SSN: così com’è, cos’è che non va?
Che si può fare per riportare, come merita, il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) a dei livelli di eccellenza? Bastano dei soldi e del personale in più o servono nuove idee progettuali per un nuovo assetto organizzativo e gestionale?
I principi fondamentali e organizzativi presenti nella 833 e che sono ribaditi nel sito del Ministero (I princìpi del Servizio sanitario nazionale) devono sicuramente essere riconfermati: Universalità, Uguaglianza ed Equità sono valori assolutamente inalienabili, e tra i principi organizzativi certamente sono da confermare la Centralità della persona, la Responsabilità pubblica, la Collaborazione tra livelli di governo, la Valorizzazione delle professionalità, l’Integrazione tra sociale e sanitario.
Ma allora cosa deve cambiare? Deve cambiare in funzione di ciò che rispetto a 50 anni fa è cambiato: la società, la prevalenza delle patologie, le conoscenze scientifiche, le potenzialità diagnostiche, i luoghi di cura e assistenza, l’informazione della popolazione dopo l’avvento di internet…
Un solo esempio: tra gli aspetti più critici di oggi ci sono le storture delle liste di attesa. Ma 50 anni fa il ricorso alle visite specialistiche era molto più ridotto e la diagnostica strumentale si limitava per lo più a delle radiografie.
I medici di base possedevano una elevata percentuale delle conoscenze cliniche, oggi, anche se ne hanno acquisite di più, percentualmente ne controllano solo una minore parte rispetto a quelle disponibili. Nei pronto soccorso si accedeva più raramente e quasi solo in ambulanza, ora tutti possono accedervi con mezzi propri e lo si fa purtroppo anche per problemi banali.
I ricoveri ospedalieri avevano degenze lunghe e anche per piccoli interventi si rimaneva in reparto per diversi giorni. Anche le possibilità della prevenzione non erano quelle di oggi e si limitavano a qualche vaccinazione. Oggi gli screening sono possibili per la diagnosi precoce di molte malattie.
Il dilatarsi della domanda ma anche dell’offerta ha portato inevitabilmente alla crescita dei costi, ma la spesa, in termini di quota del Pil, non è cresciuta ed anzi si è ultimamente ridimensionata se calcolata a prezzi costanti.
L’aziendalizzazione della sanità, prevista dal D.l. 502, non ha dato i frutti che si sperava soprattutto in termini di efficienza. Il sistema sanitario si è dotato di strumenti di valutazione che hanno contenuto le peggiori derive ma non hanno difeso del tutto la qualità dei servizi.Negli ultimi venti anni ci si è soprattutto preoccupati dei disavanzi di bilancio che hanno portato ai piani di rientro e questi hanno comportato ulteriori criticità ai servizi.
Nel frattempo, le carenze del SSN hanno favorito la crescita della sanità privata spesso resa accessibile avvalendosi di assicurazioni integrative. La sanità privata ha sempre più acquisito gradimento da parte degli utenti per varie ragioni: celerità nell’accedere, gentilezza nell’assistere. Spesso le strutture private convenzionate offrono servizi più graditi rispetto alle omologhe strutture pubbliche. E a molti piace essere trattati da clienti e non tanto da utenti. E ci si dovrebbe chiedere se la sanità privata, in primis quella convenzionata, fa risparmiare ovvero sottragga risorse alla sanità pubblica. La competizione tra pubblico e privato non sempre poi è sempre del tutto trasparente.
Il livello di burocratizzazione si è dilatato anche in sanità e ben lo sa chi ha fatto sportello nelle sedi della propria ASL, magari raggiunta attraversando la città o percorrendo vari chilometri di strada.
Ma allora non varrebbe la pena passare ad un sistema assicurativo mutualistico come quello dei tempi dell’INAM e dell’ENPAS? Certo che no! Un sistema assicurativo globale o integrativo a carico dei datori di lavoro porterebbe inevitabilmente, com’era un tempo, a troppe disparità tra le popolazioni.
Un sistema assicurativo totalmente privato sarebbe invece insostenibile per buona parte dei cittadini. Oggi la sanità pubblica costa qualcosa di più di 2.000 € pro capite e se aggiungiamo un inevitabile profitto per una assicurazione privata, per una famiglia di quattro persone la sanità costerebbe mediamente non meno di 10.000 € l’anno di polizza assicurativa, che dovrebbe anche essere obbligatoria come lo è l’assicurazione delle auto.
