Su immigrazione e sicurezza un decreto che cancella i diritti e alimenta lo scontro
1.Il Decreto legge su immigrazione e sicurezza n.113 del 2018, attualmente in discussione in Parlamento, e già oggetto di una partita di scambio tra Lega e Movimento Cinque stelle, con i provvedimenti in materia finanziaria, minaccia di svuotare, se verrà definitivamente approvato, norme di diretta emanazione costituzionale ed europea, con la prospettiva certa di una valanga di ricorsi, fino alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Dopo le circolari, il governo è ricorso al decreto legge, per demolire il diritto alla protezione umanitaria, bandiera della lega nella campagna elettorale passata, ed anche in quella futura, per le elezioni europee, che si sta combattendo senza esclusione di colpi ( ai diritti fondamentali delle persone).
Non si tratta solo di un coacervo di misure legislative che abbattono i diritti di difesa e le garanzie in materia di libertà personale, cancellano la protezione umanitaria, aumentano i casi di detenzione dei richiedenti asilo, prevedono l’apertura di numerosi centri di detenzione nelle diverse regioni italiane, palesando evidenti problemi di incompatibilità con il dettato costituzionale.Come ha avvertito il presidente della Repubblica, che pure ha apposto la sua firma al decreto legge, sottolineando, soprattutto nei confronti del parlamento e della magistratura, che il provvedimento, quando sarà definitivo e nella sua concreta applicazione, dovrà comunque restare nell’alveo del dettato costituzionale, nel quale rientra anche (in base all’art. 117 Cost.) il rispetto delle Convenzioni internazionali e delle Direttive e Regolamenti europei vincolanti per l’Italia.
In particolare, per quanto riguarda l’abrogazione dell’istituto della protezione per motivi umanitari, che il decreto opera apportando un taglio alla formulazione del vigente articolo 5 comma 6 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998, va ricordato che potrebbe risultare in contrasto con il dettato costituzionale, infatti, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass., I Sez. Civ., 23 febbraio 2018, n. 4455) […]
Non si vede quindi come il legislatore italiano possa abrogare una forma di protezione che è direttamente attuazione di una prescrizione costituzionale. I giudici nazionali, in assenza della previsione sulla protezione umanitaria già disciplinata dall’art. 5 comma 6 del Testo unico sull’immigrazione n.286 del 1998 (e successive modifiche) potranno comunque tornare a riconoscere la diretta applicazione della norma costituzionale, come aveva già riconosciuto la giurisprudenza. In base ad una nota sentenza della Corte di Cassazione ( Sez. Unite, 17-12-1999, n. 907), che qualificava lo status direttamente derivante dall’art. 10 comma 3 della Costituzione come un diritto soggettivo perfetto, distinto e di maggiore portata rispetto al diritto di asilo previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951. […]
Alla stregua della successiva sentenza della Corte di Cassazione n.15466 del 2014 (relatore Acierno), proprio l’istituto della protezione umanitaria viene riconosciuto come risolutivo del problema della applicabilità diretta dell’art. 10 comma 3 della Costituzione. Ipotesi che si ripropone immediatamente qualora il legislatore giunga ad abrogare questo istituto, cancellando la dizione “salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, seguita dai giudici di merito, e probabilmente punto di riferimento anche dopo l’entrata in vigore del decreto legge n. 113 del 2018, “Il permesso umanitario è una misura atipica e residuale idonea ad integrare l’ampiezza del diritto d’asilo costituzionale così come definito dall’art. 10 Cost.. […].
Gli “obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano” comprendono l’applicazione effettiva dell’art. 10 della Costituzione italiana, che a questo punto ritorna ad essere norma di diretta applicabilità. Il legislatore italiano non può impedire la effettiva e diretta applicabilità di una norma costituzionale, né può sottrarsi, come si vedrà meglio per altre parti del decreto legge n.113/2018, al rispetto degli “obblighi internazionali dello stato italiano”. Se il parlamento confermerà l’abrogazione della protezione umanitaria, si dovrà tornare a fare valere in giudizio, in sede di ricorso contro le decisioni di diniego delle Commissioni territoriali la valenza diretta ed effettiva del diritto di asilo previsto dall’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana.
2. Appare sempre più importante il ruolo dei giudici di merito, in un momento in cui si compie il progressivo attacco ai diritti di difesa dei richiedenti asilo, avviato con il decreto Minniti del 2017. Le prime risposte della giurisprudenza, dopo l’entrata in vigore del decreto legge 113/2018 sono assai significative, anche a fronte di una compiuta disciplina transitoria che rende ancora più incerta l’applicazione delle nuove norme. I termini abbreviati per proporre impugnazioni contro decisioni di diniego delle richieste di protezione e l’attacco al patrocinio a spese dello stato, già contrastato sul piano delle prassi applicate, rendono però sempre più ardua l’effettiva applicazione del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione e riconosciuto dall’art. 6 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. E dunque non sarà facile ricorrere contro i dinieghi, come era stato possibile in passato.
