Storie di badanti. Quando i bisogni umani di lavoro e salute si incontrano
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“Secondo i dati Eurostat 2023, l’aspettativa di vita in Europa è cresciuta di quasi un punto in“percentuale rispetto al 2022 e l’Italia risulta seconda in quanto a longevità subito dopo la Spagna. Tuttavia si tratta di una buona notizia solo parziale. Come riferisce il Sole 24Ore “Circa“un terzo degli over 75 presenta una grave limitazione dell’autonomia e per un anziano su 10“questa incide sia sulle le attività quotidiane di cura personale che su quelle della vita domestica” Oltretutto, molti ultra sessantacinquenni presentano condizioni di multimorbilità, quando alle“difficoltà motorie e sensoriali o a particolari patologie organiche si aggiungono stati di regresso cognitivo più o meno grave, come la demenza senile o l’alzheimer.
Chi si prende cura di questa“vasta fetta di popolazione anziana che vive, sì, oltre gli 80 e anche i 90 anni, ma con grandissimi bisogni di accudimento e di assistenza? Ovviamente, la responsabilità diretta ricade in primo luogo su figli e parenti stretti, che diventano i primi “care giver” dei loro familiari anziani. Secondo un’inchiesta de “Il Corriere della Sera”, “sono almeno un milione gli italiani che“dedicano un pezzo importante delle loro giornate (e nottate) ad assistere parenti non più “autosufficienti”. E’ un lavoro di cura e di assistenza che comporta anche degli enormi costi psicologici. Spesso il figlio badante finisce in depressione. Specie se si tratta, termine crudo ma efficace, di un «assistente sandwich»: che deve badare, cioè, non solo ai genitori anziani ma anche ai figli ancora in casa”.
Ovviamente, i bisogni dei figli (o di altri parenti) sono anche quelli di poter aver una loro vita, nella quale rientrano anche inevitabili carichi di lavoro e di famiglia. Che comportano doveri e responsabilità, oltre all’esigenza, non meno importante, di avere tempo da dedicare ai propri interessi o agli svaghi e al relax, da soli o con coniugi e figli. Eppure l’anziano richiede cure“continue e impegnative. L’alternativa sarebbe quella di farlo ricoverare in una RSA. In molti casi questo succede, quando i figli si trovano nella oggettiva impossibilità di erogare al proprio congiunto le cure necessarie.
Ma anche questa soluzione alle volte risulta impraticabile, intanto per gli altissimi costi delle Case di Riposo, insostenibili per anziani con un reddito da pensione non adeguato ad affrontarli, neppure se integrato da reversibilità o da indennità di accompagnamento. Ma c’è anche un altro motivo che rende non auspicabile questa soluzione. E’ che molte persone anziane, soprattutto se hanno conservato interessi personali e lucidità sufficiente, soffrono a staccarsi dalla loro casa, dai loro oggetti, dalle loro abitudini. Il loro grande bisogno è quello di prolungare il più a lungo possibile, possibilmente fino alla fine, la permanenza nell’ambiente domestico che è stato quello della loro vita, per anni e anni, dove hanno vissuto con il coniuge, dove hanno cresciuto i figli, a contatto con gli oggetti, a volte con gli animali, che per loro sono stati motivo di soddisfazione“esistenziale ed affettiva.
E allora? Inevitabilmente, i bisogni umani degli anziani possono venire a confliggere con i bisogni, altrettanto imprenscindibili, dei loro parenti, con lacerazioni
emotive non facili da gestire. E con ripercussioni anche sul piano della salute fisica e mentale degli uni e degli altri. Secondo i dati di uno studio condotto in Emilia – Romagna dall’associazione “Anziani” in due casi su tre il parente badante ha almeno un sintomo tra insonnia, crisi di collera o di pianto, e stanchezza cronica. La metà dice di aver bisogno di aiuto”. Sicuramente per gli anziani lasciare la propria
casa per andare in una struttura è una grandissima causa di stress, che può determinare la maggiore rapidità di un declino psicofisico.
