Storie di lavoratrici dell’Est in Italia. Duro lavoro e affetti spezzati

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Una delle più importanti funzioni del giornalismo è quella di dare voce a chi non“può fare sentire la sua voce, perché messo ai margini di una società opulenta,“sazia e soddisfatta, che nutre il suo orgoglio sfruttando lo stato di bisogno di altre“persone.

Nel nostro Paese, molte di queste persone sono straniere, ma non solo. A loro bisogna dare voce. E non c’è nulla di meglio che riportarne la storia, il vissuto, attraverso il “réportage narrativo”, la forma di scrittura che usa Stefania Prandi nel libro “Le madri lontane”, edizioni People, dove narra le vicende di alcune lavoratrici agricole rumene, impegnate a lavorare alla raccolta delle fragole o dei pomodori nelle campagne di Basilicata, Calabria, Puglia. Da qui ho tratto la storia di Clea, una lavoratrice rumena. A cui ho aggiunto la storia di Fiodotiza, rumena anche lei e di Elena, ucraina, due badanti il cui racconto è stato raccolto e poi trasmesso a me dalla mia amica e collaboratrice Nadia Joara, moldava.

Comincerò con il riportare alcuni brani della storia di Clea, non nell’ordine in cui sono narrati dalla scrittrice, ma per puntualizzare alcuni aspetti drammatici della loro vita di lavoratrici agricole in Italia. Innanzi tutto, le condizioni di lavoro. Le lavoratrici agricole raccolgono le fragole nelle serre, al buio di notte con piccole torce appese alla fronte. Dalla notte alla mattina, ma l’escursione termica in aprile è di oltre dieci gradi. Sudano e non possono alleggerirsi perché rischiano di ammalarsi. Dormono circa tre ore al giorno. Il lavoro provoca dolori lancinanti alla schiena, per questo alcune preferiscono“trascinarsi con le ginocchia da una pianta all’altra procurandosi lividi e sbucciature. Perché lavorare di notte? La motivazione ufficiale è il caldo, ma mi lascia perplessa. In molte aziende agricole, nelle serre, si lavora di giorno anche fino a luglio. E’ più probabile che i turni notturni siano un modo per evitare possibili controlli e retribuire senza problemi le lavoratrici sei euro e cinquanta invece di nove… scrive la giornalista.“Ci consideravano degli schiavi e pensavano che fossimo pure idioti. Mentre lavoravamo ci chiedevano se sapessimo cosa fosse un pomodoro, se l’avessimo mai visto prima. Promettevano sempre di pagarci, ma avevamo mesi di stipendi“arretrati. Non potevamo permetterci di arrabbiarci e andarcene perché avremmo perso il denaro che ci dovevano. La mia vita è così, costellata dalle difficoltà. Non sono l’unica, anche le altre rumene e bulgare hanno un’esistenza faticosa. Sul lavoro ci umiliano, ci urlano dietro, ci ricattano, cercano di piegarci, ci fanno sentire degli scarti perché siamo“straniere”.

Un altro, grosso problema riguarda la loro salute. Alcune, non abituate al cibo, alla vita di qui, agli stress, si ammalano di tumore. Come la sua amica Elena. “Non se la sente più di farsi visitare. Stamattina è andata nel reparto oncologico, si sta sottoponendo al terzo ciclo di chemioterapia ed è distrutta…Elena…ha delle metastasi, non vuole rientrare in Romania, nonostante l’insistenza del figlio. A volte litigo con certi datori di lavoro per i discorsi che fanno. Sembra che, siccome siamo straniere, la sanità sia un premio per noi e non un diritto. Una padrona ripeteva in continuazione: “ Voi ve ne state qui e vi prendete la nostra“disoccupazione, l’assistenza medica e la pensione

