Susan, morta a Torino di invisibilità e di silenzio
La dichiarazione rispetto agli ultimi suicidi avvenuti nel carcere di Torino del Gruppo delle promotrici della campagna Madri fuori dal carcere e dallo stigma.
[Riceviamo e pubblichiamo] Di Susan, che nel reparto psichiatrico del carcere delle Vallette a Torino ha rifiutato di bere e alimentarsi fino a morirne, sappiamo poco: che era una giovane donna, migrante dalla Nigeria, con una pena lunga che considerava ingiusta. Con un figlio che aveva chiesto di vedere e per questo era stata trasferita dal carcere di Catania: per rivedere i suoi cari e soprattutto il figlio. Troppo poco sappiamo, ora che è morta, per ricostruire il percorso interiore e le ragioni che l’hanno portata a morire. Troppo poco per vederla come persona che col suo gesto estremo chiede attenzione, non come detenuta che col suo comportamento anomalo crea problemi all’istituzione carcere. Susan era in una sezione per detenute con problemi psichiatrici. Un modo per curarla meglio, oppure una mossa per etichettarla come caso psichiatrico esentando così tutti dal confrontarsi con lei come persona, con le sue ragioni e con i suoi bisogni? Lo stesso dibattito che ha preso avvio, su come intervenire/non intervenire sui detenuti in sciopero della fame, è sconcertante: sembra confermare che il problema del carcere sia come gestire il comportamento di chi sciopera, invece che ascoltare e interloquire con chi è ristretto (e che, non fosse altro che per questa ragione, ha diritto all’ascolto), per trovare il modo di tutelarne la vita riconoscendone le ragioni, invece e prima di affrettarsi a una diagnosi psichiatrica incapacitante. Invece e prima di lasciare che la morte ‘risolva’ la situazione, venendo meno ad ogni responsabilità di tutela. Neppure sappiamo il senso del gesto di Susan, quanto il fatto di non avere ancora potuto vedere il figlio abbia inciso sulla sua determinazione. E’ questo vuoto nel ritratto di Susan come persona che ci addolora. E’ questo vuoto l’accusa più grave nei confronti dell’istituzione: Susan è morta di invisibilità, di silenzio, di irrilevanza.
Come promotrici della campagna Madri fuori dal carcere e dallo stigma, che lo scorso maggio in tutta Italia ha posto con forza il tema dei diritti delle donne detenute madri alla relazione con i propri figli e alla potestà genitoriale, rilanciamo come non più rinviabile il varo di misure a difesa e promozione del mantenimento dei legami famigliari e genitoriali, e per forme alternative al carcere per le donne che hanno figli.
Poche ore dopo la morte di Susan, un’altra donna si è tolta la vita alle Vallette, impiccandosi in cella, sarebbe uscita tra nemmeno un anno. E a fine giugno un’altra ancora si è uccisa, pochi giorni prima di uscire. Il drammatico numero dei suicidi in carcere, tra cui aumentano le donne, pone il tema delle disastrose condizioni di detenzione e del senso della pena ben più di quello delle fragilità individuali. Individua insomma un problema politico cruciale, cui il rituale e unico appello governativo a costruire più carceri non può in alcun modo rispondere.
Gruppo promotrici della campagna Madri fuori dal carcere e dallo stigma
13/8/2023 https://www.fuoriluogo.it/
Non Una di Meno Torino: dolore e rabbia per i suicidi di Susan e Azzurra in carcere
Come NUDM Torino vogliamo mandare un messaggio di solidarietà a tuttx, tutti e tutte le detenute del carcere delle Vallette.
da NUDM Torino
Con molto dolore e molta rabbia, salutiamo Susan e Azzurra, le due donne che venerdì tra quelle mura si sono tolte la vita.
O, per meglio dire, sono state uccise da un sistema carcerario che non presenta possibili soluzioni.
Uccise doppiamente, anche per il loro essere donne: come tante, come tutte le persone che subiscono violenza di classe, di genere, e violenza razzista che il sistema carcere ripropone in maniera totalizzante.
Uccise perché si vedevano ancora una volta negato il diritto di vedere il proprio figlio o perché impossibilitate ad esprimere il proprio dolore ed alleviare il senso di fragilità.
Uccise come donne, soggettività non conformi, che a priori o posteriori le autorità vogliono psichiatrizzare e isolare piuttosto che ascoltare.
Uccise in mezzo alla sofferenza e lo sfinimento di tantx, tanti e tante altre detenute a cui vengono negate condizioni di vita dignitose né tanto meno offerte possibilità “rieducative”, parola che rinneghiamo ma che il sistema prevede come fine della pena carceraria.
Il suicidio è a volte l’ultima e più terribile forma di protesta.
Si decide di togliersi la vita piuttosto che vivere in condizioni di violenza istituzionale, privatx della libertà e senza intravedere vie di uscita.
Abbracciamo la rivolta durante la visita di Nordio e ci uniamo alla protesta che si è scatenata senza remore al grido “libertà”.
Libertà perché non servono nuove carceri, serve un cambiamento di sistema.
E, tra le tante cose, la recente proposta di Fratelli d’Italia di togliere la potestà genitoriale alle donne come pena aggiuntiva dimostra come in sostanza la direzione che si sta seguendo sia di ancor maggiore disumanizzazione.
Siamo per l’abolizione del sistema carcerario e del sistema punitivo! Perché non presentano e non vogliono presentare alcuna soluzione alla miseria che spinge alla violenza.
Quando si parla dell’abolizionismo in ottica transfemminista, viene spesso chiesto “e come faremo senza il carcere? dove finirebbe uno stupratore?” di solito questa domanda è fatta provocatoriamente, come per spiazzarci, più che come una vera preoccupazione.
Quello che rispondiamo è che l’abolizione del carcere significa per noi la creazione o ampliazione delle condizioni sociali per cui la violenza viene soprattutto prevenuta: reti, forme di relazioni, abbattimento delle diseguaglianze materiali a cui questa società costringe.
Non crediamo che la violenza smetta mai di esistere, ma in un tale contesto, quando viene agita, le modalità di responsabilizzazione e trasformazione offerte dalla comunità alla persona che ha agito violenza, non possono somigliare alla carcerazione istituzionale contemporanea, che produce e perpetra altrettanta violenza.
La situazione al carcere delle Vallette è inaccettabile ma non solo perché manca spazio, cura, rispetto, salubrità ma perché non è questo il sistema che può appianare le disuguaglianze, ascoltare né trasformare.
La lotta delle persone detenute ci riguarda e ci coinvolge: contro tutte le carceri, con tanta rabbia per quello che accade qui così come in tante altre città, facciamo eco alla voce di detenutx, detenuti e detenute gridando libertà.
17/8/2023
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