesse personale nell’operazione”.

A differenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIG), che si occupa della legalità delle azioni degli stati – e che la scorsa settimana ha emesso una sentenza che invita Israele a fermare la sua offensiva nella città più meridionale di Gaza, Rafah, nel contesto della petizione del Sudafrica che accusa Israele di aver commesso un genocidio nella Striscia – la CPI si occupa di specifici individui sospettati di aver commesso crimini di guerra.

Israele ha a lungo sostenuto che la CPI non ha la giurisdizione per perseguire i leader israeliani perché, come gli Stati Uniti, la Russia e la Cina, Israele non è un firmatario dello Statuto di Roma che ha istituito il tribunale, e la Palestina non è uno Stato membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Tuttavia, la Palestina è stata riconosciuta come membro della CPI al momento della firma della convenzione nel 2015, dopo essere stata ammessa tre anni prima all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come Stato Osservatore non membro.

Palestinesi riuniti per assistere al discorso del presidente Mahmoud Abbas volto a ottenere lo status di “Stato Osservatore non membro” alle Nazioni Unite, proiettato sul muro di separazione israeliano nella città cisgiordana di Betlemme, il 29 novembre 2012. (Ryan Rodrick Beiler/Activestills)

L’ingresso della Palestina nella Corte Penale Internazionale è stato condannato dai leader israeliani come una forma di “terrorismo diplomatico”. “È stato percepito come il superamento di una linea rossa, e forse la cosa più aggressiva che l’Autorità Palestinese abbia mai fatto nei confronti di Israele nell’arena internazionale”, ha spiegato un funzionario israeliano. “Essere riconosciuti come Stato all’ONU è bello, ma la Corte Penale Internazionale è un meccanismo con i denti”.

Subito dopo essere diventata membro della Corte, l’Autorità Palestinese ha chiesto all’ufficio del procuratore di indagare sui crimini commessi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, a partire dalla data in cui lo Stato di Palestina ha accettato la giurisdizione della Corte: 13 luglio 2014. Fatou Bensouda, all’epoca procuratrice capo, ha avviato un esame preliminare per determinare se i criteri per un’indagine completa erano soddisfatti.

Temendo le conseguenze legali e politiche di un’eventuale azione penale, Israele si è affrettato a preparare squadre di intelligence dell’esercito, dello Shin Bet (intelligence interna) e del Mossad (intelligence estera), insieme a una squadra segreta di avvocati militari e civili, per guidare lo sforzo di impedire un’indagine completa della CPI. Tutto questo è stato coordinato dal Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC) di Israele, la cui autorità deriva dall’Ufficio del Primo Ministro.

“Tutti, l’intero establishment militare e politico, erano alla ricerca di modi per contrastare il caso dell’Autorità Palestinese”, ha detto una fonte dell’intelligence. “Tutti hanno contribuito: il Ministero della Giustizia, il Dipartimento Militare di Diritto Internazionale [parte dell’Ufficio dell’Avvocato Generale Militare], lo Shin Bet, l’NSC. [Tutti] vedevano la CPI come qualcosa di molto importante, come una guerra che doveva essere combattuta e dalla quale Israele doveva essere difeso. La situazione era descritta in termini militari”.

L’esercito non era un candidato ovvio per unirsi agli sforzi di raccolta di informazioni dello Shin Bet, ma aveva una forte motivazione: evitare che i suoi comandanti fossero costretti a subire un processo. “Quelli che volevano davvero [unirsi allo sforzo] erano gli stessi generali dell’IDF: avevano un interesse personale molto grande”, ha spiegato una fonte. “Ci è stato detto che gli alti ufficiali avevano paura di accettare incarichi in Cisgiordania perché temevano di essere perseguiti all’Aia”, ha ricordato un altro.

Secondo numerose fonti, il Ministero degli Affari Strategici israeliano, il cui obiettivo dichiarato all’epoca era quello di combattere la “delegittimazione” di Israele, era coinvolto nella sorveglianza delle organizzazioni palestinesi per i diritti umani che presentavano rapporti alla CPI. Gilad Erdan, all’epoca capo del ministero e ora rappresentante di Israele presso le Nazioni Unite, ha recentemente descritto la ricerca di mandati di arresto per i leader israeliani da parte della CPI come “una caccia alle streghe guidata dal puro odio per gli ebrei”.