Intanto, per la perdita di uno spazio conosciuto, con conseguente disorientamento ansiogeno culminante a volte in vera e propria depressione. Ma anche perché molti anziani si rendono ben conto che l’ingresso in una Casa di Riposo significa per loro l’inizio della fine e che la loro prospettiva futura ormai si riduce all’attesa della morte. Sanno che nella loro casa non“torneranno mai più. Restarci invece, pur con tutti i limiti della loro ridotta autonomia, significa“allontanare indefinitamente questa idea della fine e comunque poter trascorrere il tempo di vita che resta tra cose note e abitudini ormai consolidate. Per cui, molti di loro tendono a evitare l’abbandono della propria abitazione.
Anche molti familiari si rendono conto di questo pesante risvolto psicologico per il loro congiunto, ma, come si è detto, se da un lato rispettano questo suo bisogno essenziale, dall’altro però non ce la fanno a caricarsi essi stessi della delicata funzione di “care giver” h24. E allora? E allora non resta che una soluzione: trovare una badante o un badante che la svolga al loro posto come lavoro retribuito. Ma chi è il/la badante? Secondo il Rapporto Domina “si tratta di un settore caratterizzato da unaforte presenza straniera, soprattutto dell’Est Europa, e da una prevalenza femminile, anche se negli ultimi anni si è registrato un aumento sia degli uomini che della componente italiana”. Tra l’altro, si tratta di un settore lavorativo che, insieme a quello delle colf, presenta un alto tasso di irregolarità, sempre secondo il suddetto rapporto “la percentuale più alta di tutto il mercato dellavoro nel nostro Paese”.
Ma che tipo di impegno lavorativo viene richiesto esattamente alle/ai badanti, con quali diritti e con quali obblighi?
Per entrare in maniera più diretta e consapevole nel cuore del problema, ho rivolto alcune domande, una piccola intervista, a tre badanti donne di mia conoscenza: Valentina, Genet e Carmen.
Intanto, da dove provengono e da quanto tempo sono in Italia? Come ci sono arrivate? In che consiste esattamente il loro lavoro? Quali sono le problematiche che devono affrontare? Come sono in genere i rapporti sia con i loro assistiti che con i datori di lavoro, ossia, figli e parenti degli anziani? E ancora: perché hanno scelto di fare quel tipo di lavoro? Infine: quali sono le loro prospettive per il futuro?
Intanto, le tre signore da me intervistate provengono da Paesi diversi e distanti: Valentina viene“dalla Moldavia, Genet dall’Etiopia e Carmen dal Perù. Tutte e tre sono in Italia da 15 anni circa. Delle tre, solo Genet aveva già un regolare contratto di lavoro, perché una sua amica l’aveva messa in contatto con una famiglia che aveva bisogno di una badante. Le altre due sono arrivate come “clandestine”, avendo come punto di riferimento una parente o una connazionale. Ma, dato il grande bisogno che c’è di assistenza agli anziani, non hanno avuto molta difficoltà a“essere assunte e regolarizzate. Valentina mi ha anche raccontato che nel suo Paese, per venire in“Italia, ha dovuto contrarre un grosso debito per il viaggio e una prima sistemazione. Debito che poi, naturalmente, ha dovuto ripagare con il suo lavoro.
Nel corso della loro permanenza in Italia, hanno cambiato più volte persone da assistere, in“genere ultranovantenni, completamente, parzialmente o per nulla autosufficienti, ma comunque bisognosi di assistenza fisica e di aiuto nella gestione delle incombenze quotidiane. Non sono mancati neppure casi di assistiti con problemi di demenza o anche di alzheimer (soprattutto, agli inizi, per Valentina e Genet). Per quanto riguarda il loro lavoro, il vantaggio rispetto ad altri lavoratori immigrati è che lebadanti, oltre ad avere uno stipendio fisso, possono contare su vitto e alloggio garantiti. Le spese per le loro necessità personali sono ridotte al minimo, sicché la maggior parte del guadagno loutilizzano per aiutare le famiglie nel Paese d’origine.
