Strage di Modena: il rischio di un colpo di spugna
E’ prevista per lunedì prossimo presso il Tribunale di Modena l’udienza per decidere dell’archiviazione del fascicolo riguardante la morte di otto detenuti nella rivolta del carcere Sant’Anna.
Tre mesi fa il procuratore aggiunto Giuseppe Di Giorgio, assieme alle PM Lucia De Santis e Francesca Graziano, ha chiesto di passare un bel colpo di spugna sulla peggiore strage carceraria della storia della Repubblica, e in particolare sulla fine di Chouchane Hafedh, Methani Bilel, Agrebi Slim, Bakili Ali, Ben Mesmia Lofti, Hadidi Ghazi, Iuzu Artur, Rouan Abdellha.1
La procura di Modena ha motivato la richiesta di archiviazione addebitando i decessi “alle complicazioni respiratorie causate dall’assunzione massiccia di metadone, in qualche caso accelerato e aggravato dall’assunzione di altri farmaci o da specifiche condizioni personali”, ed escludendo per tutti “l’incidenza concausale di altri fattori di carattere violento“.
La procura sostiene inoltre che “nell’immediatezza della rivolta risulta essere stata tempestivamente assicurata assistenza sanitaria a tutti i detenuti da parte del personale sanitario intervenuto… Risultano essere stati fatti quindi, nel contesto emergenziale, pure gravati dall’emergenza legata al COVID-19, tutti i necessari controlli, con interventi terapeutici di contrasto in loco, ove possibile, o con invio ai presidi sanitari cittadini nei casi più gravi“.
Sarà, ma il bilancio di nove morti non
depone a favore di questa narrazione edulcorata, smentita ormai da
numerose testimonianze.
Fra queste, i racconti delle donne che l’otto marzo 2020 sono accorse
davanti ai cancelli del Sant’Anna, avvertite della rivolta dal fumo nero
che si innalzava dal tetto del carcere, visibile da gran parte della
città.
Rimasero
per ore nell’angoscia che i loro cari morissero bruciati o soffocati
dal fumo, cogliendo dal piazzale frammenti di ciò che succedeva
all’interno: le truppe antisommossa con i caschi insanguinati, le divise
insanguinate, i manganelli insanguinati, e non si trattava di sangue
loro.
“Si vedevano soltanto ragazzi che uscivano con le magliette, con i pantaloncini, in mutande, pieni pieni di sangue. É uscito un poliziotto con casco blu, non mi scordo mai …quando l’ho guardato quello lì era pienissimo di sangue.”2
Presto vennero posizionati dei pullman che ostruirono la visuale dall’esterno, ma non potevano attutire le urla.
Un cellulare ha registrato le grida d’aiuto .
“Sei ore di urla abbiamo sentito dalle 2 fino alle 8 di sera. Noi ci
chiedevamo: come mai queste ambulanze non prendono i detenuti e li
portano in ospedale ? All’improvviso, in tarda sera, abbiamo iniziato a
vedere la prima macchina funebre“.3
Oltre i cancelli, una macelleria messicana.
“Io non c’entravo niente. Ho avuto paura… Ci hanno messo in una saletta dove non c’erano le telecamere. Amatavano la gente con botte, manganelli, calci e pugni. A me e a un’altra persona ci hanno spogliati del tutto. Ci hanno colpito alle costole. Un rappresentante delle forze dell’ordine, quando ci siamo consegnati, ha dato la sua parola che non picchiava nessuno. Poi non l’ha mantenuta”.4
“Io ero scappato sul tetto del carcere, così non mi sparassero, dopo ci hanno presi tutti e ci hanno messi in una camera e ci hanno tolto tutti i vestiti e hanno iniziato a picchiarci dandoci schiaffi e calci. Dopo ci hanno ridato i vestiti e ci hanno messo in fila e ci hanno picchiato ancora con il manganello, e in quel momento ho capito che ci stavano portando in un altro carcere. Da quante botte abbiamo preso che mi hanno mandato in una altro carcere senza le scarpe“.5
“Era lui [l’ispettore] che ha ci ha detto, voi che non c’entrate con la rivolta, a respirare, però uscite solo in campo. E ci hanno picchiato da morire, abbiamo preso così tante manganellate che anche i poliziotti diventavano col sangue. Eravamo 30, 40“.
“Mi sono morte due persone davanti e non ho potuto fare niente, perché comunque la mia sezione è andata a fuoco, abbiamo rischiato di morire anche noi…. Vai a capire se è stato veramente per il metadone o sono state delle botte. Io ho visto della gente per terra con la testa schiacciata e con gli anfibi sulla testa, e loro che continuavano a picchiare“.
“Io l’ho preso in braccio [uno dei detenuti poi deceduto] perché stava in gravi condizioni. L’ho portato per aiutare a portare in ambulanza a quelli. A portare in ospedale. Ma appena l’ho portato giù io, l’ho visto con i miei occhi come lo picchiavano. Non volevano sapere che lui c’entrava o non c’entrava con la rivolta”.6
Dello stesso tenore il contenuto dell’esposto presentato in dicembre da cinque detenuti trasferiti, dopo la rivolta, dalla casa circondariale di Modena a quella di Marino del Tronto (AP), assieme a Salvatore Piscitelli, che vi ha trovato la morte.
“Gli scriventi dichiarano di aver
assistito ai metodi coercitivi e ad intervento messo in atto da parte
degli agenti della polizia penitenziaria di Modena e successivamente di
Bologna e Reggio Emilia intervenuti come supporto. Ossia l’aver sparato
ripetutamente con le armi in dotazione anche ad altezza uomo.