Cerimonia di insediamento del Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi alla base HaKirya di Tel Aviv, 16 gennaio 2023. (Tomer Neuberg/Flash90)

L’esercito si occupava di cose assolutamente non militari

La guerra segreta di Israele contro la CPI si è basata soprattutto sulla sorveglianza, e i procuratori capo sono stati i primi obiettivi.

Quattro fonti hanno confermato che gli scambi privati di Bensouda con funzionari palestinesi sul caso dell’Autorità Palestinese all’Aia erano regolarmente monitorati e condivisi ampiamente all’interno della comunità di intelligence israeliana. “Le conversazioni di solito riguardavano i progressi dell’azione penale: presentare documenti, testimonianze, o parlare di un evento accaduto – ‘Hai visto come Israele ha massacrato i palestinesi durante l’ultima manifestazione?’ – o cose di questo genere” ha spiegato una fonte.

L’ex procuratrice non è stata l’unico bersaglio. Decine di altri funzionari internazionali legati all’indagine sono stati sorvegliati allo stesso modo. Una delle fonti ha detto che c’era una grande lavagna con i nomi di circa 60 persone sorvegliate – metà palestinesi e metà di altri paesi, compresi funzionari delle Nazioni Unite e personale della CPI all’Aia.

Un’altra fonte ha ricordato la sorveglianza della persona che aveva scritto il rapporto della Corte Penale Internazionale sulla guerra di Gaza del 2014. Una terza fonte ha detto che l’intelligence israeliana ha monitorato una commissione d’inchiesta del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sui Territori occupati, al fine di identificare i materiali che riceveva dai palestinesi, “perché i risultati delle commissioni d’inchiesta di questo tipo sono solitamente utilizzati dalla CPI”.

All’Aia, Bensouda e il suo staff senior sono stati avvisati da consiglieri di sicurezza e attraverso canali diplomatici che Israele stava monitorando il loro lavoro. Ci si è preoccupati di non discutere di certe questioni in prossimità di telefoni. “Siamo stati informati che stavano cercando di ottenere informazioni sul nostro stato di avanzamento dell’esame preliminare”, ha dichiarato un ex alto funzionario della CPI.

Secondo le fonti, alcuni membri dell’esercito israeliano hanno trovato controverso il fatto che l’intelligence militare si occupasse di questioni politiche e non direttamente collegate alle minacce alla sicurezza. “Le risorse dell’IDF sono state utilizzate per sorvegliare Fatou Bensouda – questa non è una cosa legittima da fare come intelligence militare”, ha dichiarato una fonte. “Questo compito [era] davvero insolito nel senso che era all’interno dell’esercito, ma si occupava di cose completamente non militari”, ha detto un’altra fonte.

Ma altri hanno avuto meno esitazioni. “Bensouda era molto, molto unilaterale”, ha affermato una fonte che ha sorvegliato l’ex procuratrice. “Era davvero un’amica personale dei palestinesi. I pubblici ministeri di solito non si comportano così. Rimangono molto distanti”.

Apertura ufficiale della sede permanente della Corte Penale Internazionale, 19 aprile 2016. (Foto ONU/Rick Bajornas)

“Se non volete che io usi la legge, cosa volete che usi?”

Poiché i gruppi palestinesi per i diritti umani fornivano spesso all’ufficio del procuratore informazioni sugli attacchi israeliani contro i palestinesi, dettagliando gli incidenti che volevano che il procuratore prendesse in considerazione come parte dell’indagine, queste stesse organizzazioni sono diventate obiettivi chiave dell’operazione di sorveglianza di Israele. In questo caso, lo Shin Bet ha preso il comando.

Oltre a monitorare il materiale presentato dall’Autorità Palestinese alla CPI, l’intelligence israeliana monitorava anche gli appelli e i rapporti dei gruppi per i diritti umani che includevano testimonianze di palestinesi che avevano subito attacchi da parte di coloni e soldati israeliani; Israele ha quindi sorvegliato anche questi testimoni.

“Una delle priorità era vedere chi [nei gruppi per i diritti umani] fosse coinvolto nella raccolta di testimonianze e chi fossero le persone specifiche – le vittime palestinesi – da convincere a testimoniare alla CPI”, ha spiegato una fonte dell’intelligence.

