Sottrarsi alla memoria condivisa comporta sempre finire nella becera ideologia
Le comunità necessitano di memorie condivise come elemento fondante e di unità.
Ma le memorie condivise, se riguardano fatti di cui si conserva ricordi attraverso esperienze dirette, subiscono letture ideologiche ad uso e consumo del vincitore di turno.
Siamo appena usciti dalle celebrazioni delle foibe e i pochi storici non di regime (perchè tale ormai è) sottrattisi alla vulgata ufficiale sono stati tacciati di revisionismo storico, l’accusa piu’ infamante per studiosi accomunati ai neonazisti che negano l’esistenza delle camere da gas nei campi di sterminio.
Per capire di cosa stiamo parlando è sufficiente acquistare dei libri (da Del Boca al recente Alleati del nemico di Eric Gobetti, storico piemontese recentemente oggetto di intimidazioni e minacce da gruppi di estrema destra) o consultare il sito www.diecifebbraio.info, dove troverete ricerche, libri, documentari e foto curate da tre storici attivi nella lotta al revisionismo (quello vero).
Non sono in discussione le esecuzioni di cittadini italiani nel dopo guerra, siamo invece a confutare alcuni luoghi comuni sui quali è stata costruita la vulgata degli storici e la propaganda nazionalista (la memoria condivisa da centrodestra e centrosinistra ) che mira a gonfiare non solo il numero dei morti ma a ricostruire i fatti con gli italiani (e di conseguenza anche i fascisti e la Monarchia) vittime dell’odio jugolsavo e comunista.
Il nostro paese non ha mai avuto una sua Norimberga, i criminali di guerra sono rimasti impunti o se la sono cavata con pochi mesi di carcere, molti di loro li ritroviamo per decenni con ruoli dirigenziali nello Stato o alti ufficiali nell’esercito repubblicano. E non mancano i voltagabbana, i ferventi fascisti riconvertiti a democratici progressisti.
Allo stesso tempo illustri storici sono stati emarginati dalle comunità scientifiche o caduti nell’oblio, “rei” di avere documentato le stragi fasciste e dell’esercito italiano nei Balcani, in Libia, in Etiopia.Molte loro pubblicazioni non sono piu’ reperibili e ristampati dalle case editrici. La grande produzione e distribuzione editoriale determina quali libri pubbicare o i titoli che ritroviamo anche sui banchi dei supermercati.
Tuttavia non mancano episodi controversi, ad esempio sono appurati i contrasti tra Italia e Germania rispetto alla popolazione di religione ebraica nei territori della ex Jugoslavia, già nel 1943 era a conoscenza degli alti ufficiali italiani la presenza dei campi di sterminio e ci furono casi nei quali non si obbedi’ agli ordini di rastrellamento. Ma gli stessi alti ufficiali poi li ritroviamo attivi protagonisti nella deportazione di rom ì, partigiani e islamici, la alleanza tra fascisti e nazisti resta un fatto innegabile e dirimente come lo sono le Leggi razziali.
Da qui a escludere le stragi commesse non solo dalle milizie fasciste ma dall’esercito italiano corre grande differenza, eppure di questi fatti non c’è traccia nella stragrande maggioranza dei libri di testo adottati dalle scuole, le generazioni future cresceranno con il mito degli Italiani brava gente, lo stereotipo duro da morire, alimentato per decennio da quel giornalismo di destra che nego l’esistenza dei gas utilizzati contro la inerme popolazione civile in Libia ed Etiopia, salvo poi essere smentiti dai documenti ufficiali, molti in lingua inglese e mai tradotti. Nelle settimane celebrative delle vittime delle foibe non si è parlato dell’esercito italiano nei Balcani, delle forzate italianizzazioni di territori lontani per cultura e lingua, non una parola sulle stragi di civili.
Per capire le foibe bisogna partire dal ventennio precedente, dall’occupazione italiana dei territori della ex Jugoslavia, dalla guerra civile tra cetnici e partigiani, i primi collaborazionisti dei nazi fascisti, i secondi protagonisti della cacciata degli eserciti tedesci e italiani. E il fatto che questi ultimi siano oggi sul banco degli imputati dovrebbe indurre a riflettere su chi siano i veri revisionisti.
La storia viene manipolata ad uso e consumo dei vincitori, peccato che l’Italia sia ancora formalmente una repubblica fondata sulla Resistenza, quella Resistenza che vide tanti soldati italiani passare nelle fila delle brigate partigiane jugoslave. E i vincitori di oggi non vogliono discutere della storia italiana novecentesca.
La storia ridotta a memorie condivise è sempre foriera di semplificazioni, avere chiuso frettolosamente il capitolo delle responsabilità italiane negli eccidi compiuti nei territori occupati ha determinato la rimozione di tante verità storiche. E puntualmente, quando non si fa i conti con il passato, il revisionismo puo’ trasformare i carnefici in vittime o cedere allo stereotipo dell’imperialismo italiano buono da contrapporre a quello tedesco o inglese.
La memoria condivisa rappresenta oggi lo strumento con cui riscrivere la storia del novecento con la scusa che decenni di egemonia intellettuale comunista abbia diffuso una vulgata parziale e anti italiana. Peccato che si dimentichi l’amnistia Togliatti che, nel nome della pacificazione nazionale, libero’ tanti criminali fascisti per non dimenticare il rifiuto della Italia repubblicana di consegnare 500 criminali di guerra alla Jugoslavia dove sarebbero stati sottoposti ad un processo e ad espiare lunghe condanne.
Il rifiuto della memoria condivisa non significa sottrarsi al giudizio della storia ma rileggerla partendo dalle fonti e senza cedere alle lusinghe nazionaliste e unitarie, senza piegare la lettura del passato a istanze di bassa politica . I revisionisti non siamo noi ma quanti rileggono i fatti in chiave nazionale\ista occultando responsabilità storiche e politiche, ricostruzioni parziali per manipolare l’opinione pubblica. Chi tace sui crimini di guerra nazi fascisti , o su quelli monarchici, difficilmente saprà confutare il nuovo ordine mondiale di Trump.
Le manipolazioni andrebbero allora sempre individuate e combattute, sarebbe sufficiente avere il coraggio e l’onestà intellettuale di farlo combattendo le memorie condivise costruite sulla ignoranza della storia.
Federico Giusti
23/2/2020
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