Tuttavia, il loro lavoro è atipico rispetto ai diritti di solito riconosciuti, richiede un impegno continuo e costante, h 24, almeno per cinque giorni e mezzo alla settimana. Dovrebbero usufruire per contratto di mezza
giornata e di un“intero giorno liberi (di solito, sabato pomeriggio e l’intera domenica). Inoltre, avrebbero diritto a“due ore di libertà ogni giorno, ma il più delle volte anche questo tempo viene impiegato per“soddisfare le necessità dell’assistito, ad esempio, per fare la spesa.
E succede alle volte (aValentina è successo) di restare a lavorare anche il sabato pomeriggio e la domenica, naturalmente con una aggiunta al loro stipendio mensile, che di solito si aggira sui 1.400 euro. D’altronde, per una assistenza continua
all’anziano, se ci si dovesse limitare a un lavoro di otto“ore al giorno, come dovrebbe essere per contratto normale, ci sarebbe bisogno di assumere trebadanti allo stesso costo e questo è impossibile per la maggior parte delle famiglie. I datori di lavoro infatti, il più delle volte, sono lavoratori anche loro, con carichi di famiglia. La persona assistita può usufruire, come già detto, di una pensione con aggiunta di indennità di accompagnamento (non sempre riconosciuta) e non può quindi permettersi la spesa di tre badanti. Solo le famiglie più facoltose assumono più badanti, facendole lavorare per turni. Ma non è il caso delle tre persone da me intervistate. Un altro problema che riguarda questo lavoro è la sua precarietà. Esso dura finché l’assistito“rimane in vita oppure a casa sua, ma viene perso in caso di decesso dell’assistito oppure se la famiglia decide di farlo ricoverare in una struttura. In questi casi ovviamente la badante viene licenziata. Usufruisce per un certo periodo della indennità di disoccupazione, però perde il diritto al vitto e all’alloggio. Quindi, è nel suo interesse cercarsi nel più breve tempo possibile un’altra sistemazione. Si vive allora un grande periodo d’incertezza e bisogna contare sull’aiuto dei connazionali. In genere, un altro lavoro lo si trova abbastanza in fretta, ma l’incertezza“aumenta con l’avanzare dell’età e l’eventuale peggioramento delle proprie condizioni di salute. Inoltre, bisogna dire che il lavoro della badante è ad alto carico relazionale e richiede un altissimo grado di responsabilità, quindi comporta un notevole stress sia fisico che emotivo.
Come già detto, i problemi anzitutto derivano dalle persone assistite, che alle volte sono anchepiù di una, quando si tratta di una coppia di coniugi. Da non sottovalutare le difficoltà comunicative, specialmente per chi non parla italiano e non ha avuto né il modo, né il tempo difrequentare almeno un corso per imparare l’italiano basico.
Valentina racconta che all’inizio ha trovato molte difficoltà per questo motivo e si sforzava di guardare la TV per cercare di capire. Poiché lei, moldava, parla il rumeno, se non altro era incoraggiata dal fatto che molte parole nelle due lingue si somigliano, soprattutto parole che indicano oggetti d’uso comune, come pane, acqua, bottiglia.
Anche Genet l’italiano lo ha imparato sul campo, ossia nella casa dove lavorava, cercando di memorizzare tutti i termini che potevano tornarle utili.
Per Carmen, peruviana ispanofona, era più facile farsi comprendere. A volte però subentravano problemi di altro genere.