Secondo le fonti, gli obiettivi principali della sorveglianza erano quattro organizzazioni palestinesi per i diritti umani: Al-Haq, Addameer, Al Mezan e il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR). Addameer ha inviato appelli alla CPI sulle pratiche di tortura contro prigionieri e detenuti, mentre gli altri tre gruppi hanno inviato nel corso degli anni numerosi appelli riguardanti l’impresa di insediamento di Israele in Cisgiordania, le demolizioni punitive di case, le campagne di bombardamento a Gaza e riguardanti anche specifici alti dirigenti politici e militari israeliani.

Una fonte dell’intelligence ha detto che il motivo per sorvegliare le organizzazioni è stato dichiarato apertamente: danneggiano la posizione di Israele nell’arena internazionale. “Ci è stato detto che si tratta di organizzazioni che operano nell’arena internazionale, che partecipano al BDS e che vogliono danneggiare Israele dal punto di vista legale, quindi vengono monitorate anche loro”, ha detto la fonte. “È per questo che ci stiamo impegnando. Perché può danneggiare persone in Israele: ufficiali, politici”.

Un altro obiettivo della sorveglianza dei gruppi palestinesi era cercare di delegittimare loro e, per estensione, l’intera indagine della Corte Penale Internazionale.

Nell’ottobre 2021, il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz – che è stato nominato in molti degli appelli che le organizzazioni palestinesi hanno inviato alla CPI, a causa del suo ruolo di capo di stato maggiore durante la guerra di Gaza del 2014 e di ministro della Difesa durante la guerra del maggio 2021 – ha dichiarato Al-Haq, Addameer e altri quattro gruppi palestinesi per i diritti umani “organizzazioni terroristiche”.

Benny Gantz, ministro della Guerra e capo del Partito di Unità Nazionale, tiene una conferenza stampa a Ramat Gan, il 18 maggio 2024. (Miriam Alster/Flash90)

Un’inchiesta di +972 e Local Call, pubblicata qualche settimana dopo, ha scoperto che l’ordine di Gantz era stato emesso senza alcuna prova seria a sostegno delle sue accuse; un dossier dello Shin Bet che pretendeva di fornire le prove delle sue accuse, e un altro dossier di approfondimento qualche mese dopo, hanno lasciato poco convinti anche i più strenui alleati di Israele. All’epoca, è stato ampiamente ipotizzato – anche dalle stesse organizzazioni – che questi gruppi fossero stati presi di mira almeno in parte a causa delle loro attività legate all’indagine della CPI.

Secondo una fonte dell’intelligence, lo Shin Bet – che ha dato la raccomandazione iniziale di mettere fuori legge i sei gruppi – ha sorvegliato i dipendenti delle organizzazioni e le informazioni raccolte sono state utilizzate da Gantz quando le ha dichiarate organizzazioni terroristiche. All’epoca, un’indagine di Citizen Lab aveva trovato il software spia Pegasus, prodotto dall’azienda israeliana NSO Group, sui telefoni di diversi palestinesi che lavoravano in queste ONG. (Lo Shin Bet non ha risposto alla nostra richiesta di commento).

Anche Omar Awadallah e Ammar Hijazi, responsabili del caso CPI all’interno del Ministero della Giustizia dell’AP, hanno scoperto che Pegasus era stato installato sui loro telefoni. Secondo fonti di intelligence, i due erano contemporaneamente obiettivi di diverse organizzazioni di intelligence israeliane, il che ha creato “confusione”. “Sono entrambi dottori di ricerca super competenti che si occupano di questo argomento tutto il giorno, dalla mattina alla sera – ecco perché si potevano ottenere informazioni [nel seguirli]”, ha detto una fonte.

Hijazi non è sorpreso di essere stato sorvegliato. “Non ci interessa se Israele vede le prove che abbiamo presentato al tribunale”, ha detto. “Li invito: Venite, aprite gli occhi, vedete quello che abbiamo presentato”.

