Suicidi in cella, contagi al 41 bis: il terribile inizio del 2022 nelle carceri
L’anno 2022 comincia in modo drammatico per le carceri italiane. Due suicidi, e il covid entra nuovamente nel 41 bis dell’istituto milanese di Opera, infettando diversi detenuti. Il primo recluso a togliersi la vita, a pochi muniti dall’inizio del nuovo anno, era nel carcere di Salerno: si chiamava Ahmeti, albanese, 28 anni, il suo fine pena era a settembre 2023. Il secondo suicidio è avvenuto nel penitenziario di Vibo Valentia: un detenuto, originario di Satriano, è stato trovato impiccato nella sua cella.
A darne la triste notizia è stato Samuele Ciambriello, il garante regionale dei detenuti della regione Campania. Ahmeti, il giovane albanese che si è tolto la vita, faceva regolarmente le videochiamate con il papà ed era ristretto nel reparto prima sezione, secondo piano. Il garante Ciambriello ha ricordato che si tratta di «un reparto dove lo scorso anno il 7 marzo iniziarono le proteste nelle carceri italiane dopo che erano state sospese visite, permessi, lavoro e relazioni con il mondo del volontariato».
IL GARANTE CAMPANO CIAMBRIELLO: «SERVONO INTERVENTI RAPIDI»
Il garante regionale, a tal proposito, ha osservato: «Abbiamo bisogno di interventi rapidi sul sistema carcere per ridurre ansia e solitudine, di migliorare i temi della salute, incrementare le misure alternative al carcere. Non si può continuare a morire di carcere ed in carcere». Ciambriello ha quindi sottolineato: «Ogni crisi è una scommessa, ma questa al tempo del Covid, non è stata colta dalla politica per avviare un processo di necessarie innovazioni, in termini di gestione, organizzazione e inclusione sociale negli Istituti penitenziari. La pandemia ha riportato alla luce non solo problematicità cronicizzate del pianeta carcere, ma soprattutto ha delineato nuove forme di incertezza, in termini di normative e in termini di diritti acquisiti dalle persone ristrette».
Il secondo suicidio dall’inizio del nuovo anno è avvenuto al carcere calabrese di Vibo Valentia. Un detenuto, originario di Satriano, è stato trovato impiccato nella sua cella e vani si sono rivelati i tentativi da parte della polizia penitenziaria e del personale medico del carcere di strapparlo alla morte. Era detenuto nella sezione Sex offender. Cinque giorni prima, nello stesso carcere un altro detenuto extracomunitario aveva tentato di togliersi la vita dandosi fuoco. Si trova attualmente ricoverato nel Centro Grandi Ustionati del Cardarelli di Napoli.
I FAMILIARI DEI DETENUTI AL 41 BIS DI OPERA NON HANNO NOTIZIE
Ma la notte di capodanno, com’è detto, è segnato anche dal ritorno del Covid nel 41 bis. Il Dubbio, attraverso la segnalazione degli avvocati come Eugenio Rogliani del foro di Milano e Maria Teresa Pintus del foro di Sassari, apprende che al carcere di Opera sono diversi i detenuti 41- bis positivi, delle cui condizioni di salute, peraltro, i familiari – come denuncia l’avvocato Rogliani – non hanno alcuna notizia. Esattamente come accaduto nel mese di novembre del 2020. Anche in quel caso è stato Il Dubbio a lanciare l’allarme. Tra di loro c’erano detenuti con gravi patologie pregresse come il tumore. Ricordiamo Salvatore Genovese, 77enne al 41 bis fin dal 1999, cardiopatico, già operato di tumore e con i polmoni malandati. Circa 10 giorni prima che ha contratto il Covid, si è visto respingere l’istanza per la detenzione domiciliare. Per il giudice stava al sicuro, curato e non esposto al contagio visto il regime di isolamento. Purtroppo, come gli altri reclusi al 41 bis a Opera, così non è stato. D’altronde, dopo le indignazioni sulle “scarcerazioni” durante la prima ondata anche nei confronti dei detenuti – malati e quindi in pericolo – dei regimi differenziati, c’è stato un susseguirsi di istanze rigettate da parte dei magistrati di sorveglianza e gip. Sappiamo che Genovese non ce l’ha fatta, ed è morto.
