Storie di un dio bugiardo e sciocco
di Sandro Moiso
Frank B. Linderman, Attorno al fuoco (a cura di N. Manuppelli), Mattioli 1885, Fidenza (PR) 2023, pp. 156, 10 euro
«Ormai avete capito che il Vecchio non sempre era saggio, anche se ha creato il mondo e tutto ciò che contiene. Spesso si ficcava nei guai, ma poi in qualche modo accadeva sempre qualcosa per cui riusciva a cavarsela.» (Aquila di Guerra, stregone dei Blackfeet)
In periodi come questo, in cui il male di vivere occidentale si manifesta con tutte le sue contraddizioni, convulsioni e i suoi disastri che, oltre che a precederne la fine inevitabile, non risparmiano i popoli che non hanno ancora voluto sottomettersi alle sue leggi, ideologie e condizioni, può rivelarsi utile affrontare letture come quella proposta da Mattioli 1885 con il testo di Frank Bird Linderman appena pubblicato.
Il testo pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1915, con il titolo “Indian Why Stories: Sparks from War Eagle’s Lodge-Fire”, sotto le innocenti apparenze di una raccolta di racconti per bambini nasconde una visione del mondo, della natura e del divino distanti anni luce da quella imposta a suon di cannoni, inquisizioni e violenze dall’Occidente fin dall’inizio delle sue avventure e conquiste coloniali.
A riportarci indietro nel tempo e alle fondamenta di culture ormai scomparse è Frank Bird Linderman (New York, 25 settembre 1869 – New York, 12 maggio 1938), uno scrittore, politico, alleato ed etnografo dei nativi americani. Nato a Cleveland, Ohio, si recò nel West all’età di sedici anni, dove si innamorò della vita sulla frontiera del Montana e delle tradizioni dei suoi abitanti originari, con le cui tribù Salish e Blackfeet, visse e cacciò per diversi anni, imparando le loro lingue e tradizioni e i loro modi di vivere. Abitudini e stili di vita a cui si adeguò talmente da diventare noto tra i Crow come “Sign-talker” o, a volte “Great Sign-talker”; mentre i Blackfeet lo chiamavano “Tooth”, i Kootenai lo conoscevano come “Bird-Singer” e i Cree e Chippewa “Occhi” o “Sings-like-a-bird”.
Tornato tra i “bianchi”, divenne in seguito un sostenitore dei diritti degli indiani delle pianure settentrionali. Scrisse delle loro culture e lavorò, anche come uomo politico eletto per il partito repubblicano nel 1902 e nel 1904, per aiutarli a sopravvivere alle pressioni degli europei americani e continuò come avvocato per i nativi americani fino alla sua morte.
Pubblicò la sua prima raccolta di storie tribali dei nativi americani nel 1915 e scrisse altri venti libri nei due decenni successivi. Scrisse per condividere ciò che sapeva sulle culture dei nativi americani e per preservare le loro storie tradizionali.
Aveva passato la sua vita a raccogliere storie, e sentiva il dovere di scriverle. Scrisse altrettanto in una lettera a un amico: “Sento che è un dovere, in qualche modo, preservare il vecchio West, in particolare il Montana, nell’inchiostro della stampante, e se posso solo realizzare una piccola parte di questo, morirò soddisfatta”. Scrisse sei libri di leggende dei nativi americani, un’autobiografia, una raccolta di storie di frontiera, sei romanzi, tre storie di animali e una raccolta di ricordi sul suo amico e artista Charles Marion Russell. Le sue opere più importanti, tuttavia, rimangono le biografie di Pretty Shield e Plenty Coups. Anche se antropologi ed etnologi hanno notato che Linderman rimaneggiò le narrazioni in modo significativo, ma tuttavia hanno dovuto poi riconoscere che il suo lavoro contiene tutt’ora informazioni utili sulla vita dei nativi e dei Crow in particolare.
I venti racconti che Linderman immagina narrati da uno stregone Blackfeet ai giovani della tribù, sono sufficienti a delineare una cosmogonia molto articolata e complessa, in cui non vi è differenza gerarchica tra uomini e animali, tra natura e civiltà. Anzi sono spesso gli uomini e le loro usanze a dover sottostare alle leggi e alle norme della Natura e del mondo animale. Non per forza e costrizione, ma per saggia osservazione della realtà.
Anche se negli ultimi decenni il delirio new age ha trasformato troppo spesso questa visione del mondo e dei racconti che la tramandano in filosofia spicciola oppure in spiritualità da operetta, è piuttosto importante osservare come al loro interno questo rispetto arcaica della Natura e di coloro che condividono con l’uomo l’ambiente, pur non essendo umani, non danno vita ad una vera e propria religione. Non sono presenti Manitù e il sacro bisonte bianco, se non su uno sfondo piuttosto distante e sbiadito, mentre è presente, in quasi tutti i racconti, la figura del Vecchio Uomo, o Napa come è noto tra i Blackfeet, che è:
il personaggio più strano del folklore indiano. A volte appare come un dio o un creatore, e altra come uno sciocco, un ladro o un pagliaccio. Ma per l’indiano, Napa non è la Divinità; occupa una posizione alquanto subordinata, e possiede molti attributi che a volte hanno fatto sì che venisse confuso con lo stesso Manitù. […] Su quest’ultimo non si raccontano storie futili […] Ma con Napa la questione è completamente diversa. Non sembra aver diritto a nessun rispetto; è uno strano miscuglio fra un umano fallibile e un potente dio minore. Commette parecchi errori e raramente ci si può fidare di lui, e le sue azioni e scherzi variano dal sublime al ridicolo1.