E le polizze non sarebbero certo proporzionali al reddito e probabilmente aumenterebbero in virtù dell’età e dello stato di salute degli assicurati, e forse cesserebbero qualora i rischi aumentassero troppo.
Ma il difetto peggiore di un sistema privatistico è la inevitabile separazione dalle attività di sanità pubblica che solo un sistema pubblico può sostenere. Quindi, ripensiamo ad un progetto nuovo di sistema pubblico sanitario che eviti le attuali criticità e mantenga i valori e le potenzialità che 50 anni fa avevamo creduto. Forse il privato potrà offrire prestazioni personali di prevenzione ma certo non potrà mai sostenere programmi collettivi e ambientali.
E non basterà scrivere un nuovo decreto o parlarne in un convegno: un nuovo progetto deve essere pensato, condiviso e accolto da operatori e utenti come una nuova stagione per una sanità efficace e gradevole sia per chi la riceve sia per chi la eroga.
Nulla è peggio di una sanità fatta da operatori che non ci credono più e che vorrebbero cambiare ambiente come molti fanno, cercando una alternativa al loro ruolo nel SSN. E non è solo la prospettiva del maggior guadagno, spesso è la ricerca di una maggior soddisfazione professionale.
Insomma, rimbocchiamoci le maniche, aguzziamo le menti, cerchiamo le risorse, troviamo consensi e speranze, e riprogettiamo la sanità per i prossimi 50 anni!
Da dove iniziare? Innanzitutto dalla prevenzione che era al centro della 833 ed invece pian piano se ne è persa quasi traccia. Poi la criticità maggiore che è rappresentata dalla medicina di base in rapporto alle urgenze ed alla specialistica. l MMG non possono più rimanere isolati dal resto come in parte lo erano i medici condotti che però, praticamente, erano disponibili h24.
E non possono neppure rimanere isolati dalle strutture diagnostiche specialiste. Si devono sperimentare, come già in parte si sta facendo, strutture in cui convergono più funzioni e più competenze.
E ci sia permesso di ricordare come sia importante dare un ruolo attivo all’epidemiologia aiutata anche dallo sviluppo di sistemi informativi che le permettano di riuscire ad individuare i rischi e a valutare gli esiti. Si pensi ad esempio ai sistemi informativi utilizzati oggi dalle catene di supermercati che governano le scelte della distribuzione… in sanità ne sappiamo ancora molto poco di come sta la gente!
E poi non tralasciamo la formazione e l’aggiornamento continuo sia in senso clinico sia in senso gestionale, perché occorrono maggiori competenze non solo nel curare, ma anche nel gestire e nel programmare. E la formazione richiede anch’essa di essere rinnovata ed adeguata alle nuove conoscenze ed ai nuovi compiti degli operatori sanitari.
E soprattutto evitiamo di considerare la sanità come un possibile business da conquistare. Il contributo dell’impresa privata spesso è molto utile ma a condizione che non entri in competizione con il sistema pubblico svuotandolo delle numerose eccellenze che ancora conserva.
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Tra i numerosi interventi in argomento, i seguenti sono usciti recentemente su Quotidiano Sanità:
Paolo Da Col, Riforma della sanità. Sì, ma su quali basi? Certamente non quelle del neoliberismo ora imperante.
Ivan Cavicchi, Sì alle riforme ma senza distruggere l’articolo 32 della Costituzione.
Alessio D’Amato, Non perdiamo tempo, serve una grande riforma del Ssn.
Roberto Polillo e Mara Tognetti, Serve un “Piano straordinario quinquennale di rilancio del Servizio sanitario nazionale”.
Giorgio Banchieri, Laura Franceschetti e Andrea Vannucci, Riformare la sanità. L’esperienza dei pazienti, la gestione della salute, la riduzione dei costi, il benessere degli operatori sanitari.
Giorgio Banchieri, Sanità “pubblica” e “privata”: alcune precisazioni necessarie.
Cesare Cislaghi
12/2/2024 https://epiprev.it/
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