Stop CETA, per un commercio davvero libero e giusto
Il mantra della Commissione europea, per difendere la politica commerciale fallimentare che portano avanti da circa vent’anni fatta di deregulation selvaggia, occupazione in caduta libera, flussi commerciali che crescono ma non come sperato e piccole e medie aziende che chiudono a raffica è: vogliamo che il commercio sia più libero e più giusto.
Ma nell’accordo di liberalizzazione degli scambi tra Europa e Canada CETA, che in questi giorni è all’esame al Senato, e che il presidente della repubblica Mattarella vorrebbe portare come regalo di viaggio al premier canadese Justin Trudeau che incontrerà a Montreal dal 25 giugno prossimo, di libero e giusto non c’è proprio niente.
Un trattato che, secondo uno studio della americana Tuft universityi potrebbe provocare solo in italia fino a 30mila posti di lavoro in meno non è certo giusto. Ieri, incontrando i senatori in commissione Affari esteri che vorrebbe chiudere il fretta e furia entro la settimana l’esame del provvedimento, abbiamo cercato di spiegare loro che neanche i presunti vantaggi commerciali (un incremento dello 0,09% annuo del Pil europeo dopo non meno di sette anni dalla sua entrata in vigore), ammette la Commissione europea, e per i pochi settori che potrebbero guadagnarci qualcosa, sono stati correttamente valutati e aggiornati, tanto che sono al lordo della Brexit e che i negoziatori canadesi hanno in questi giorni riaperto il negoziato sulle quote tariffarie. Si: il Canada per farci digerire il Ceta aveva accettato di allargare le attuali quote d’ importazione di formaggio dall’Europa di altre 18mila tonnellate circa l’anno a tariffa zero. Ma qualche giorni fa, rifattisi bene i conti, i responsabili commerciali canadesi. anno spiegato ai loro colleghi europei qualche giorno fa che intendevano che il 60% di questa quota aggiuntiva fosse riservata ai produttori e trasformatori lattiero-caseari domestici. Una fonte interna al team europeo ha spiegato che l’Europa teme che questa quota non verrà mai utilizzata e così sarà poco il formaggio nuovo che insidierà davvero i loro prodotti nazionali. Se il contingente d’importazione rimarrà inutilizzato, o ci sarà qualche incentivo a ritardare le importazioni, l’Europa potrebbe essere privata in modo efficace di quell’accesso al mercato che ha combattuto per anni per ottenereii.
Insomma siamo stati beffati, ancor prima che il trattato entri in vigori. Bel commercio libero e giusto, ma c’è di più: Il CETA, secondo 106 parlamentari francesi, è incostituzionale. Il risultato del ricorso da loro presentato presso la Corte costituzionale francese dovrebbe arrivare nelle prime settimane di luglio, e fino a quella data sarebbe bene che l’Italia stesse a vedere perché quel ricorso evidenzia alcuni profili di incostituzionalità del CETA che potrebbero essere tali anche alla luce del dettato costituzionale italiano. I parlamentari francesi contestano il trattato, innanzitutto, sul profilo della sovranità nazionale perché Con il CETA (o di seguito “Trattato”), i governi dei Paesi membri non sono solo impegnati a limitare la portata della propria libertà legislativa così da facilitare l’accesso al proprio mercato a “investitori canadesi” (comma del ricorso 1,1), ma anche di associare strettamente il Canada e i suoi cittadini e le imprese nel processo di sviluppo delle norme nazionali (1.2). Il CETA costituisce anche comitati estranei per l’ordinamento giuridico nazionale ed europeo e in cui gli Stati membri non sono rappresentati, in grado di imporre obblighi agli Stati membri francese nelle aree di applicazione del Trattato (1.3) e di influenzare gli standard nazionali (1,4). Infine, il potere degli Stati nazionali di ritirare unilateralmente l’applicazione del CETA non è certo sia nel caso di applicazione provvisoria (5.1 del Trattato) che di applicazione definitiva (5.2 del Trattato).
A fronte di queste considerazioni, dobbiamo chiedere a senatori e presidente della repubblica di tornare sui propri passi e affidare il CETA a una riflessione più ampia nel Paese. Il CETA, come il TTIP, come decine di altri trattati che l’Europa sta negoziando con paesi dell’America Latina, l’Africa e il Mediterraneo, di commerciale non hanno niente. Sono trattati che vogliono cambiare le regole del gioco democratico e metterle al servizio delle esigenze delle grandi imprese transnazionali che vogliono proiettare le proprie attività attraverso il numero più alto possibile di confini nazionali senza prendersi il disturbo di rispettare le leggi e gli standard di tutti i Paesi, soprattutto se protettivi dei diritti di persone e territori.
Per questo, come al solito, dobbiamo unirci e opporci insieme, e le prossime ore saranno determinanti- Sul sito della Campagna Stop TTIP Italia trovate a questo link https://stop-ttip-italia.net/
Monica Di Sisto e Rosa Rinaldi
21/6/2107 www.rifondazione.it
ii http://www.cbc.ca/news/
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