Sul Nord Stream la verità verrà a galla solo quando sarà politicamente irrilevante
È già passato un anno da quando un attentato terroristico fece esplodere i gasdotti Nord Stream 1 e 2. I giornali occidentali accusarono immediatamente Putin, denunciando la sua intenzione di voler mettere in ginocchio l’Europa impedendole di riscaldarsi durante l’inverno. Che la Russia avesse tutto da perderci a far esplodere il suo gasdotto, sia perché lo aveva in larga parte costruito e pagato, sia perché con quei gasdotti esportava gas in Germania, non fu un argomento preso in considerazione dai nostri media mainstream. Del resto Putin viene dipinto come un mostro pazzoide e quindi che gli atti che gli vengono imputati non abbiano alcun senso non è un problema: fa parte del personaggio compiere atti autolesionisti per il piacere sadico di fare male agli anche agli altri. Non a caso i russi non solo si fanno esplodere i gasdotti, ma anche le dighe (che controllano), vogliono danneggiare le centrali nucleari (che controllano), e così via in un crescendo di nichilismo autodistruttivo.
A distanza di un anno la versione della Russia sadomaso che si fa esplodere i gasdotti è stata messa in discussione da molti valenti giornalisti d’inchiesta a partire dal premio Pulitzer statunitense Seymour Hersh. In primavera Hersh, con una lunghissima e assai documentata inchiesta, ha dapprima individuato nella Nato la regia dell’attentato terroristico ed ha poi accusato la Casa Bianca – in collaborazione con il Cancelliere tedesco Olaf Scholz – di tentare di “insabbiare la sua operazione” “dando in pasto” alla stampa, in particolare al New York Times, false narrazioni alternative. Ovviamente il governo statunitense ha rigettato le accuse ma non le ha smontate.
Qualche settimana fa è stata la volta della tv pubblica ZDF e del settimanale tedesco Der Spiegel che ha pubblicato una corposa inchiesta che smentisce la tesi dell’attentato russo e sostiene che “un numero sorprendente di indizi punta all’Ucraina” in quanto “è abbastanza evidente che tutte le persone coinvolte sono legate all’Ucraina”. Ovviamente trattandosi di una azione piuttosto complessa, che si è svolta in un tratto di mare trafficato e che nei giorni precedenti all’attentato aveva ospitato manovre militari congiunte della Nato, a molti è venuto il dubbio che il gruppo di sei attentatori individuato dall’inchiesta giornalistica – tutti ucraini – non abbia agito da solo. Infatti secondo uno dei giornalisti investigativi che hanno fatto l’inchiesta “il background e la formazione del gruppo indicano una azione professionale: forse servizi segreti o militari”.
Ovviamente occorre aspettare che si concludano le inchieste ufficiali che guarda caso sono però ancora in alto mare. Viene il sospetto che come faceva notare Hersh, i governi statunitense e tedesco, non siano particolarmente interessati a scoprire rapidamente la verità. Del resto, visti gli evidenti coinvolgimenti dell’Ucraina nell’attentato, i governi della Nato non paiono certo interessati a fare rapidamente chiarezza su quanto avvenuto. Immaginate la reazione del popolo tedesco di fronte alla dichiarazione ufficiale che a far esplodere il loro gasdotto è stata l’Ucraina in combutta con alcuni paesi alleati della Nato…
Siamo quindi un una situazione in cui le affermazioni dalla propaganda occidentale risultano con ogni probabilità false ma non vengono smentite ufficialmente, perché questo incrinerebbe la narrazione generale sulla guerra. Com’è capitato molte volte la verità verrà a galla più tardi, quando sarà politicamente irrilevante, perché le bugie avranno già prodotto i loro effetti pratici. Pensiamo solo alla guerra all’Iraq, scatenata dai paesi occidentali sulla base delle menzogne sparse a piene mani da Tony Blair (che mentì davanti al parlamento inglese) e a Colin Powel (che mentì addirittura davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite).
Se andiamo al di là delle bugie di guerra, che sono state diffuse a piene mani in questo anno e mezzo e che non riguardano solo questo attentato, possiamo vedere con chiarezza che uno degli obiettivi – non secondari – di questa guerra consiste proprio nel colpire l’apparato produttivo della Germania e dell’Europa.
Chi ha avuto i danni maggiori da questo attentato e dalle sanzioni contro la Russia è infatti la Germania, che con il venir meno del gas, del petrolio, dei fosfati russi a basso costo, ha perso una bella fetta della sua capacità concorrenziale. Subito dopo la Germania è l’apparato produttivo italiano ad essere stato colpito dalle sanzioni, visto che dell’apparato produttivo tedesco quello italiano è una sorta di dependance decentrata con bassi salari.
Questo attentato non è quindi un incidente di percorso ma l’emblema della guerra in Ucraina. Una guerra di cui la Nato ha posto le condizioni con il suo allargamento e poi non ha fatto nulla per evitare quando i russi chiedevano di trattare, come ha inavvertitamente fatto notare Stoltenberg qualche settimana fa. Quella in Ucraina è una guerra degli Usa contro la Russia ma anche contro l’Europa – ed in particolare contro la potenza produttiva tedesca – che gli Usa considerano un concorrente da ridimensionare drasticamente.
Prima i popoli europei capiranno questa elementare verità e prima si potrà arrivare a porre le condizioni per la fine della guerra. Per arrivare a impostare seriamente una trattativa per la fine della guerra in Ucraina serve una volontà politica occidentale e questa è possibile solo dietro la spinta delle opinioni pubbliche. Fin quando i popoli europei, anche se sono contro la guerra, penseranno che questo conflitto sia tra buoni e cattivi e che noi siamo dalla parte dei buoni, sarà difficile costruire la pressione sufficiente per interrompere le ostilità e ricercare una tregua. Solo la consapevolezza che questa guerra è giocata in larga parte sulle bugie – da chi ha fatto esplodere il nord stream alla funzione reale delle sanzioni – e che l’Europa fa la parte del vaso di coccio tra i vasi di ferro, può farci uscire da questo sonno della ragione in cui stiamo finanziando una guerra contro noi stessi.
Paolo Ferrero
27/9/2023 da il blog su “Il Fatto Quotidiano”
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