SULLA CGIL E LANDINI

LETTERA A LAVORO E SALUTE.

Caro Franco, conoscendo la tua storica appartenenza sindacale, me la ricordo bene alle Ferriere Fiat quando da operaio dirigevi il periodico “Compagni” e ponevi delle questioni dentro la FLM ma anche con più visione critica le rivolgevi alla Cgil. Parlando con un sindacalista che legge Lavoro e Salute, che non conoscevo, ti chiedo un parere su due proposte di Landini che mi hanno lasciato molto perplesso e preoccupato per la natura del sindacato: la detassazione degli aumenti contrattuali che, la dico d’istinto, mi pare una richiesta corporativa che quasi se ne frega degli altri lavoratori fuori dalle certezze contrattuali e la proposta di una “Agenzia” che dovrebbe costruire “un nuovo Modello di sviluppo” che a me pare sulla falsariga della delega che il governo ha dato al manager Colao, istituendo in pratica un’altro ministero “a latere” come si direbbe in tribunale.
Ho la sensazione che il sindacato si candidi come consigliere governativo, un ruolo che snaturerebbe per sempre le ragioni di utilità dell’esistenza di un’organizzazione sindacale rappresentativa dei lavori, quindi non solo dei lavoratori stabilizzati contrattualmente. Che ne dici, sbaglio?

Michele Di Massafra

Caro Michele, già sono intervenuto su LeS di qualche mese fa per rispondere a un’altra lettera sulle problematiche all’interno del nostro sindacato. Ripeterò alcuni passaggi che mi paiono dirimenti per entrare, come è nostro diritto/dovere di iscritti militanti, in aspetti davvero critici. Non ho idea da quanti anni vivi queste dinamiche interne, e delle loro proiezioni nel quadro politico e sindacale ma, per quanto mi riguarda, sono ormai oltre 47 anni che ci lotto dentro per dare spazio a un fare sindacato di espressione diretta del mondo del lavoro.
Le questioni che poni, relative a una delle tante (troppe e forse sostitutive del vuoto d’iniziativa) interviste di Landini sono pesanti e, concordando con te, posso dire che, senza giri di parole, affermo che oggi la Cgil non è adeguata su tutti fronti, pur fermamente convinto che meno male esiste come sindacato di massa, perchè altrimenti il quadro politico e sociale sarebbe molto più drammatico, anche negli spazi, pur residui, di democrazia.
Almeno su questo aspetto è intervenuta col suo peso la Cgil, costretta a supplire questa mancanza (nonostante abbia contribuito a determinarla) sul terreno della politica e dei valori. Penso alle iniziative e mobilitazioni antifasciste, antirazziste, in difesa dei diritti, delle libertà e della democrazia, ma anche con la vicinanza all’associazionismo.

Ma è sulla materia del lavoro che la Cgil ha colpevolmente segnato il passo, nella lettura dello stato di cose presenti e conseguentemente nell’azione.
Avvalendomi anche, ancora una volta, delle considerazioni, spesso fatte su Les, di alcuni dirigenti sindacali affermo che la deriva conseguente alle scelte della “contrattazione inclusiva” – sostitutiva di quella di “filiera” o del “sindacato di strada” è paurosamente dannosa per gli interessi materiali del mondo del lavoro, anche perchè nella cruda prassi si persegue il disegno dirompente del welfare aziendale e della sanità integrativa e sostitutiva di quella pubblica solo perché, secondo alcune interpretazioni nel gruppo dirigente: agli iscritti fa comodo, perchè è detassato e le aziende hanno aggio ad avere sgravi in merito. Si partecipa negli enti bilaterali trasformandoli in voce di bilancio di molte categorie, specie di quelle più fragili (terziario e Nidil), si sviluppano “aziendalmente” i servizi offerti, sulla scia di un percorso già praticato da decenni da Cisl e Uil.

Il grosso dei sindacalisti, dai 30 ai 40 anni, non avendo un’esperienza politica o di movimento alle spalle, e neanche le gratificazioni o le cicatrici di grandi battaglie sindacali, sono più dei tecnici amministrativi preparati, ma analfabeti politici e fuori da ogni logica di lettura vertenziale e conflittuale dentro le aziende, pubbliche in particolare.
Resiste attivamente un’area d’impegno programmatico dal nome significativo “Riconquistiamo tutto” ma, causa limiti statutari, è poco rappresentata nelle strutture confederali. Una folta area che prova a rimettere sui binari conflittuali un ragionamento su quale Cgil servirebbe nelle dinamiche sociali attuali ma è un’articolazione indebolita dalla fuga di un buon numero di sindacalisti che le ultime segreterie, nazionali e locali, hanno spinto fuori dalle singole categorie portandoli a continuare l’impegno sindacale dentro piccole e combattive organizzazioni: Cub, Cobas, Usb e altre, che suppliscono come possono e difficilmente riescono da sole a smascherare e combattere il forte corporativismo, funzionale alla destrutturazione dei servizi pubblici, vedi la sanità, che piccoli sindacati professionali professano, ben sostenuti dalla stampa nazionale e locale.

Questo è quanto successo nell’arco di oltre vent’anni, che si è tradotto in cambiamento culturale, confermato dalle intenzioni di Landini, in continuità con le segreterie di Epifani e della Camusso, per un sindacato unico con Cisl e Uil. Ma è proprio nei luoghi di lavoro che risulta difficile l’unità, dove sopravvivono spesso pratiche diverse tra le tre organizzazioni, in particolare sul diverso posizionamento nelle vertenze aziendali.

Ecco perchè, al netto delle opinioni buoniste su questo governo – nella perdente logica di difesa a prescindere del “meno peggio” che però scrive ricette simili a quelli che rappresentano il peggio – affermiamo che bisogna attenzionare una “ripartenza” che dimentica milioni di persone in condizioni di grave handicap socio-economico, perchè le ricette del Piano governativo acuiscono i danni, in particolare, sui diritti e le tutele, a partire da quelle sui luoghi di lavoro, dando più forza al peggio che si vorrebbe evitare. I vent’anni di berlusconismo e leghismo dovrebbero aver insegnato qualcosa.

franco cilenti

Da Lavoro e Salute cartaceo di luglio 2020

www.lavoroesalute.org

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http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-giugno-2020/

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