Sulla rotta degli orrori. Reportage sulla via balcanica delle migrazioni
Migranti in coda per la distribuzione del cibo a Bihac, in Bosnia (Ansa)
«Un clic e sei morto», avvertono i volontari lungo il confine tra Croazia e Bosnia. L’insegna all’ingresso della boscaglia conferma. È un campo minato ereditato dalla guerra nella ex Jugoslavia. Una trappola mai bonificata, lasciata lì per ammonire i migranti. La polizia croata non va per il sottile. I respingimenti sono all’ordine del giorno, generalmente con metodi violenti. Due settimane fa un profugo è rimasto ucciso da un colpo «partito accidentalmente» mentre alcuni agenti inseguivano una colonna di stranieri nella boscaglia. A ottobre un ragazzo afgano, a cui gli agenti avevano ‘sequestrato’ le scarpe prima di rispedirlo in Bosnia, è morto dopo che entrambi i piedi sono andati in cancrena.
E ora che l’inverno non è più solo un presagio, la situazione può solo peggiorare. «Pensa che sventura: non mi hanno ammazzato le bombe di Assad, e ora rischio di saltare in aria in Europa», dice Zakaria esorcizzando con un mezzo sorriso la paura di finire a pezzi proprio a un passo dalla meta. In tutto, secondo le stime, sono oltre 21mila le persone transitate lungo i confini in dall’inizio dell’anno. In Bosnia ed Erzegovina sono bloccate 8mila persone, di cui circa 6mila solo a Bihac, tra la foresta e i terrapieni vicini alla frontiera. Le condizioni nei campi sono invivibili, specie adesso che le temperature sono rigide e presto arriveranno le nevicate. Per i profughi la parola più temuta non è “ landmines”.
Lividi, graffi e bruciature sui corpi dei migranti provocati da bastonate e “lezioncine” (Borderviolence.eu)
Alle mine antiuomo molti di loro sono abituati fin dai tempi trascorsi cercando un riparo sulle alture afgane. Quello che più temono è il “ push-back”, le operazioni di sistematico respingimento per mano dei gendarmi di Zagabria. I segni sui loro corpi sono lì a dimostrarlo. Lividi, graffi, gonfiori provocati dalle bastonate, caviglie ustionate da certe “lezioncine” impartite coi ferri roventi. Piedi scorticati dal ritorno verso la Bosnia dopo che la polizia sequestra le scarpe.
In una dichiarazione passata pressoché inosservata, lo scorso 9 luglio la presidente Kolinda Grabar-Kitarovic, prima presidente donna della Croazia, aveva fatto capire quale sarebbe stata la musica per i mesi a venire. «Certamente – aveva detto –, un po’ di forza è necessaria quando si effettuano i push-back ». Segno che l’evidenza non poteva più essere negata. «Centinaia, se non migliaia, di migranti e richiedenti asilo sono stati maltrattati dalla polizia di confine croata e meritano giustizia», ha dichiarato Lydia Gall, ricercatrice di Human Rights Watch per i Balcani e Europa dell’Est.
Lividi, graffi e bruciature sui corpi dei migranti provocati da bastonate e “lezioncine” (Borderviolence.eu)
A lamentarsene non sono gli attivisti dal cuore tenero o i buonisti dell’Europa occidentale venuti a infastidire la gang sovraniste che seminano zizzania anche da queste parti. Negli uffici del Difensore civico di Zagabria è arrivato mesi fa un esposto firmato da ufficiali di polizia, la cui identità è stata protetta. Manifestano la «delusione» per l’ordine di respingere i profughi «a gruppi di 20-50 persone» senza garantire loro «il processo per ottenere l’asilo e anche dopo aver distrutto o gettato nel fiume i loro telefoni, oppure appropriandosene ».
Il Difensore civico è il rappresentante del parlamento croato per la promozione e la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Il testo, che il difensore Lora Vidovic ha ricevuto dagli agenti è molto duro: «Ci danno l’ordine di respingere tutti, senza esaminare la loro situazione, senza firmare documenti per non lasciare tracce». Non bastasse, «abbiamo anche l’ordine di prendere i loro soldi, di distruggere i loro cellulari». Secondo gli agenti che hanno chiesto, senza ottenerla, una indagine sulle politiche anti immigrazione «questa è la verità su come li trattiamo, i poliziotti che sono venuti da altri distretti per aiutarci sono particolarmente crudeli, perché sono arrabbiati per essere stati spediti qui, quindi fanno quello che vogliono senza alcun controllo. Il loro modo di fare ricorda quello dei ‘giannizzeri’ (gli antichi soldati turchi, ndr) : li bastonano e li portano via». Vidovic aveva chiesto l’apertura di un procedimento giudiziario, ma nessuno è intervenuto.
Il Ministero degli Interni «afferma che tali reclami sono privi di fondamento e inesatti», fa sapere il difensore civico che esprime disappunto per il rifiuto «di intraprendere tutte le misure per condurre un’indagine efficace». Gli abusi non sono una novità. La rete ‘Border violence monitoring network’ fa sapere che «da quando abbiamo iniziato a documentare questi casi nel 2016, la frequenza degli incidenti è aumentata e il livello di violenza raggiunto è scioccante».
L’organizzazione, che raccoglie le informazioni sul campo da diverse Ong, ha denunciato 625 casi documentati con testimonianze e foto (alcune delle quali sono riprodotte in questa pagina). Per sfuggire al « push-back » e aggirare i controlli, i boss del traffico di esseri umani le provano tutte. La polizia ungherese ha scoperto due tunnel utilizzati per entrare nel Paese dalla Serbia, aggirando la barriera metallica e di filo spinato fatta costruire dal premier ungherese Orban nel 2015. Ma non sarà questo a far ravvedere i paladini dei cavalli di frisia. Chiamati a fare il lavoro sporco per conto delle cancellerie dell’Ue.
Nello Scavo
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!