Mi racconta Genet che per lei, africana, c’era un problema in più, in quanto le famiglie spesso preferiscono le donne dell’est, perché bianche. Lei, dopo alcune diffidenze iniziali, non ha“avuto difficoltà ad essere accettata, anzi, ha avuto anche da parte dei suoi datori di lavoro notevoli riconoscimenti per la sua bravura nel lavoro e anche per la sua notevole predisposizione alla pazienza e all’empatia. Ma una sua sorella ha dovuto lasciare l’Italia e andare in Gran Bretagna, perché non trovava lavoro in quanto “di colore”. Anche il carico di responsabilità sul lavoro è notevole. Specialmente quando la persone assistite hanno problemi di regresso cognitivo.
Come è successo a Genet e a Valentina. La prima doveva“seguire un anziano malato di alzheimer che doveva essere controllato in tutti i suoi spostamenti“per il timore che cadesse e si facesse male. Soprattutto perché quel signore amava molto aprire la porta d casa e avventurarsi per le scale. Quindi doveva essere guardato a vista. Valentina, agli“inizi, ha seguito una signora anziana, anche lei affetta da demenza. Questa signora aveva le allucinazioni, s’immaginava di vedere altre persone e l’accusava di cose strane. Per esempio, di“fare entrare di nascosto in camera sua l’amante, durante la notte. Valentina aveva una stanza tutta per sé, ma nel timore che la signora di notte si alzasse per andare in bagno e cadesse, aveva finito per dormire con lei. Con quali risultati sulla sua possibilità di fare sonni regolari e“tranquilli, si può ben immaginare. Questo è capitato anche a Genet. Solo che al mattino i loro assistiti potevano ben dormire, ma loro no, perché dovevano occuparsi di tutto il resto.
Anche Carmen ha dovuto seguire una signora, non particolarmente anziana, ma particolarmente“esagitata perché aveva un marito terminale. Ripeteva le stesse cose fino allo spasimo e non le stava mai bene niente. Finché le figlie non hanno deciso di portarla in struttura. Sui rapporti con i familiari dei loro assistiti tutte e tre dicono di non avere mai avuto grossiproblemi, anzi, di essere state sempre trattate bene e aiutate nell’integrazione.
Valentina haavuto dai suoi datori il lavoro il permesso di poter seguire un corso di italiano. Genet è stata incoraggiata da una delle sue datrici di lavoro a prendere la patente di guida, che ora le torna“molto comoda. Anche Carmen sostiene di avere avuto sempre buoni rapporti con i suoi datori di lavoro. “Sono gentili e non se la tirano”. Certamente questo dipende anche dal fatto che i figli degli assistiti si rendono conto di quanto le badanti li sollevino dal loro lavoro di cura. Per il“resto, le situazioni divergono da caso a caso. Alcuni parenti sono molto collaborativi con le badanti, altri molto meno, tendono di più a scaricare su di loro tutte le incombenze, da quelle burocratiche a quelle di assistenza e di cura. Comunque, tutte e tre affermano che il loro lavoro“richiede una grande assunzione di responsabilità, che è molto stressante. Questo può comportare anche per loro problemi di salute. Soprattutto Valentina mi ha raccontato che, durante la
sua prima esperienza lavorativa, soffriva di crisi d’ansia che spesso si trasformavano in veri e propri attacchi di panico. Mi ha confidato: Avevo paura di morire e che poi nessuno si“sarebbe interessato di rimandare il mio corpo al mio Paese!”.
Infatti un altro problema è che hanno paura di ammalarsi esse stesse, sia perché non hanno vicino persone che si possano“prendere cura di loro, sia perché potrebbero essere licenziate. A nessuna di loro tre è successo, ma ad altre di loro conoscenza sì. Ma perché le badanti scelgono di fare questo lavoro, così lontane da casa loro? Perché
risponde a dei particolari bisogni. Intanto, lo stipendio che percepiscono, pur a costo di tanti sacrifici, permette loro di sostenere le famiglie nei Paesi d’origine e a volte le comunità di villaggio. Ma, poiché il valore reale dell’euro in quei Paesi è di solito molto più alto che da noi, permette anche di accumulare un po’ di risparmi per realizzare il loro sogno: comprarsi una casa! Non era forse anche questo il sogno dei nostri emigrati?