L’aver caricato,detenuti in palese stato di alterazione psicofisica
dovuta ad un presumibile abuso di farmaci, a colpi di manganellate al
volto e al corpo, morti successivamente a causa delle lesioni e dei
traumi subiti, ma le cui morti sono state attribuite dai mezzi di
informazione all’abuso di metadone.
Noi stessi siamo stati picchiati selvaggiamente e ripetutamente dopo
esserci consegnati spontaneamente agli agenti, dopo essere stati
ammanettati e private delle scarpe, senza e sottolineiamo senza, aver
posto resistenza alcuna. Siamo stati oggetto di minacce, sputi, insulti e
manganellate, un vero pestaggio di massa“.
Si tratta della seconda denuncia
formalizzata, fra tante altre rimaste anonime per paura, che però verrà
valutata solo nel procedimento per la morte di Salvatore Piscitelli –
causata da ulteriori violenze e mancato soccorso dopo il trasferimento a
Marino del Tronto – e non in quello per gli altri otto.
Una scelta che la dice lunga sulla reale volontà di perseguire, se non
proprio la giustizia, almeno la chiarezza sui fatti di Modena.
Eppure, l’esposto contiene a tal fine elementi di sicuro interesse:
“dopo esserci consegnati, esserci fatti ammanettare, essere stati privati delle scarpe ed essere stati picchiati, fummo fatti salire, contrariamente a quanto scritto in seguito dagli agenti, senza aver posto resistenza sui mezzi della polizia penitenziaria usando i manganelli. Picchiati durante il viaggio fummo condotti c/o alla C.C di Ascoli Piceno“.
È un tema ricorrente nei racconti di altri trasferiti, quello delle
violenze e della mancanza di visite mediche, obbligatorie prima dei
trasferimenti in base all’ordinamento penitenziario. Visite mediche di
cui la procura di Modena giura invece l’esistenza, ma che non risultano
da nessuna certificazione scritta.
È un particolare, questo, non secondario, visto che quattro fra i morti
di Modena (Ghazi Hadidi, Ouarrad Abdellah, Artur Iuzu , oltre a
Salvatore Cuono Piscitelli) hanno reso l’anima durante il tragitto o
dopo l’arrivo ad altro carcere.
Fra l’altro, non solo non c’è nessuna documentazione su questo
“dettaglio”, ma nemmeno su quale fosse, durante la rivolta, la catena di
comando. Non si sa per esempio chi ha deciso i trasferimenti,
escludendo la direttrice del Sant’Anna che l’otto marzo era sparita di
scena.
Sul mancato soccorso ci sarebbe qualcosa da dire anche sui detenuti
morti all’interno delle mura del Sant’Anna, come per esempio su Hafedh
Chouchane, del cui ritrovamento esanime vi sono tre versioni ufficiali
differenti, e che, stando agli atti, è stato visitato da un medico che
ne ha constatato il decesso dopo ben 50 minuti dal momento in cui altri
detenuti lo avevano consegnato alla penitenziaria.
Forse, 50 minuti prima, era ancora vivo.
Ultimo
mistero, è quello della cassaforte che conteneva il metadone. Fonti
carcerarie e sindacali avevano raccontato inizialmente che era stata
forzata dai detenuti con una fresa prelevata nel magazzino degli
attrezzi.
In realtà è perfettamente integra. È stata aperta con la chiave secondo una dinamica ignota e nemmeno particolarmente indagata.
Insomma, motivi per non insabbiare l’inchiesta ve ne sarebbero in abbondanza, se sulla bilancia della “giustizia” non si soppesassero da un lato le vite di detenuti, proletari e migranti, dall’altro l’impunità dello Stato e dei suoi apparati.
Con la coscienza che la verità storica
non la scrivono i tribunali, schierarsi contro lo sfregio
dell’archiviazione è un atto di rispetto dovuto a quei morti, torturati,
umiliati.
Lunedì prossimo, a Modena, ne abbiamo l’occasione.
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CI SONO MORTI CHE PER LO STATO PESANO COME PIUME
Da poco più di un anno dalla strage del
carcere di Sant’Anna il tribunale di Modena sarà chiamato a decidere
sulla interruzione delle indagini inerenti le cause di morte di ben otto
sulle nove vittime di quella terribile giornata.
L’archiviazione è stata richiesta alla procura, proprio nel marzo appena
trascorso, nonostante numerose incongruenze tra gli elementi di
interrogazione.
Quando vuole, la Giustizia italiana si
rivela alquanto celere nonché senza vergogna nel permettersi di
dichiarare che ad essa, nonché agli addetti penitenziari che la
rappresentano, “non si può addebitare alcuna responsabilità …”
Come già per i continui casi di suicidio nelle carceri, ora persino
rispetto ad una strage di tale portata, l’unica cosa che possono,
evidentemente, gli organi di Giustizia statale, è l’arroganrsi di
svincolarsi dalla realtà del proprio coinvolgimento sulle sorti di chi
reprime.
Pare valga più la conservazione di una pena inflitta che la sopravvivenza di un detenuto.
LUNEDì 7 GIUGNO ALLE H. 11, PRESIDIO CONTRO L’ARCHIVIAZIONE
in Corso Canalgrande presso il Tribunale di Modena
Comitato di Verità e Giustizia per i Morti del Sant’Anna
- L’udienza non riguarda l’indagine sulla morte di Salvatore Piscitelli, avvenuta dopo il trasferimento nel carcere di Marino del Tronto, il cui fascicolo compete alla Procura di Ascoli.
- Testimonianza rilasciata a Bernardo Iovene Report.
- Idem.
- Lettera inviata all’AGI – Agenzia Giornalistica Italiana.
- Lettera Inviata ad OLGa- è Ora di Liberarsi dalle Galere.
- Testimonianze rilasciate a Bernardo Iovene, Report.
Alexik
1/6/2021 https://www.carmillaonline.com
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