Ovviamente, rispetto all’ondata del 2020, ora la situazione è diversa. Con il vaccino, diminuisce la probabilità che il virus porti alla morte. Ma la probabilità aumenta se la persona infetta è anziana e ha patologie pregresse. Inutile dire che al 41 bis di Opera, ci sono diversi detenuti ultra ottantenni e con gravi patologie. Ma al 41 bis di Opera si somma anche un altro problema. Da tempo, l’avvocato Eugenio Rogliani, ha denunciato alle autorità che, nonostante sia stato giudizialmente riconosciuto il diritto a svolgere il colloquio visivo mensile con i propri familiari anche attraverso l’uso di piattaforme informatiche, nessuno dei suoi assistititi al 41 bis ha sino ad ora potuto esercitare il diritto ad essi riconosciuto. «La circostanza – denuncia l’avvocato Rogliani appare del tutto singolare se solo si considera che i detenuti 41 bis allocati presso gli istituti di L’Aquila, Sassari e Tolmezzo già da tempo stano svolgendo il colloquio visivo mensile tramite videocollegamento».
IMPEDIRE I COLLEGAMENTI AUDIO- VIDEO COSTRINGE AI COLLOQUI IN PRESENZA
Non è un dettaglio da poco, se connesso al Covid. Impedire alle famiglie dei detenuti di svolgere il colloquio visivo attraverso l’utilizzo di strumenti informatici in grado di stabilire un collegamento audio – visivo con il ristretto impone ai familiari medesimi di eseguire il colloquio in presenza e quindi di spostarsi sul territorio nazionale per lo più attraverso i mezzi di trasporto a lunga percorrenza, in un periodo durante il quale l’indice di contagio è in preoccupante ascesa. Permettere i colloqui a distanza, assicurerebbe l’accesso al reparto ad un più limitato numero di persone provenienti dall’esterno, riducendo così il rischio contagio cui sono inevitabilmente esposti tanto gli operatori penitenziari quanto i detenuti. Ritornando ai primi due suicidi dall’inizio del nuovo anno, a ciò va aggiunta la prima evasione del 2022 avvenuta dal carcere di Vercelli. Per il segretario generale della Uilpa Gennarino De Fazio, sostanzialmente sono tre evasioni: «Una dal penitenziario e le altre due, dalla stessa vita di chi evidentemente non ha retto alle brutture di un carcere che non solo non assolve alle funzioni dettate dalla Carta costituzionale, ma che – al di là di quello che è ormai molto vicino a mostrarsi come becero chiacchiericcio di politici e governanti – non è neanche lontanamente nelle condizioni di poterlo fare».
De Fazio, si pone una domanda retorica: «Come si possono immaginare e conciliare trattamento, rieducazione e sicurezza in assenza di provveditori regionali, di direttori di carcere, di comandanti della Polizia penitenziaria, con carenze organiche di migliaia di unità in tutte le figure professionali e che raggiungono le 18mila nel Corpo di polizia penitenziaria? Noi pensiamo che non sia neppure utopia, perché a quest’ultima comunque si può credere ( serve a far camminare l’uomo, sosteneva Eduardo Galeano). In verità, abbiamo il forte sospetto che nessuno o quasi possa realmente pensare che l’attuale sistema carcerario sia in grado di puntare a realizzare ciò che la Costituzione vorrebbe». Il segretario della Uilpa afferma senza mezzi termini: «Se qualcuno non lo avesse capito, noi lo ripetiamo: non c’è più tempo. Pressoché ogni giorno, ormai, nelle discariche sociali rubricate sotto il nome di carceri succede qualcosa di grave; i detenuti continuano a patire e a morire e gli operatori, di Polizia penitenziaria in primis, ne subiscono le conseguenze dirette e indirette e spesso si trovano fra l’incudine delle legittime aspettative dell’utenza e il martello che deriva dalle ripercussioni provocate da un sistema fallimentare».
Damiano Aliprandi
4/1/2022 https://www.ildubbio.news
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