Studentə nelle piazze di 42 città italiane. Per una scuola a misura di studentə
Al Liceo Mamiani di Roma, ormai da qualche settimana lə studentə si stanno mobilitando andando oltre alla ricorrenza della giornata dellə studentə, del 17 novembre. Infatti, l’8 novembre il Collettivo Autorganizzato del Mamiani ha dato vita a un’occupazione con delle chiare parole d’ordine: «No alla scuola dei padroni» e «Non ci date un futuro, ci prendiamo il presente».
Sotto a un muretto per proteggersi dalla pioggia, Giulio, al quarto anno, ha raccontato che l’occupazione è stata decisa a partire dall’assemblea del collettivo del martedì sera all’unanimità e che, sin dall’inizio, l’obiettivo era di tenerla sino al 18 novembre, giorno di mobilitazione nazionale.
Nonostante i dibattiti e formazioni sui temi più vari come il transfemminismo e la realtà della palestra popolare di Quarticciolo, la dirigenza ha proposto un atteggiamento aggressivo e di minaccia. Tuttavia, dopo la prima settimana, le minacce di sgombero si sono trasformate in tentativi di contrattazione non accolti assolutamente dalla popolazione studentesca, che ha attraversato in massa l’istituto nei giorni di mobilitazione. Sempre Giulio, infatti, sostiene: «questa occupazione l’abbiamo fatta contro il governo Meloni, contro questo modello scolastico e contro un sistema istituzionale repressivo. Scendere a patti sarebbe stato un controsenso».
Un’esperienza, quella del Mamiani, che non è la sola che in queste settimane di autunno caldo ha scosso lo scenario romano. Pilo Albertelli, liceo del primo municipio aprifila delle occupazioni in città, Montessori e Rossi sono solo dei singoli casi di attivazione, in un quadro di un’inedita e più ampia coesione del movimento studentesco, dopo una difficile ripresa degli spazi di socialità dopo la pandemia.
Ricompaiono, in questo caso, con forza le immagini dell’aula di scienze politiche in Sapienza gremita di persone in cui risuonava il coro della Fabbrica GKN, in nome – auspichiamo – di una nuova convergenza.
I licei romani, dunque, organizzati sotto la sigla CAR (Collettivi Autonomi Romani), dall’inizio dell’anno scolastico hanno raccolto una serie di rivendicazioni che non solo presentano un chiaro attacco al recentemente insediato governo Meloni («un governo di ispirazione postfascista», scrivono nel comunicato), ma anche un quadro ampiamente rivendicativo della ricostruzione di luoghi di sapere critico antifascisti, transfemministi e radicalmente ecologisti; una scuola a misura di studentə.
Mattia, 16 anni, è in piazza con il suo liceo che è stata l’unica scuola ad occupare in questo momento nella periferia di Roma. Il liceo artistico Enzo Rossi, a Tiburtino III, infatti ha dichiarato occupazione in seguito a un’assemblea d’istituto straordinaria svolta il 7 novembre.
Per sette giorni, nell’istituto sono state organizzate delle attività per sopperire alla grave situazione di abbandono in cui versa la scuola. Lə studentə si sono organizzatə per ridipingere le aule, hanno organizzato diversi laboratori tra cui uno di grafica e hanno dato spazio a diversi dibattiti, tra cui quello sul tema transfemminista in vista del 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, ndr).
Nonostante queste iniziative propositive, il collettivo promotore ha ben chiare le mancanze della propria scuola: «Da noi mancano i professori e il personale ATA. E quando ci sono, spesso non hanno un comportamento professionale e rispettoso. Un professore, nello specifico, da anni perpetua un atteggiamento sessista verso le sue studentesse con battute e comportamenti assolutamente fuori luogo. Una situazione senza via d’uscita, visto che la dirigenza non ha intenzione di intervenire e le denunce sono sempre meno per paura di ripercussioni. C’è totale mancanza di empatia con prese in giro nei confronti di un ragazzo disabile o con una grave indifferenza verso un caso difficile in cui una ragazza ha tentato il suicidio. Studiamo in un ambiente che ci isola e ci costringe in luoghi non adeguati, con gravi carenze di materiali e con danni strutturali all’edificio per cui piove dentro le aule e non funziona il riscaldamento».
