Storie di sfruttamento e vite precarie nella distribuzione
L’anti-storytelling
Le pagine di questo libro sono importanti perché rappresentano un tentativo, a mio giudizio pienamente riuscito, di contro-narrazione dei fasti del neoliberismo.
Anni addietro, i movimenti politici, sociali e i sindacali di base si avvalevano della pratica della “contro-informazione”, cioè della capacità di veicolare attraverso la stampa, i volantini e le radio libere le verità “scomode” che contraddicevano, denunciavano e svelavano la “versione ufficiale”, quella emessa dalle questure e dai dicasteri, dalle segreterie nazionali dei partiti e dei sindacati, dagli uffici del personale e dalle redazioni dei giornali italiani, da sempre di proprietà di un’oligarchia composta dai grandi gruppi industriali.
La contro-informazione ha nutrito e fatto crescere sani e forti migliaia di ragazze e ragazzi, studenti e operai, docenti e lavoratori dei servizi, li ha presi per mano e fatti conoscere, gli ha fornito gli argomenti con cui esprimersi nelle assemblee, nella manifestazioni, nei luoghi di lavoro. La contro-informazione ha prodotto un pensiero altro da quello ufficiale: il diritto alla lotta di classe, da cui nacque lo Statuto dei diritti dei lavoratori.
I tempi sono cambiati. Lo sappiamo, perché ci viviamo dentro. I tempi ci stanno cambiando. Oggi la moltiplicazione logaritmica di informazioni ha superato gli argini del concetto di censura, su cui si basava sostanzialmente la contro-informazione. Siamo nell’era del “mainstream”, quel fiume limaccioso che ha tracimato sulle nostre esistenze, che in continuazione cattura e trastulla e distrae la nostra attenzione, che distoglie con cadenza di metronomo la nostra concentrazione sulla realtà sociale, per spingere la nostra mente, e dunque la nostra attenzione verso una realtà virtuale che si traveste da virtuosa.
È l’era digitale, bellezza! Ma, come l’erba che cresce sotto l’asfalto e poi improvvisamente vien fuori con tutta la sua vitalità, dopo aver resistito alla bitumatura, ecco che la verità riesce a farsi strada. È quello che sembrerebbe essere successo a questo libro. Che non a caso nasce proprio da una lunga serie di post sul sito francescoiacovone.com, al quale da qualche anno si rivolgono lavoratrici e lavoratori del commercio, i quali raccontano episodi della loro vita sui luoghi di lavoro, che per noi dovrebbero essere di svago, perché secondo la narrazione neoliberista il negozio, il centro commerciale, il supermercato sono i luoghi di relax aperti in orario continuato, anche nei giorni festivi.
Quei post sono adesso diventati le pagine di un libro, questo, che non tanto denuncia, quanto narra la vita, le difficoltà, i desideri, i soprusi, le speranze, le umiliazioni di quella categoria di lavoratori che sembra destinata a un posto nell’antropologia postindustriale: le commesse, ma anche i commessi, i fattorini, le cassiere, come sacerdoti del tempio del consumo, una religione di cui tutti dovremmo essere non solo praticanti, ma addirittura bigotti, per non dire veri e propri integralisti, altrimenti “l’economia non gira”.
L’artificio della narrazione in terza persona, usato da francescoiacovone.com, non è stato solo un espediente per proteggere l’identità dei lavoratori – che già questo la direbbe lunga sul clima d’intimidazione cui sono soggetti i protagonisti delle storie che qui appaiono – in realtà, questo modo di raccontare ha trovato una felice sintesi tra vicende umane e vertenze sindacali. Qui è ancora forte il senso della novità.
Perché queste pagine aprono una nuova prospettiva che raccoglie il senso profondo dell’inchiesta politica e sindacale sulla situazione dei lavoratori del commercio in Italia, per candidarsi a essere una nuova modalità di relazione con i soggetti sociali sottoposti alle moderne angherie dello sfruttamento del lavoro salariato. L’inchiesta non è quella che producono i talk show, e che diventa chiacchiera nei salotti televisivi, nei quali invitare “esperti” in cerca di pubblico, politici in cerca di voti e sindacalisti in cerca di autocompiacimento. Quella è la paccottiglia del mainstream. Qui l’inchiesta è scoperta, condivisione e solidarietà, umana, prima ancora che sindacale.
Qui, infatti, il punto di vista non è solo politico e sociologico o di prospettiva della lotta di classe, come fu, ad esempio, “La situazione della classe operaia in Inghilterra” di Friedrich Engels, libro fondamentale, senza il quale l’idea di una classe che aveva in sé la potenzialità di cambiare il mondo non si sarebbe avverata nella Storia.
Questo libro ha invece, ma oserei dire in più, l’idea di una discontinuità nella storia della conquista dei diritti dei lavoratori italiani. Esso ci mette di fronte alla presa d’atto definitiva che il Capitale ha raggiunto un vantaggio competitivo quasi incolmabile. Che i principi di uguaglianza, che in due secoli di storia la classe operaia riuscì a sostenere e che furono alla base delle Costituzioni moderne in Europa sono stati aggirati, erosi, fatti a pezzi e spazzati via.
Sarebbe sbagliato, però, ridurre la questione a “un ritorno indietro” della dialettica della scontro tra interessi contrapposti delle classi. È vero, come ha scritto il Subcomandante Marcos “strana modernità quella che avanza indietreggiando”. Ma è anche vero che i protagonisti di questo libro non pongono solo la questione di una ribellione ai novelli “padron dalle bele braghe bianche” delle imprese del commercio.
Essi sono precari e mal pagati. Ma non lo vivono come un’eccezione. Per loro è la regola. E a questa regola contrappongono non un’idea residuale di giustizia sociale, ma, come se andassero oltre la rivendicazione di una “normale” vita di sfruttamento, legittimata da un contratto a tempo indeterminato, essi pongono la questione di una sana e pragmatica richiesta di felicità personale e con i loro cari.
Quando diventa un desiderio collettivo, la felicità come obiettivo da perseguire è la più potente, visionaria, lungimirante, rivoluzionaria delle prospettive politiche e sindacali.
E allora, tuffiamoci nella contro-narrazione, nell’anti-storytelling che sindacalisti come Iacovone hanno saputo raccogliere e che l’Usb sta sperimentando con la pubblicazione di questo libro.
Sindacalisti di base e lavoratori consapevoli che la dignità e felicità non sono in vendita. “Not for sale”, appunto.
Il libro lo potete acquistare on-line
576/2016
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