Con sentenza dell’11 ottobre 2018 il Tribunale di Palermo (estensore Lo Forte) ha ritenuto “sussistenti i presupposti per il riconoscimento in favore del ricorrente del diritto ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286/98”. […]
3. Risulta evidente come il governo giallo-verde intenda utilizzare il decreto legge n.113/2018 per ottenere il maggior numero possibile di dinieghi nelle procedure di asilo ancora aperte, e sono diverse decine di migliaia di casi, ma dovremmo parlare di persone in carne e ossa, che potrebbero concludersi, dopo il diniego da parte della Commissione territoriale e il mancato accesso ad una difesa effettiva, con l’espulsione di queste persone “denegate” dai centri di accoglienza. E dunque con la chiusura dei centri di accoglienza e con la fuga dei richiedenti asilo denegati nella clandestinità, verso altri paesi, o verso i luoghi di accoglienza informali. Si vogliono anche ridurre le tutele sociali e le possibilità di integrazione di richiedenti asilo. Appare anche assai grave e di evidente contenuto discriminatorio l’esclusione dell’iscrizione anagrafica per coloro che faranno richiesta per il nuovo permesso di soggiorno “per casi speciali”. Anche in questo caso una spinta verso la esclusione che si potrà contrastare proponendo azioni legali contro la discriminazione, ma occorrerà un forte impegno anche a livello di enti locali. Risulta anche altrettanto negativa dal punto di vista della coesione sociale, l’allungamento delle procedure, già particolarmente prolungate, per il conseguimento della cittadinanza italiana, una prospettiva verso la quale si sono rivolti negli ultimi anni anche molti titolari del diritto alla protezione internazionale o umanitaria.
Coloro che saranno espulsi dai percorsi di integrazione già avviati da anni, privati dei diritti fondamentali, e del permesso di soggiorno, si troveranno a sopravvivere per strada, utilizzando rifugi occasionali, o dormendo in case occupate, e finiranno per rischiare di essere destinatari di incriminazione per le diverse fattispecie penali previste dal decreto legge per tutti quei casi che appaiono particolarmente ricorrenti nel caso di immigrati costretti alla irregolarità.
Per un altro verso non è invece ipotizzabile l’apertura dei numerosi centri di detenzione (denominati CPR – Centri di permanenza per i rimpatri) che (dopo Minniti) Salvini ha promesso in campagna elettorale (che ancora prosegue). Non sembra certo realistica l’esecuzione di rimpatri di massa, anche questi promessi in campagna elettorale, ma che (fortunatamente) non saranno possibili, per i costi stratosferici, e per il crescente isolamento internazionale dell’Italia che blocca l’esecuzione o la stipula degli accordi di riammissione con i paesi di origine. Basti pensare alla sospensione dei rimpatri verso la Nigeria ed al ruolo di supporto ai rimpatri forzati dall’Italia, con voli congiunti, fin qui offerto dall’Agenzia dell’Unione Europea Frontex, ed attualmente bloccato.
La connessione tra la materia dell’immigrazione e le questioni della sicurezza determina dunque una miscela ad alto rischio di esplosione, se si considera il moltiplicarsi di casi nei quali le persone straniere non riusciranno a mantenere un titolo di soggiorno legale e dunque dovranno lasciare i centri di accoglienza, restando costrette alla clandestinità o a trovare alloggio negli insediamenti informali, come le occupazioni abitative, che lo stesso decreto legge prevede di smantellare con gravi sanzioni per tutti gli occupanti. Anche al di là della doverosa soluzione alloggiativa alternativa che le istituzioni dovrebbero garantire in questi casi, ma che Salvini, ancora una volta al comando delle ruspe, non ha nessuna intenzione di riconoscere.
Si ritorna a strumentalizzare tragici fatti di cronaca, rilanciando la campagna di criminalizzazione dei migranti, mentre si continua a non intervenire nelle aree più degradate del paese e nelle periferie urbane lasciate da anni in stato di abbandono. Una responsabilità che questo governo condivide con quelli che lo hanno preceduto, ma che risulta aggravata dalle ultime previsioni finanziarie di tagli ai fondi destinati alle periferie urbane.
Il decreto 113/2018 riserva esclusivamente ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati i progetti di integrazione ed inclusione sociale previsti dal sistema Sprar. I richiedenti asilo troveranno invece accoglienza solo nei centri ad essi dedicati (i Cara). Come il Cara di Mineo, magari, grandi centri di concentramento e di arricchimento per le grandi organizzazioni dell’accoglienza che riscuotono la fiducia del ministero dell’interno.