Ma il problema più pesante da sopportare per loro, quello che costituisce una vera e propria lacerazione affettiva, è il fatto che siano costrette a lasciare i loro figli nel Paese d’origine, a volte per anni. Questo provoca alle madri e ai figli una sofferenza indicibile. A volte i rapporti si spezzano addirittura, perché i figli, sentendosi abbandonati, non vogliono più saperne delle madri. Alcuni di loro sono addirittura arrivati a suicidarsi. Con altri, per fortuna, i rapporti continuano a sussistere, su un piano accettabile di scambio affettivo oppure di conflittualità, ma se non altro gestibile.“Ho due figlie – racconta Clea – una di 25 e l’altra di 15 anni. Con la prima ci sentiamo tutti i giorni, siamo come sorelle. La seconda invece non vuole più parlarmi, non la vedo da due anni. Non è facile, Dentro muoio. Piango in casa, da sola, per ore. Poi mi infilo nella doccia, mi vesto, mi pettino, mi trucco, esco e fingo di stare bene. Anche altre donne con i figli lontani si comportano come me. A volte, nelle serre, le sento confidarsi fra loro, con gli occhi pieni di lacrime. Il giorno dopo arrivano con aria di indifferenza, come se non si fossero mai scambiate quei segreti. Siamo sole con il nostro dolore”.

E la scrittrice puntualizza: “Secondo una ricerca recente di Save the Children Romania, oltre mezzo milione di minori rumeni…aveva, nel 2022, almeno un genitore all’estero. Dei bambini conteggiati dall’organizzazione non governativa, 184.000 sono rimasti del tutto“senza cure parentali dirette, con entrambi i genitori espatriati. I “senza madre”“erano 155.000. L’Italia, la Spagna e l’Austria sono le prime tre destinazioni per la migrazione femminile. Il venti per cento delle donne migranti è occupato nel“settore agricolo”.

Riporto adesso la storia di Fodotiza, rumena, e di Elena, ucraina, raccolte da Nadia.

Questa è la storia di Fiodotiza.“Mi chiamo Fiodotiza, sono rumena, vivo in Italia da dieci anni. Quando sono partita da casa ho pensato che vengo in Italia per due o tre anni, massimo quattro, ma sono passati già dieci. Sono venuta per aiutare i miei figli e anche per guadagnare per la mia vita, perché“sono rimasta vedova, quando c’era mio marito era unico lui che lavorava, dopo la sua morte non avevo soldi per l’esistenza. Ho deciso di venire in l’Italia perché qui“c’era una mia amica che mi ha promesso di aiutarmi. All’inizio ho lavorato a Napoli perché lì c’è la mia amica. Stavo con una signora, poi la figlia della signora che abitava a Torino ha voluto prenderla e portarla che vivesse insieme a lei, così anch’io ho cambiato Napoli per Torino, non mi è dispiaciuto perché non ero tanto legata a Napoli. Ma stando qua ho visto che c’è tanta differenza tra le persone di qua con quelli di là. Poi qui la signora è mancata. Ho fatto anche altri lavori ma sempre come badante, perché io qua non ho una casa e quindi cerco sempre lavoro come badante per avere anche una“sistemazione di vita. Adesso lavoro con una signora di 89 anni che sta a letto. Sono sola con lei, il figlio arriva una volta alla settimana, a volte anche una volta in due settimane. Nessuno mi dà una mano, faccio tutto da sola. Il figlio mi lascia i soldi e io faccio la spesa, compro le medicine, vado dal medico. Quando esco di casa la signora la lascio da“sola ma lei mi capisce. Io gli spiego bene che cosa deve fare e quanto tempo starò fuori, cerco sempre di fare le cose veloci per non lasciarla tanto tempo sola. Anche se nessuno mi dà una mano mi sento molto bene in questo lavoro perché decido tutto io. La casa me la tengo pulita, la signora è sempre pulita e cambiata, le taglio i capelli, gli faccio la piega, anche le unghie gli faccio, mi piace quando la signora è messa a posto bene, perché guardo le sue foto del passato e vedo che ci teneva“al suo aspetto. Penso che sono pagata bene per il lavoro che faccio, perché il figlio mi dà i soldi per sabato e domenica e anche per quelle due ore in cui nessuna mi dà il cambio. Quindi io sono contenta. Nel mio Paese non torno spesso, perché mia figlia è in Germania con la famiglia e ha due bimbe, quando ho la vacanza vado da loro e gli do una mano con le bambine. Ma anche mi piace stare con loro, così sento un po’ il calore della mia famiglia. Mio figlio è anche sposato ma con la nuora non vado tanto d’accordo, quindi evito di andare da loro. Per i miei figli desidero di vederli felici e non vorrei che loro facessero il lavoro che faccio io, di più penso questo per mia figlia, perché lei deve godersi la famiglia, io posso fare questo lavoro perché sono vedova. Questo è un lavoro difficile perché un po’ annulli la tua vita, annulli te stessa per badare a un’altra persona. Adesso il lavoro è tranquillo e mi sento molto bene con la signora ma in passato ho avuto anche dei lavori difficili dove mi sentivo come in galera. Al futuro non ci penso, vivo con il giorno di oggi, spero di avere buona salute per riuscire ancora a fare questo lavoro, perché non so cosa potrei fare altro”.