Anche Shawan Jabarin, direttore generale di Al-Haq, è stato sorvegliato dall’intelligence israeliana. Ha detto che c’erano state indicazioni che i sistemi interni della sua organizzazione erano stati violati, e che la dichiarazione di Gantz è arrivata pochi giorni prima che Al-Haq avesse intenzione di rivelare di aver scoperto un software spia Pegasus sui telefoni dei suoi dipendenti. “Dicono che sto usando la legge come arma da guerra”, ha detto Jabarin. “Se non volete che usi la legge, cosa volete che usi, le bombe?”.

Tuttavia, i gruppi per i diritti umani hanno espresso profonda preoccupazione per la privacy dei palestinesi che hanno presentato testimonianze al tribunale. Uno di questi gruppi, ad esempio, ha incluso solo le iniziali dei testimoni nelle sue richieste alla CPI, per paura che Israele potesse identificarli.

“Le persone hanno paura di sporgere denuncia [alla CPI], o di menzionare i loro veri nomi, perché temono di essere perseguitati dai militari, di perdere il permesso di ingresso”, ha spiegato Hamdi Shakura, avvocato del PCHR. “Un uomo a Gaza che ha un parente malato di cancro ha paura che l’esercito gli tolga il permesso d’ingresso e gli impedisca di curarsi – queste sono cose che succedono”.

I responsabili delle ONG palestinesi parlano con i media fuori dagli uffici di Al-Haq dopo l’irruzione dell’esercito israeliano nei loro uffici. Ramallah, Cisgiordania, 18 agosto 2022. (Oren Ziv)

“Gli avvocati avevano una grande sete di intelligence”.

Secondo fonti dell’intelligence, un ulteriore uso delle informazioni ottenute tramite la sorveglianza è stato quello di aiutare gli avvocati coinvolti in conversazioni segrete con i rappresentanti dell’ufficio del procuratore dell’Aia.

Poco dopo che Bensouda aveva annunciato l’apertura di un’indagine preliminare da parte del suo ufficio, Netanyahu ha ordinato la formazione di una squadra segreta di avvocati del Ministero della Giustizia, del Ministero degli Esteri e dell’Ufficio dell’Avvocato Generale Militare (la massima autorità legale dell’esercito israeliano), che si è recata regolarmente all’Aia per incontri segreti con i funzionari della CPI tra il 2017 e il 2019. (Il Ministero della Giustizia israeliano non ha risposto alle richieste di commento).

Sebbene il team fosse composto da persone che non facevano parte della comunità di intelligence israeliana – era guidato da Tal Becker, consulente legale del Ministero degli Esteri – il Ministero della Giustizia era comunque a conoscenza delle informazioni ottenute tramite la sorveglianza e aveva accesso ai rapporti dell’Autorità Palestinese e delle ONG palestinesi che descrivevano in dettaglio casi specifici di violenza dei coloni e dei militari.

“Gli avvocati che si occupavano della questione al Ministero della Giustizia avevano una grande sete di informazioni”, ha dichiarato una fonte dell’intelligence. “La ottenevano sia dall’intelligence militare che dallo Shin Bet. Stavano costruendo il caso per i messaggeri israeliani che andavano segretamente a comunicare con la CPI”.

Nei loro incontri privati con i funzionari della CPI, confermati da sei fonti che hanno avuto familiarità con gli incontri, gli avvocati cercavano di dimostrare che Israele aveva procedure solide ed efficaci per chiamare i soldati a rispondere delle loro azioni, nonostante i pessimi risultati dell’esercito israeliano nelle indagini su presunti illeciti all’interno dei suoi ranghi. Gli avvocati hanno anche cercato di dimostrare che la CPI non ha la giurisdizione per indagare sulle azioni di Israele, poiché Israele non è uno stato membro della Corte e la Palestina non è un membro a pieno titolo delle Nazioni Unite.

Secondo un ex funzionario della CPI che conosce i contenuti degli incontri, il personale della CPI presentava agli avvocati israeliani i dettagli degli incidenti in cui i palestinesi erano stati attaccati o uccisi, e gli avvocati rispondevano con le loro informazioni. “All’inizio la situazione era tesa”, ha ricordato il funzionario.

In questa fase, Bensouda era ancora impegnata in un esame preliminare prima della decisione di aprire un’indagine formale. Una fonte dell’intelligence ha detto che lo scopo delle informazioni ottenute attraverso la sorveglianza era “far sentire a Bensouda che i suoi dati legali non erano affidabili”.