Raccontano inoltre che essere una scuola di periferia pesa sulla coscienza dellə studentə, che si sentono particolarmente abbandonati: è evidente che in città grandi come Roma le scuole di serie A e quelle di serie B esistono ancora e influenzano il percorso formativo dellə studentə. Per questo motivo, parlare di meritocrazia è totalmente avvilente in una scuola che ancora non è capace di appianare le forti disuguaglianze che sono presenti nel nostro paese come afferma una studentessa dal camion in testa al corteo, «se tuttə partissimo dallo stesso punto, la meritocrazia avrebbe un senso. Ma in questo sistema, questa serve solo a migliorare la situazione di chi sta già meglio».
L’organizzazione della piazza, promossa dalla Rete degli Studenti Medi in tutta Italia, a Roma è stata fortemente attraversata da un’assemblea cittadina studentesca che si è iniziata a riunire all’inizio di quest’anno. Come spiegano lə partecipantə che vivono quello spezzone studentesco, «è una realtà che ancora non ha nemmeno un nome, figurati una bandiera; questo è perché siamo profondamente convintə che se vogliamo apportare un cambio sistemico al mondo della scuola non possiamo rimanere chiusə nelle nostre strutture e dobbiamo convergere».
Il presupposto da cui lə studentə partono nella loro analisi è quello secondo cui la Meloni non è assolutamente il primo governo che inciderà negativamente sull’istruzione pubblica. Una lunga lista nera di politici che hanno depauperato il mondo della scuola compare nel loro comunicato. Da Berlusconi a Draghi, non si è mai trattato di differenze dovute ad appartenenza a partiti diversi perché l’obiettivo di privatizzare la scuola e renderla un momento di formazione finalizzata unicamente al lavoro (come poi ha dimostrato il mantenimento del PCTO nonostante le morti sul lavoro di tre studenti) era comune. Per questa ragione, è stato fortemente contestato non solo il governo attuale ma anche lo stesso PD e tutti coloro che fino a oggi hanno fatto i propri interessi.
Ed è nelle rivendicazioni di una scuola che garantisca la messa in sicurezza degli edifici, che non si incentri su un merito falsato dati i diversi punti di partenza dellə studentə e che non educhi a un lavoro precario che si è snodata una giornata fondamentale di mobilitazione. Una giornata in cui, per la prima volta dopo l’elezione di Meloni, scuole e università hanno riempito le strade delle città per lanciare il chiaro segnale che questo governo ha una forte opposizione, soprattutto fuori dalle aule parlamentari.
Dal mondo universitario, infatti, sia coloro che stanno animando le lotte alla Sapienza di queste settimane, sia i ricercatori precari hanno dato sostegno alla manifestazione. Nello specifico, i ricercatori hanno occupato temporaneamente il Ministero dell’Università per chiedere un colloquio con la Ministra Bernini. A seguito dell’assemblea nazionale del 4 novembre, l’obiettivo del colloquio, prontamente negato dalla ministra, era quello di chiedere le risorse nella legge di bilancio per permettere a tuttə lə 15300 assegnistə di ricerca di lavorare in università senza esserne espulsi. Secondo il collettivo, investire sui saperi e non rendere precari, tra gli altri, anche i lavori di ricerca sono elementi fondamentali per riportare la ricchezza all’interno dei nostri atenei e del nostro paese.
La giornata di mobilitazione di venerdì 18 novembre, ha visto in Genova, Milano, Cagliari e Napoli solo alcune delle 42 piazze che oggi in tutto il paese hanno dato un segnale al governo Meloni. Lə studentə si stanno organizzando, convergendo e mobilitandosi. Nelle prossime settimane, infatti, sono molti gli istituti superiori che hanno proclamato iniziative e occupazioni.
Quella del 18 novembre rimane, tuttavia, una giornata di inizio di quello che sarà un percorso che non sembra ancora volersi esaurire.
Sabrina Aidi
19/11/2022 https://www.dinamopress.it
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