Un disegno organico che non solo tende a ridurre le spese nel settore dell’accoglienza, svuotando il cosiddetto. sistema Sprar, ma che mira ad impedire le opportunità di integrazione, come l’accesso ai corsi professionali per i migranti ospiti dei centri di accoglienza. Si va in sostanza verso la cancellazione del sistema statale di accoglienza, in violazione di precisi obblighi internazionali derivanti dalla normativa europea, in particolare dalla Direttiva n.33 del 2013 in materia di accoglienza dei richiedenti asilo. Una grave violazione che potrebbe comportare l’apertura dell’ennesima procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea. L’Italia ha precisi obblighi di rispettare standard di accoglienza dignitosa e possibilità di integrazione, che lo svuotamento del sistema Sprar al quale non potranno più accedere i richiedenti asilo non sembra proprio garantire. Il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo non può diventare di fatto la norma e non può andare oltre le esigenze della prima identificazione, comunque nei limiti delle leggi e delle Costituzioni nazionali. I centri Hotspot non possono diventare centri di detenzione e all’interno dei CPR, vannoi gartantiti i diritti di informazione, di comunicazione con l’esterno, e soprattutto i diritti di difesa e di chiedere protezione. […]
Il Consiglio comunale di Torino si è schierato contro il “decreto immigrazione e sicurezza” attualmente all’esame del Parlamento. Con 30 voti favorevoli e solo due contrari, è stato approvato un ordine del giorno che invita la Giunta a chiedere al Ministero dell’Interno e al Governo di «sospendere in via transitoria fino alla conclusione dell’iter parlamentare» gli effetti dell’applicazione del Decreto Legge 11372018 e ad aprire un confronto con Torino e con le altre grandi città per valutare le ricadute concrete del provvedimento in termini economici, sociali e di sicurezza dei territori. Una iniziativa importante che dovrebbe estendersi a tutti i comuni italiani.
4. In questa prospettiva di chiusura di tutte le opportunità di regolarizzazione e degli spazi di accoglienza, appare legato con il “pugno di ferro” in materia di protezione umanitaria e di accoglienza, che connota l’intero decreto legge n.113 del 2018, l’inasprimento delle sanzioni contro le occupazioni abitative per necessità, a proposito delle quali si gioca volutamente sulla criminalizzazione degli occupanti, ancora una volta emersa da gravi fatti di cronaca, ma che in realtà mira a colpire il diritto fondamentale di abitazione.
Il decreto sicurezza n.113/2018 approvato dal Consiglio dei ministri si rivolge contro le persone che si rendono responsabili di cosiddette occupazione abusive degli immobili con un raddoppio delle pene nei confronti di promotori ed organizzatori dell’”invasione” o di chi l’ha compiuta uso di armi: la pena fissata nella reclusione passa da due a quattro anni, la multa da 103/1.032 euro a 206/2.064 euro. Modifiche che hanno ricadute pesanti anche nell’adozione di misure cautelari e nell’applicazione delle misure detentive.
Il ministro dell’Interno adotterà con decreto il piano operativo nazionale per prevenire e contrastare le occupazioni abusive e, con cadenza almeno semestrale, monitora il fenomeno. In conformità al piano il prefetto elabora il programma provinciale per l’esecuzione degli interventi di sgombero degli immobili occupati. dopo avere acquisito il parere del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica a cui partecipa, anche l’ufficio del Pubblico ministero e gli enti territoriali incaricati di assicurare le misure assistenziali per i soggetti deboli occupanti l’immobile. Nelle prassi fin qui adottate, come lo sgombero del Camping river a Roma, o in quelle minacciate, non c’è traccia di quelle misure alloggiative alternative che secondo la Corte europea dei diritti dell’Uomo costituiscono un presupposto obbligatorio prima di procedere agli sgomberi. Che avranno conseguenze sempre più gravi a fronte dell’orientamento oscillante delle sentenze della Corte di Cassazione dopo che diversi giudici di Tribunale avevano escluso la rilevanza penale delle occupazioni abitative per necessità. Anche in questo caso si corre il rischio che gli indirizzi del ministero dell’interno possano ripercuotersi sugli orientamenti della magistratura.
Il controllo di legalità che sarà operato dalla giurisprudenza dovrà contemperare, nell’alveo delle previsioni costituzionali, i principi di solidarietà sanciti dalla Costituzione con le norme di stampo repressivo che sanzionano l’occupazione abusiva, nella prospettiva di una tutela effettiva delle persone in stato di necessità e dei nuclei familiari più svantaggiati. Non si conosce ancora fino a dove potrà spingersi il piano straordinario sugli sgomberi, annunciato da Salvini oggi a Roma. […]
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