La procuratrice della CPI Fatou Bensouda incontra il ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Maliki a margine della 18a sessione dell’ASP, 2 dicembre 2019. (CPI-CPI)

Secondo la fonte, l’obiettivo era quello di “fornire [a Bensouda] informazioni che la facessero dubitare del suo diritto di occuparsi di questa questione”. Quando Al-Haq raccoglie informazioni su quanti palestinesi sono stati uccisi nei territori occupati nell’ultimo anno e le trasmette a Bensouda, è nell’interesse e nella politica di Israele trasmetterle dati di controspionaggio e cercare di minare queste informazioni”.

Dato che Israele si rifiuta di riconoscere l’autorità e la legittimità del tribunale, tuttavia, per la delegazione era fondamentale che questi incontri rimanessero segreti. Una fonte che ha familiarità con gli incontri ha detto che i funzionari israeliani hanno ripetutamente sottolineato alla CPI che “non possiamo mai rendere pubblico il fatto che stiamo comunicando con voi”.

Gli incontri dietro le quinte tra Israele e la CPI si sono conclusi nel dicembre 2019, quando l’esame preliminare di Bensouda durato cinque anni ha concluso che esisteva una base ragionevole per ritenere che sia Israele che Hamas avevano commesso crimini di guerra. Tuttavia, anziché avviare immediatamente un’indagine completa, la procuratrice ha chiesto ai giudici della Corte di pronunciarsi sul quesito se lei aveva il diritto di esaminare le accuse a causa di “questioni legali e fattuali uniche e altamente contestate” – cosa che alcuni hanno visto come un risultato diretto dell’attività di Israele.

“Non direi che l’argomentazione legale non abbia avuto alcun effetto”, ha dichiarato Roy Schondorf, membro della delegazione israeliana e capo di un dipartimento del Ministero della Giustizia responsabile della gestione dei procedimenti legali internazionali contro Israele, durante un evento presso l’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale nel luglio 2022. “Anche lì ci sono persone che possono essere persuase, e penso che in misura considerevole lo stato di Israele sia riuscito a convincere almeno la precedente procuratrice [Bensouda], che ci sarebbero stati abbastanza dubbi sulla questione della giurisdizione perché lei si rivolgesse ai giudici della Corte”.

“La richiesta di complementarità è stata molto, molto significativa”.

Nel 2021, i giudici della Corte hanno stabilito che la CPI ha giurisdizione su tutti i crimini di guerra commessi da israeliani e palestinesi nei Territori Palestinesi occupati, così come sui crimini commessi dai palestinesi in territorio israeliano. Nonostante sei anni di sforzi israeliani per impedirlo, Bensouda annunciò l’apertura di un’indagine penale formale.

Ma si trattava di una conclusione tutt’altro che scontata. Pochi mesi prima, la procuratrice aveva deciso di abbandonare l’esame dei crimini di guerra britannici in Iraq perché convinta che la Gran Bretagna avesse intrapreso un’azione “genuina” per indagare su di essi. Secondo alti giuristi israeliani, Israele si è aggrappato a questo precedente e ha avviato una stretta collaborazione tra l’operazione di raccolta di informazioni e il sistema giudiziario militare.

Secondo le fonti, uno degli obiettivi principali dell’operazione di sorveglianza israeliana era quello di consentire ai militari di “aprire indagini retroattive” sui casi di violenza contro i palestinesi che arrivavano all’ufficio del procuratore dell’Aia. In questo modo, Israele intendeva sfruttare il “principio di complementarità”, che afferma che un caso è inammissibile davanti alla Corte Penale Internazionale se è già oggetto di indagini approfondite da parte di uno stato che ha giurisdizione su di esso.

Palestinesi che tornano a ispezionare le loro case a Khan Younis dopo il ritiro dell’esercito israeliano dalla zona, nel sud della Striscia di Gaza, 8 aprile 2024. (Atia Mohammed/Flash90)

“Se i materiali venivano trasferiti alla CPI, bisognava capire esattamente di cosa si trattava, per garantire che l’IDF li indagasse in modo indipendente e sufficiente per poter rivendicare la complementarità”, ha spiegato una delle fonti. “La richiesta di complementarità era molto, molto significativa”.