E questa è la storia di Elena. “Mi chiamo Elena, sono in Italia da 24 anni, arrivo dall’Ucraina ma sono nata in Russia, sono nata proprio a Mosca. Mio padre era militare e noi con la mamma l’abbiamo sempre seguito, perché grazie al suo lavoro abbiamo cambiato tanti posti di vita. L’ultimo trasferimento di lavoro è stato in Ucraina e lì siamo rimaste a vivere perché poi l’Unione sovietica si è divisa. Mio padre è mancato, io con la“mamma siamo rimaste a vivere in Ucraina, invece mio fratello è andato a vivere in Russia. Sono arrivata in Italia in seguito a una forte crisi economica che abbiamo avuto nel nostro Paese. Io lì ero un ingegnere nella fabbrica, qui invece ho lavorato di tutto: ho fatto la badante, ho fatto venditrice al mercato, ho fatto le pulizie. Adesso invece lavoro come badante con una signora di 94 anni. Sono molto contenta di questo lavoro perché Sergio, il figlio della signora, ci tratta molto bene. In realtà con la signora lavoriamo in quattro, io faccio la badante di giorno, ho un contratto regolare, il mio orario è dalle 8:00 di mattina fino alle 21:00 di sera. Poi per la notte arriva Claudia, una signora rumena, lei dorme nella stanza con la signora e io ho un’altra stanza per dormire ma a volte vado anche a casa mia e torno alla mattina presto. Per sabato e domenica arriva Nicoletta, rumena anche lei. E poi c’è Maia dalla Giorgia, che viene a fare due ore tutti i giorni, così io mi riposo o faccio una passeggiata. Durante il giorno io faccio di tutto: lavo e cambio la signora, le do le medicine, cucino e do da mangiare alla signora, mangio anche io, quasi tutti i giorni facciamo“una passeggiata con la signora, la porto con la sedia a rotelle. Non faccio la spesa perché è Sergio che ci porta sempre i prodotti. Da mangiare abbiamo in abbondanza, Sergio porta di tutto da mangiare per la sua madre e anche per noi, di questo sono molto contenta perché al lavoro di prima non si mangiava bene.
Non ho nessuna difficoltà al lavoro, voglio tanto bene alla signora e anche lei a me, con il figlio anche abbiamo buoni rapporti. Lui vuole bene a tutti noi quattro. A ogni festa ci fa dei regali, parlo di Natale e di Pasqua. Mi piace tanto perché non ci fa dei regali uguali, a ognuna regala qualcosa che gli piace, è molto attento. Il lavoro mi dà tante soddisfazioni, la soddisfazione più grande è che con i soldiche ricevo riesco a mandare avanti la mia vita qua e ad aiutare la mia famiglia in Ucraina, poi adesso che c’è la guerra da noi, servono più soldi. Quando sono arrivata qua a casa ho lasciato mia madre con due miei figli, c’era anche mio marito, ma poi ci siamo persi, perché la lontananza fa brutti scherzi. Lui si è innamorato di una più giovane e poi anche io qua ho conosciuto Gigi e ci siamo sposati. Prima era solo mia madre con due miei figli da mantenere, adesso ho anche quattro nipotine e la quinta è per strada, sta arrivando. Sia mia figlia che mio figlio si sono sposati. Mio figlio fa il servizio militare, fa la guerra. Adesso l’hanno lasciato a casa perché deve partorire sua moglie, gli hanno dato due mesi di vacanza. Quando lui è a casa Io sono tranquilla ma quando lui è sul fronte tutto il giorno il mio pensiero èverso di lui. Nel mio Paese è da tanto che non sono andata, ancora da prima della guerra, nonsono andata perché aveva paura di non poter ritornare, ma come qua avevo mio marito che non stava tanto bene, non potevo lasciarlo non avendo la certezza di tornare indietro. Poi in quest’anno mio marito è mancato. Quando mio marito era vivo il nostro pensiero era di andare in Ucraina quando lui iniziava a prendere la“pensione, ma adesso che lui non c’è più l’idea di andare a vivere in Ucraina mi è sparita, mi sonoaccorta che la mia casa è qua. Un mese fa ho fatto arrivare qua la mia figlia con le due nipotine più grandi, così ho sentito un po’ il loro affetto e ho“dato anche il mio, forse io ho dato di meno perché ero molto addolorata dalla perdita del marito, loro invece mi hanno dato tanto calore e amore. Se non facevo la badante, mi sarebbe piaciuto di fare la traduttrice, in passato cercavo qualcosa del genere, qualcuno mi aveva promesso ma poi alla fine non è“uscito nulla. Potevo fare anche la baby-sitter perché per un periodo l’ho fatto e mi è piaciuto tanto. Cosa posso desiderare per i miei figli? solo la pace, la pace nel nostro Paese e nel“mondo intero. Ogni giorno prego che a mio figlio non succeda nulla, che le mie nipotine abbiano una infanzia felice. Io ho un fratello in Russia e non parlo con lui perché l’ultima volta che l’ho sentito lui mi parlava delle sue due nipoti che hanno fatto una festa alla scuola e loro erano felici ed io subito ho pensato che i bambini russi portano avanti la loro vita felice, invece i bambini ucraini si nascondono sotto la terra dai bombardamenti, non riescono a frequentare la scuola perché ogni giorno c’è allarme di bomba. Voglio tanto che finisca questa guerra, che nel mio Paese torni la vita normale anche se sembra impossibile avere una vita normale dopo tutto quello che succede.

