Statalismo senza Stato

Viviamo in uno stato di crisi, noi siamo gli abitanti e nel disagio ci siamo dentro pienamente. La crisi non risparmia alcun lavoratore, perché non è solo economica, ma anche politica ed esistenziale e sembra non possa più essere superato questo stato di malessere globale. Ma c’è un aspetto della crisi che colpisce e ferisce profondamente: la privazione dei contratti regolati dallo Statuto dei lavoratori che aumenta la paura di vivere e rompe il patto sociale che ha tenuto insieme questo paese dal secondo dopoguerra. Negli ultimi anni leggi e riforme si sono susseguite, riducendo i diritti e infierendo colpi letali sulla dignità del lavoratore. E i sindacati stanno a guardare. Ne parliamo, in un’intervista in esclusiva per la città futura, con Riccardo Faranda, giuslavorista, tra i fondatori del Forum Diritti lavoro, coordinatore nazionale della rete legale di Usb, avvocato di riferimento di Cgil e di diversi sindacati di base.

Domanda. Avvocato Faranda, prima di affrontare il tema che è il cuore dell’intervista, ovvero lo smantellamento dello Statuto dei lavoratori, le chiedo la sua opinione sui motivi che hanno trasformato il diritto costituzionale alla partecipazione diretta dei cittadini alla cosa pubblica al congelamento totale della partecipazione alla polis. Perché il popolo sovrano non ha più voce e sembra in vigore solo lo stato di paura?

Risposta.Indubbiamente la crisi, economica e non solo, che ormai da un decennio stiamo vivendo, ha finito per accelerare il processo di svuotamento di ruolo degli stati nazionali che già negli ultimi anni del XX secolo, il processo di globalizzazione aveva innescato. La perdita di sovranità dei governi locali è il necessario ed inevitabile portato delle politiche neoliberiste. Lo “stato di paura”, va in tal modo di pari passo con “la paura che lo Stato non ci sia”.

Domanda. Sembra siano saltati tutti i patti sociali, ovvero è saltato il contratto. È in vigore “uno statalismo senza Stato” secondo una premonizione di Zygmunt Bauman (Stato di crisi, scritto con Carlo Bordoni). Non c’è quindi più il luogo, né le condizioni secondo cui il contratto si possa realizzare?.

Risposta. È proprio così: l’arretramento dello Stato, l’abdicazione ai compiti che eravamo abituati a riconoscergli, di regolatore e protagonista dei processi economici, e di garante del “patto sociale” che ad essi sottostava, ha fatto sì che il patto saltasse, cedendo il passo alle politiche di smantellamento delle garanzie: distruzione dello stato sociale e deregolamentazione del mercato del lavoro nell’ottica del superamento del sistema di garanzie costruito nel secolo scorso attorno al Diritto del Lavoro: sono le due facce della stessa medaglia.

Domanda. Su queste realtà e queste prospettive come si impianta oggi l’articolo 1 della nostra Costituzione? Quale futuro per il lavoro in Italia, se il contratto, e non solo quello, a tempo indeterminato, va scomparendo o forse è già sparito?

Risposta. Non solo l’articolo 1, ma tutta la nostra Costituzione, è basata sul principio che il lavoro è un diritto fondamentale e fondante della convivenza sociale. Ma questa affermazione entra inevitabilmente in rotta di collisione con il neoliberismo che ormai non tollera più ostacoli, a cominciare, appunto, dall’impianto del Diritto del lavoro come finora lo avevamo conosciuto.Il diritto del lavoro non è un sistema di valori assoluto, ma un complesso di norme (sostanziali e non solo) che ha una sua ragion d’essere se ricorrono almeno due precondizioni: la prima è che il lavoro sia ancora un diritto; la seconda è che la concreta realizzazione di questo diritto necessiti di un apparato di regole che tuteli il contraente debole restituendo alle parti del rapporto una sorta di par condicio che le norme di diritto comune non sono in grado di garantire.La filosofia neoliberista, che ispira le politiche dei governi e gli interventi legislativi degli ultimi decenni, descrive uno scenario del tutto diverso, partendo proprio dalla negazione dei due presupposti appena ricordati, e sostituendoli con altri due: il primo è che il mercato del lavoro è prima di tutto un mercato, e dunque deve essere governato dalla logica e dalle regole (o meglio non-regole) del mercato, e la seconda (che dalla prima discende come necessario corollario) è che il lavoro deve essere ridotto a merce, per consentirne la libera circolazione sul mercato, affinché possa essere venduto e comprato (al pari di ogni altra merce) nella continua ricerca del punto di equilibrio tra domanda e offerta.

Di qui la necessità di eliminare prima di tutto ogni elemento di possibile turbativa del libero mercato, a cominciare dalle rigidità imposte da un sistema legislativo imperniato sul principio della inderogabilità delle norme e del favor lavoratori, per sostituirlo con un sistema di soft low.

Domanda. Si diffonde e prende corpo nel mondo del lavoro il modello del lavoratore autonomo, a partita Iva. Un tempo era prerogativa dei professionisti, oggi molto meno, perché è accessibile anche a chi non ha qualifica professionale. Un modo per bypassare il problema della disoccupazione, ma anche una mancanza di garanzia per i lavoratori. Su questo aspetto quali sono le tutele giuridiche per l’imprenditore e, tanto più, per il lavoratore, vista la sparizione dei sindacati dalla vita sociale?