Anche gli esperti legali del Meccanismo di Valutazione dell’Accertamento dei Fatti (FFAM) del Capo di Stato Maggiore congiunto – l’organo militare che indaga sui presunti crimini di guerra commessi dai soldati israeliani – erano a conoscenza delle informazioni di intelligence, hanno detto le fonti.

Tra le decine di incidenti attualmente oggetto di indagine da parte del FFAM ci sono i bombardamenti che hanno ucciso decine di palestinesi nel campo profughi di Jabaliya lo scorso ottobre; il “massacro della farina” in cui più di 110 palestinesi sono stati uccisi nel nord di Gaza all’arrivo di un convoglio di aiuti a marzo; gli attacchi con i droni che hanno ucciso sette dipendenti della World Central Kitchen ad aprile; e un attacco aereo in un accampamento di tende a Rafah che ha innescato un incendio e ucciso decine di persone la scorsa settimana.

Per le ONG palestinesi che presentano i rapporti alla CPI, tuttavia, i meccanismi interni di responsabilità militare di Israele sono una farsa. Come hanno affermato esperti israeliani e internazionali e gruppi per i diritti umani, i palestinesi sostengono da tempo che questi sistemi – dagli investigatori della polizia e dell’esercito alla Corte Suprema – fungono abitualmente da “foglia di fico” per lo stato israeliano e il suo apparato di sicurezza, contribuendo a “oscurare” i crimini e concedendo di fatto a soldati e comandanti la licenza di continuare a commettere atti criminali nell’impunità.

Issam Younis, che è stato bersaglio della sorveglianza israeliana per il suo ruolo di direttore di Al Mezan, ha trascorso gran parte della sua carriera a Gaza, negli uffici dell’organizzazione ora parzialmente bombardati, raccogliendo e presentando “centinaia” di denunce di palestinesi all’Ufficio dell’Avvocato Generale Militare Israeliano. La stragrande maggioranza di queste denunce è stata archiviata senza alcuna incriminazione, convincendolo che “le vittime non possono perseguire la giustizia attraverso quel sistema”.

Questo è ciò che ha portato la sua organizzazione a impegnarsi con la CPI. “In questa guerra, la natura e la portata dei crimini commessi sono senza precedenti”, ha detto Younis, che è fuggito da Gaza con la sua famiglia a dicembre e oggi è rifugiato al Cairo. “Ed è semplicemente perché non c’era una richiesta di rispondere delle proprie azioni”.

“Il 7 ottobre ha cambiato questa realtà”

Nel giugno 2021, Khan ha sostituito Bensouda come procuratore capo, e molti nel sistema giudiziario israeliano speravano che questo avrebbe fatto voltare pagina. Khan era percepito come più cauto del suo predecessore e si ipotizzava che avrebbe scelto di non dare priorità alle indagini esplosive ereditate da Bensouda.

In un’intervista del settembre 2022, in cui ha anche rivelato alcuni dettagli sul “dialogo informale” di Israele con la CPI, Schondorf del Ministero della Giustizia israeliano ha elogiato Khan per aver “spostato la traiettoria della nave”, aggiungendo che sembrava che il procuratore si sarebbe concentrato su questioni più “mainstream” perché il “conflitto israelo-palestinese è diventato una questione meno urgente per la comunità internazionale”.

Nel frattempo, il giudizio personale di Khan è diventato il principale obiettivo di ricerca dell’operazione di sorveglianza israeliana: l’obiettivo era “capire cosa pensasse Khan”, come ha detto una fonte dell’intelligence. E se inizialmente la squadra del procuratore non sembra aver mostrato molto entusiasmo per il caso della Palestina, secondo un alto funzionario israeliano, “il 7 ottobre ha cambiato questa realtà”.

Il procuratore della CPI Karim Khan in visita ai kibbutzim in Israele che sono stati tra i luoghi dell’attacco del 7 ottobre. Dicembre 2023. (CPI-CPI)

Alla fine della terza settimana di bombardamenti israeliani su Gaza, seguiti all’assalto di Hamas al sud di Israele, Khan era già sul posto al valico di Rafah. In seguito, a dicembre, si è recato in visita sia in Cisgiordania che nel sud di Israele, dove ha incontrato i funzionari palestinesi, i sopravvissuti israeliani all’attacco del 7 ottobre e i parenti delle persone uccise.