Però, il loro desiderio più grande – e questo me lo“confermano tutte e tre – è dare un futuro diverso ai figli, permettendo loro un’istruzione che li metta in grado di avere un lavoro sicuro, dignitoso, retribuito il giusto. Anche se proprio per“questo tutte e tre hanno dovuto abbandonare, a volte per anni, i loro figli nei Paesi d’origine, lasciandoli alle cure di parenti. Ma almeno questo sogno tutte e tre lo stanno realizzando. Valentina ha due figlie ormai adulte. La più giovane vive anche lei nel paese dove la madre lavora, si è sposata e ha un bellissimo bambino. L’altra – la maggiore – ha voluto rimanere nel suo Paese dove è diventata una giornalista molto affermata. Carmen ha cinque figli perché – come lei stessa ha ricordato – in Perù spesso succede che le donne, fin da ragazze, vengano messe incinte e poi abbandonate al loro destino. Ma lei è riuscita, grazie al suo lavoro, a portare tutti i“suoi figli in Italia. Mi dice testualmente: “La mia grande soddisfazione è che con il tempo ho“potuto portare qui i miei cinque figli. Sono grandi, hanno fatto famiglia e hanno un lavoro”.
Genet ha tre figli, due maschi e una femmina. I due ragazzi hanno completato gli studi superiori“e ora hanno un lavoro. Il maggiore si è anche iscritto all’Università. La più giovane ha appena terminato le scuole medie e dovrebbe frequentare il quinquennio delle superiori.
Anche Genet“mi dice: “Ci tenevo molto a fare studiare i miei figli in Italia. Nel nostro Paese le scuole sono molto costose e i ragazzi non sono ben seguiti come qui”. Chiedo a Genet: Ma non avete anche voi il problema dei genitori anziani? Mi guarda sorridendo e mi risponde: “Rita, ma da noi, se gli anziani arrivano a sessanta anni, è già un miracolo!
Per quanto riguarda l’ultima domanda, come vedono il loro futuro, Valentina non ha dubbi. Quando la signora che assiste non ci sarà più, visto che ormai le figlie sono sistemate, tornerà al suo Paese e si godrà la sua casetta. Caso mai, verrà in Italia di tanto in tanto, per fare qualche“sostituzione e per godersi il nipotino. Anche Carmen ha le idee chiare. “Alla mia età non si hanno“grandi aspirazioni. Vorrei stare bene di salute, continuare a fare questo mestiere finché potrò e“se mi prendono”.
Genet, che è la più giovane delle tre, è anche la più volitiva. Infatti ha realizzato una sua grande aspirazione: prendersi il diploma di scuola superiore. Anche in questo l’hanno aiutata i suoi datori di lavoro, perché le hanno permesso per tre anni di frequentare un corso serale a Torino. Però ha dovuto sacrificare la domenica come giorno di libertà. Adesso vorrebbe“avere l’opportunità di frequentare un corso come assistente domiciliare e
A volte capita che io senta dire a qualcuno: “Ma questi stranieri, dovrebbero tornarsene al loro Paese. Ci stanno invadendo”. O squisitezze simili. Rispondo: “Sì, ma dovrebbero farlo tutti però!Anche le badanti che lavano il sedere ai nostri vecchi, i muratori che salgono sulle transenne a“rischio della vita, i braccianti agricoli che guadagnano sei euro l’ora spaccandosi la schiena al freddo o sotto il sole cocente per raccogliere frutta e verdura. Sono tutti stranieri. Pensate quanti bei posti di lavoro si libererebbero per gli italiani!”. Mi lanciano un’occhiata viperina, ma non mi rispondono.“
Rita Clemente
Scrittrice. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute
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