Vicino ai semidei greci e alla inaffidabilità di tante divinità dell’Olimpo ellenico, Napa ci rivela un altro modo di intendere la religiosità: dubbioso quasi sempre, spesso ironico e mai del tutto succube dell’insegnamento, che va sempre interpretato oppure non ascoltato come se fosse una verità assoluta. Lontano tanto da Jahvè, i cui insegnamenti si vedono oggi in azione nelle striscia di Gaza per opera del “profeta” Netanyahu, quanto dalle interpretazioni di Allah rappresentate dal fanatismo islamista, ma anche dalle interpretazioni più autoritarie del Dio dei cattolici e dei protestanti.
Un modo di vivere la religiosità prossimo allo spettacolo della natura, lontano da ogni forma di fanatismo e per niente avvezzo a credere alla superiorità dell’Uomo e dei suoi dei sulle altre creature. Prossimo a una concezione cosmica lucreziana: Nessuna centralità dell’uomo nell’universo […] e nessuna gerarchia tra le foglie degli alberi, i fiocchi di neve, i sassi del fiume, le messi, gli arbusti, le specie dei viventi, il cielo, il mare, la terra2.
Creature che, come in ogni favola che si rispetti, sono altrettanto dotate di parola e saggezza sia che si tratti di castori che di uccelli oppure di topi, orsi, lupi e coyote. Animali, spesso totemici, che sono molto spesso i veri protagonisti delle favole narrate da Aquila di Guerra, insieme agli uomini e a Napa che, talvolta, deve rassegnarsi ad accogliere i consigli di che è più saggio di lui pur provenendo dal mondo animale.
Napa, il Vecchio, è davvero molto vecchio. Ha creato questo mondo e tutto ciò che vi sta sopra. […] Il Vecchio viveva in questo mondo con gli animali e gli uccelli. Allora non c’erano altri uomini o donne, e lui era il capo di tutti gli animali e di tutti gli uccelli.[…] Il Vecchio però commise anche grandi errori anche se poi sgobbava per far sì che tutto tornasse a posto. Spesso, tuttavia, faceva grandi dispetti e insegnava cose cattive. Tutti avevano paura del Vecchio e dei suoi inganni e delle sue bugie, persino gli animali, prima che creasse uomini e donne3.
Un dio ingannevole, infido e burlone non obbliga certo a una grande devozione e questo sembra essere l’intento centrale di un insegnamento che più che a servire il Cielo mira a rendere gli uomini e le donne più capaci di scegliere e comprendere ciò che va fatto per vivere in armonia con chi e cosa ci circonda. Eppure, eppure…
Come ci ricorda l’autore in prima persona, non fu quella società e non furono quegli insegnamenti a sopravvivere se non a livello di folklore nativo, come insegna, al termine della raccolta, il fantasma di un bisonte a un vecchio indiano che, nelle Badlands, si domanda dove siano finite le grandi mandrie che un tempo pascolavano sulle pianure create dal Missouri e quale sarà il destino del suo popolo.
Oh, uomo rosso, la mia gente se n’è andata tutta […] tutta la mia tribù è andata a pascolare tra le colline dell’ombra [quando] arrivò l’uomo bianco e ci fece guerra senza motivo o necessità. Io fui uno degli ultimi a morire, e con mio fratello fuggii in queste terre impervie per potermi nascondere; ma un giorno in cui la neve ricopriva il mondo, un bianco assassino seguì le nostre impronte, e con la sua arma rumorosa mandò i nostri spiriti a unirsi alle grandi mandrie d’ombra. Carne? No, non prese la nostra carne, ma dalla nostra carne tremante prese e strappò le vesti che Napa ci diede per riscladarci, e ci lasciò in pasto ai Lupi. Arrivarono quella notte e litigarono, si azzuffarono, si spartirono i nostri corpi, lasciando solo le ossa a salutare il Sole del mattino. I Coyote e altre bestie più deboli le trascinarono queste ossa e le scorticarono, e poi le scorticarono ancora, finché l’ultimo pezzo di carne o muscolo non scomparve, Poi giunse il vento con la sua canzone e tutto terminò4.
Oggi, mentre sta per avverarsi la profezia dei nativi americani5, è giusto, bello e utile ripercorrere queste pagine per tornare ad immaginare un mondo che non è più, ma che potrebbe tornare a vivere oltre l’avidità e l’egoismo causati dal capitale e dal mondo che ne è risultato. Fino ad ora.
- F. B. Linderman, Attorno al fuoco (a cura di N. Manuppelli), Mattioli 1885, Fidenza (PR) 2023, pp. 10-11.
- I. Dionigi, L’Apocalisse di Lucrezio. Politica, religione, amore, Raffaele Cortina Editore, Milano 2023, p. 15.
- F. B. Linderman, op. cit., pp. 16-17.
- Ivi, pp. 147-148
- Stan Steiner, Uomo bianco scomparirai, Jaca Book, Milano 1978.
8/11/2023 https://www.carmillaonline.com/
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