L’intelligence israeliana ha seguito da vicino la visita di Khan per cercare di “capire quale materiale gli stessero fornendo i palestinesi”, come ha detto una fonte israeliana. “Khan è l’uomo più noioso al mondo su cui raccogliere informazioni, perché è dritto come un righello”, ha aggiunto la fonte.

A febbraio, Khan ha rilasciato una dichiarazione a parole forti su X, esortando di fatto Israele a non lanciare un assalto a Rafah, dove più di 1 milione di palestinesi stavano già cercando rifugio. Ha anche avvertito: “Coloro che non rispettano la legge non devono lamentarsi dopo, quando il mio ufficio agisce”.

Come per il suo predecessore, l’intelligence israeliana ha sorvegliato anche le attività di Khan con i palestinesi e altri funzionari del suo ufficio. La sorveglianza di due palestinesi che avevano familiarità con le intenzioni di Khan ha informato i leader israeliani del fatto che il procuratore stava prendendo in considerazione un’imminente richiesta di mandati d’arresto per i leader israeliani, ma era “sotto una tremenda pressione da parte degli Stati Uniti” per non farlo.

Alla fine, il 20 maggio, Khan ha dato seguito alla sua minaccia. Ha annunciato la richiesta di mandati di arresto per Netanyahu e Gallant, dopo aver constatato che ci sono ragionevoli motivi per ritenere che i due leader siano responsabili di crimini come lo sterminio, la fame e gli attacchi deliberati ai civili.

Per i gruppi palestinesi per i diritti umani che Israele ha sorvegliato, Netanyahu e Gallant sono solo la punta dell’iceberg. Tre giorni prima dell’annuncio di Khan, i capi di Al-Haq, Al Mezan e PCHR hanno inviato a Khan una lettera congiunta in cui chiedevano esplicitamente mandati di arresto contro tutti i membri del gabinetto di guerra israeliano, tra cui Benny Gantz, nonché contro i comandanti e i soldati delle unità attualmente coinvolte nell’offensiva di Rafah.

Khan ora deve anche valutare se gli israeliani dietro le operazioni volte a minare la CPI abbiano commesso reati contro l’amministrazione della giustizia. Nel suo annuncio del 20 maggio ha avvertito che il suo ufficio “non esiterà ad agire” contro le minacce in corso verso il tribunale e le sue indagini. Tali reati, per i quali i leader israeliani possono essere perseguiti indipendentemente dal fatto che Israele non sia un firmatario dello Statuto di Roma, potrebbero potenzialmente comportare una pena detentiva.

Un portavoce della CPI ha dichiarato al Guardian di essere a conoscenza di “attività di raccolta di informazioni proattive intraprese da un certo numero di agenzie nazionali ostili alla Corte”, ma ha sottolineato che “nessuno dei recenti attacchi contro di essa da parte di agenzie di intelligence nazionali” ha penetrato il nucleo di prove della Corte, che è rimasto sicuro. Il portavoce ha aggiunto che l’ufficio di Khan è stato sottoposto a “diverse forme di minacce e comunicazioni che potrebbero essere considerate come tentativi di influenzare indebitamente le sue attività”.

In risposta a una richiesta di commento, l’Ufficio del Primo Ministro israeliano ha dichiarato solo che il nostro rapporto è “pieno di molte accuse false e infondate volte a danneggiare lo Stato di Israele”. Anche l’esercito israeliano ha risposto in breve: “Gli organi di intelligence dell’IDF eseguono operazioni di sorveglianza e altre operazioni di intelligence solo contro elementi ostili e, contrariamente a quanto si sostiene, non contro la CPI dell’Aia o altri elementi internazionali”.

In collaborazione con LOCAL CALL

Harry Davies e Bethan McKernan del Guardian hanno contribuito a questo servizio.

Yuval Abraham è un giornalista e regista con sede a Gerusalemme.

Meron Rapoport è redattore di Local Call.

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Traduzione a cura di AssoPacePalestina

29/5/2024 https://www.assopacepalestina.org

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