Risposta. Si tratta nella miglior versione di quello che Sergio Bologna definì alla fine degli anni ’90 “lavoro autonomo di seconda generazione”, un prodotto del post-fordismo, che ha visto una crescita esponenziale dei processi di esternalizzazione da parte delle imprese sia pubbliche che private, di segmenti produttivi e soprattutto dei servizi all’impresa. Ma nella sua versione più elementare, l’introduzione di tipologie contrattuali formalmente autonome ma sostanzialmente (para)subordinate, in primo luogo le collaborazioni coordinate e continuative (a progetto), risponde molto semplicemente all’esigenza di massima flessibilità del mercato del lavoro. Per questi lavoratori le garanzie sono di gran lunga inferiori a quelle previste per i lavoratori subordinati.

Domanda. Oggi, la maggioranza dei lavori sommersi sono in pasto alla gig economy, favorendo così, tramite le app un lavoro sottopagato, incontrollato e incontrollabile. Come si gestiscono legalmente queste mini attività che rappresentano anche delle fughe dal prendere coscienza che il lavoro, quello vero, viene negato?

Risposta. Non vi è dubbio che i “gig workers” siano in qualche modo il simbolo di una economia basata sul just in time: in cui la flessibilità del lavoro nella sua collocazione spazio-temporale si traduce in una condizione di totale precarietà non solo economica ma esistenziale, in una materiale impossibilità di distinguere il tempo di lavoro da quello di non-lavoro, e quindi in una condizione di sostanziale soggezione permanente alle esigenze del datore di lavoro, non accompagnata da alcun sistema di garanzie.

Domanda. Parliamo di riforme, parliamo del Jobs act, l’ultima delle riforme sullo Statuto dei lavoratori. Una manipolazione enorme sui contratti di lavoro a danno del dipendente. Dall’assunzione al licenziamento, dal demansionamento al controllo a distanza. Com’è avvenuto tutto questo e dove sono finiti i sindacati?

Risposta. Risponderò con una domanda: perché la CGIL nel marzo del 2002 fu capace di chiamare in piazza 3 milioni di lavoratori in difesa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che il Governo Berlusconi voleva eliminare, e nel 2015, quando questo disegno è stato realizzato dal governo del PD, non ha saputo fare altro che proporre un referendum, sbagliando pure il quesito? E dov’era la CGIL quando la Fornero cominciava a dare le prime spallate a pensioni ed all’articolo 18, con il voto di tutti i partiti, da FI al PD?

Domanda. Il controllo a distanza è l’umiliazione peggiore che il lavoratore dipendente possa subire. E’ in vigore il braccialetto elettronico che ne controlla tempi e spostamenti. Una disumanizzazione totale che dimostra quanto il patto sociale sia stato smantellato insieme allo Statuto dei lavoratori. Come ci si oppone a questa vergogna e la giurisdizione del lavoro cosa prevede in questo caso, a difesa del lavoratore?

Risposta. Fino all’introduzione del Jobs act, l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori vietava tassativamente i controlli a distanza, e stabiliva inoltre che se un controllo effettuato con strumenti audiovisivi finalizzato alla tutela del patrimonio aziendale poteva indirettamente “intercettare” la prestazione lavorativa, nessun uso poteva esserne fatto contro il lavoratore. Ora, invece, tali controlli sono praticamente sempre possibili, “a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione”. Massima garanzia di rispetto della sua dignità!

Domanda. Il pagamento della prestazione di lavoro occasionale, tramite i voucher introdotti dalla legge Biagi del 2003, era destinato alle categorie più svantaggiate. Con la legge Fornero è stato abolito il limite di utilizzo, il Jobs act ne ha alzato la quota fino a 7 mila euro. Una modalità divenuta fin troppo usuale. A che punto è oggi la questione discussa recentemente alla Camera e usata strumentalmente dal Pd, forse per evitare una nuova debacle referendaria, come quella del 4 dicembre?

Risposta. Questo dei voucher è l’esempio più evidente della malafede del governo e della maggioranza che lo sostiene. Infatti, dopo la proposizione del referendum abrogativo da parte della CGIL, e per impedire che si votasse, un decreto legge del marzo scorso li aveva eliminati. Ad appena due mesi di distanza il governo li ripropone, con poche insignificanti modifiche rispetto alla disciplina sottoposta a referendum ed abrogato con il decreto. A prescindere dalla evidente mala fede di governo e maggioranza, assolutamente falsa ed inaccettabile è la tesi secondo cui l’utilizzo dei voucher sarebbe servito in passato e servirebbe tuttora per favorire l’emersione del lavoro nero, mentre al contrario l’utilizzo massiccio ed indiscriminato di questo strumento non ha fatto altro che moltiplicare le situazioni di lavoro precario. Ed ancora una volta il lavoro sporco è affidato al “governo amico”… ma di chi?

Alba Vastano

10/6(2017 www.lacittafutura.it

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