Suite Berlinese

Massimo Miro
Scritturapura 2021

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Leggendo con grande piacere “Suite berlinese” di Massimo Miro, uscito per la casa editrice Scritturapura, che ha pubblicato autori come Sabahattin Alì, Wytske Versteeg, Ida jessen, Rafael Horzon e molti altri con un grande lavoro di scouting sul fronte europeo da nord a sud, ecco un autore italiano che voglio definire mitteleuropeo e ci ambienta il suo romanzo fuori dalla solita location provinciale del bel paese.
Se, come cantava Lucio Dalla, Milano è vicino all’Europa, allora… Berlino è l’Europa.

Il titolo funziona, anzitutto, come un grande richiamo, mito delle generazioni degli anni 80, quando la città era ancora divisa dal muro e non si potevano contenere i sogni di evasione di migliaia di giovani.
Un romanzo che si muove tra fotografia e scrittura, fotografia perché l’immagine di Berlino che ci offre Massimo Miro è di una bellezza che ti entra nel sangue ed è impossibile non amarla.
Mi sembra di scorgere un filo sottilissimo che lega questo autore a Philip kerr, il grandissimo scrittore inglese recentemente scomparso, autore de La trilogia di Berlino, soprattutto nell’ultimo libro che chiude la trilogia medesima “Un requiem tedesco” perché mi ha richiamato la sua ambientazione.
Poi la storia ha un’altra connotazione, due periodi diversi, anni 30 e anni 80 legati da un filo comune.

Berlino est. Anni 80. Un uomo rimane fermo a guardare dall’altra parte della strada la Lada della Volkpolizei davanti al suo studio fotografico. Pensa di essere controllato. Un richiamo al film “La vita degli altri” sembra abbia un impatto con queste prime pagine del romanzo. L’uomo immagina che gli agenti abbiano già fatto irruzione nel suo appartamento, due modeste stanze di un primo piano di una casa piuttosto anonima. Nella sua testa c’è la sua casa devastata, con tutto per aria.

E qui la storia si infittisce. Un cliente misterioso che si presenta con un rullino da sviluppare. Soltanto sette scatti, assolutamente identici: una panchina e un parco di betulle.
In quei lunghissimi, interminabili istanti l’uomo rivede la sua vita. Il trasferimento all’ovest con la madre dopo la separazione dal marito quando era ancora bambino, il liceo, la carriera nel ramo della fotografia che gli aveva dato parecchie soddisfazioni, l’amore per Gala, fino alla decisione di tornare all’est.

Un romanzo underground, adrenalinico, ambientato in questa Berlino divisa dal muro che rimbalza agli anni 30, dove uno scienziato, nientemeno che Albert Einstein comincia confrontarsi con il tempo.

È il 1933. Ascesa al potere di Hitler. Einstein fugge negli Stati Uniti abbandonando Berlino. E durante la fuga lascia anche una sua alleva che per lui rappresenta qualcosa. L’ostacolo al loro rapporto non è rappresentato soltanto dal nazismo e dall’oceano che li divideva, ma da una differenza di età che vedeva difficile un futuro insieme.
Per la prima volta, lo scienziato, desidererà piegare il tempo all’amore. Forse potrà farlo a Berlino est parecchi anni dopo.

A rendere bello e credibile questo romanzo c’è il talento dell’autore, con una scrittura che incide, graffiante e toccante allo stesso tempo, dove troviamo una profonda introspezione dei personaggi perché Massimo Miro li scava e li cala nella nostra realtà di lettori rendendoli autentici.

Questa narrazione vibrante, sincopata, con descrizioni puntigliose danno pregio alla scrittura, originale, unica, con una storia più che convincente, con un tratteggio dei personaggi presenti e il loro disincanto davanti all’ineluttabilità del destino, accettandolo e rifiutandolo, ma sempre a testa alta come una sfida.

Massimo Miro, da arguto e fine scrittore qual è, ci conduce all’interno di questa avvincente trama, ma in realtà ci conduce in primis verso la conoscenza di una città, quella Berlino che da queste pagine ha trasmesso a tutti noi un segnale di amore e che vuole farsi altrettanto amare.

Una fotografia di Berlino, tra storia recente e passata, senza mai perdere il filo della narrazione, dove emergono temi di fondo importanti che si condensano conflittualmente in una serie di archetipi posti tra loro in contrapposizione dialettica tra intimo e sociale, un gioco di chiaroscuri che però non rimane irrisolto, ma fa emergere una serie di valori che alzano la qualità letteraria, perché l’autore evita di cadere nell’inganno tenendo tutto a bada, lasciando andare i freni quando meno te lo aspetti.

Giorgio Bona

Scrittore. Collaboratore redazione di Lavoro e Salute

Recensione pubblicata sul numero di aprile del mensile

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