Quali conclusioni possiamo trarre da queste storie ed eventualmente da molte altre simili Io traggo le mie, alcune brevi considerazioni. Facciamo presto a dire: “Ma che cosa vengono a fare qui? Se ne stiano a casa loro! Ci rubano il lavoro!” E altre sciocchezze del genere. Intanto noi a tavola abbiamo la nostre belle fragole, i nostri succosi pomodori. E non ci chiediamo: chi li ha raccolti? Con quale fatica?
Con quanto sfruttamento? Con quale sofferenza fisica? Con quali e quante lacerazioni affettive?

E i nostri vecchi! Ma noi abbiamo da lavorare, abbiamo la nostra famiglia, non possiamo occuparci anche di loro! Ma sì, ci sono le badanti, per fortuna!

Donne che rinunciano alla loro vita, ai loro affetti, per stare dietro ai nostri vecchi! Che cosa fa la differenza? Il valore dei soldi! Perché, con quei soldi che noi diamo loro per toglierci il fastidio, loro possono mantenere le loro famiglie!

E ancora: ma sì, mandiamo armi, così proseguiranno la guerra fino alla vittoria. Intanto non ci rendiamo conto che a morire in guerra ci vanno i poveracci, quelli delle classi disagiate o delle popolazioni di serie B. Coloro che hanno i soldi, li hanno trasferiti per tempo in banche sicure, si sono trasferiti essi stessi, per sfuggire ai pericoli della guerra. E si godono la vita!

Questo vale sia per gli Ucraini che per i Russi. Ultima considerazione. La signora ucraina nel suo Paese era ingegnere di fabbrica, qui fa la badante. La mia amica moldava nel suo Paese, a suo tempo, ha potuto studiare e si è anche laureata. Qui, per sopravvivere e mantenere la sua famiglia, fa la collaboratrice domestica. E lavorano con grande impegno e grande dedizione. L’Unione Sovietica, il contesto dove loro avrebbero sicuramente avuto un destino diverso, non c’è più. Abbiamo più libertà, abbiamo più diritti umani, riconosciuti per tutti e tutte? Così, me lo chiedo!

Intanto, abbiamo ancora uno stato di guerra, che, invece di ridursi, si va espandendo. E, ultima mia considerazione, a me non sembra tanto una guerra fra Stati, ma una guerra per l’accaparramento di territori e risorse dei più ricchi a danno dei più poveri. I quali sono costretti o a fare la guerra per noi, oppure a fuggire e a sopravvivere in condizioni di sfruttamento. Ma noi anche oggi mangeremo tranquilli i nostri bei pomodori, le fragole o le arance, a“seconda della stagione!

Rita Clemente

in collaborazione con Stefania Prandi e Nadia Jioara

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