Taranto tra industria inquinante e contraddizioni sociali

In questo inizio d’anno, la questione dell’Ex-Ilva è tornata al centro del dibattito sulla politica economica e occupazionale italiana. La situazione della città di Taranto e delle “fabbriche della morte” cui ancora non si riesce a trovare alternativa, ci paiono emblematiche dello stato della cultura economica di questo paese e del suo attuale governo. Riteniamo che la questione vada approfondita e dunque pubblichiamo un ottimo reportage di Franco Oriolo sul tema sul tema e sulle vecchie-nuove contraddizioni vissute direttamente dalla comunità cittadina. Ad esso farà seguito un secondo articolo sul mercato globale dell’acciaio e sulle sue dinamiche

Ilva probabilmente tornerà in Amministrazione Straordinaria per la seconda volta in dieci anni. Verrà garantita la cassa integrazione straordinaria e resteranno attivi soltanto i lavoratori impiegati nella sicurezza e nella manutenzione degli impianti, per consentire che restino operativi. Si prevede altresì la tutela delle piccole e medie imprese creditrici dell’indotto.

L’accordo tra Invitalia e Acciaierie d’Italia, società di proprietà del Ministero dell’Economia con una quota azionaria del 38%, è stato respinto da Arcelor Mittal, che detiene il 62%. Nonostante la considerazione di ridurre la propria quota al 34%, Arcelor Mittal ha ritenuto inaccettabile l’accordo perché non disponibile ad un suo possibile aumento di capitale.

Nella trattativa il socio pubblico ha comunque evocato l’ipotesi di acquisire la maggioranza azionaria ma solo convertendo l’ultimo finanziamento versato a gennaio 2023 di 680 milioni per poi incrementarlo con altri 320 milioni di capitali necessari per sopperire ai pagamenti scaduti tra indotto e fornitura energetiche. (Quotidiano di Taranto del 18 gennaio 2024)

Arcelor Mittal ha considerato l’opzione di cedere la sua quota azionaria a Invitalia. Tuttavia, il governo ha respinto questa proposta poiché potrebbe generare controversie con l’antitrust europeo, in quanto comporterebbe l’acquisizione del 100% delle azioni a livello pubblico.

Il decreto (Dl n.4, già pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale), recentemente approvato, affronta la procedura per l’Amministrazione Straordinaria nel caso in cui non si raggiunga un accordo “in via ordinaria”. Tale decreto si occupa anche della correzione dell’articolo 2 emanato all’inizio del 2023.

La modifica in questione consente l’avvio del percorso verso l’Amministrazione Straordinaria su richiesta del socio pubblico Invitalia, il quale detiene una partecipazione azionaria superiore al 30%. In aggiunta, vengono introdotte disposizioni relative alla Cassa Integrazione Straordinaria, finalizzate a preservare i livelli occupazionali mediante la continuazione della produzione negli stabilimenti industriali di interesse strategico.

Un ulteriore articolo tratta disposizioni di carattere fiscale, mentre il quarto affronta le “disposizioni acceleratrici” per facilitare la conclusione delle procedure di liquidazione nell’ambito dell’Amministrazione Straordinaria. Si propone l’inserimento di un nuovo articolo nel D.Lgs. n. 270/99, il quale stabilisce che il commissario giudiziale, nell’ambito della sua autorità, è abilitato ad agire anche quando sono in corso cause legali o processi relativi all’azienda. Questa disposizione è volta a semplificare il processo di chiusura aziendale, prevenendo e riducendo complicazioni e ostacoli che potrebbero derivare da controversie legali pendenti. Nel caso in cui la procedura di chiusura segua le normative introdotte dalla nuova legge, il comitato di sorveglianza perde le proprie responsabilità. In aggiunta, le decisioni riguardanti la rinuncia a cause legali o la stipula di accordi richiedono l’autorizzazione del giudice delegato. In sintesi, l’obiettivo dell’articolo è semplificare il processo di chiusura aziendale, consentendo al commissario di assumere decisioni cruciali anche in contesti legali complessi.

Nel frattempo Arcelor Mittal oltre ad investire in India per la costruzione dell’acciaieria più grande del mondo (attualmente, l’India produce, al 2022, 7,8% della produzione mondiale di acciaio), è pronta ad acquisire una acciaieria in Francia. Notizia annunciata dal ministro francese dell’economia Bruno Le Marie il quale ha confermato che Mittal dovrebbe investire 1,8 miliardi per la decarbonizzazione del sito a Dankerque attraverso l’ipogeo di forni elettrici che ridurranno le emissioni di CO2 del 6%. Nello stesso tempo, lo stato francese parteciperà con 850 milioni di euro. A garanzia di tale investimento Mittal stipularerà un contratto energetico con l’Elettricitè de France (Group EDF) per la fornitura di energia elettrica prodotta dal nucleare.

Il 18 febbraio 2023, tra l’altro, è stata annunciata la firma di un protocollo d’intesa tra il governo italiano e Metinvest, multinazionale ucraino-olandese, in collaborazione con il gruppo Danieli, azienda italiana specializzata nella produzione di impianti siderurgici. Questo accordo prevede un investimento stimato di 2 miliardi di euro per la creazione di un polo siderurgico green a Piombino, con l’obiettivo di raggiungere una produzione annua di circa 3 milioni di tonnellate di acciaio.

La nuova acciaieria prevede l’assunzione di circa 1500 nuovi dipendenti, mentre i lavoratori pari a 1.350, della Jsw Steel Italy di Jindal detentrice dell’acciaieria in crisi da diverso tempo, verranno posti in cassa integrazione a zero ore con il 85% di copertura salariale.

La situazione a Taranto risulta davvero piuttosto penosa e vede un epilogo molto prevedibile da tempo.

Il paradosso più ostico da cogliere riguarda la mancanza di presa di posizione da parte dei lavoratori, i primi a risentire degli effetti nefasti di tali situazioni. Ma anche tra i cittadini che sembrano tollerare un pericoloso stato di ricatto tra salute e occupazione, dove nel corso degli ultimi decenni il reddito salariale è sceso a livelli minimi di potere d’acquisto, e la salute è sempre più minacciata dalle costanti emissioni tossiche generate dall’attività industriale, tenendo conto altresì della degradazione ambientale che interessa il territorio.

Una deturpazione delle condizioni di vita causate da una imposizione di sviluppo che non ha mai interagito efficacemente con gli abitanti. Contesto, questo, che ha determinato un decrescente numero di residenti.

Nell’ultimo decennio, Taranto ha assistito a una significativa contrazione demografica, registrando una diminuzione del 5% della popolazione, passando dai 200.000 abitanti del 2011 agli attuali 188.000. Questa tendenza al declino è ancora più preoccupante se rapportata alla perdita complessiva della provincia, che ha visto perdere circa 30.000 residenti nello stesso periodo.

L’impatto devastante nel tempo, in termini sociali ed ecologici, dell’insediamento dell’industria siderurgica, della raffineria ENI e della Marina Militare a Taranto è tangibile e incontestabile.

La presenza pervasiva della Marina Militare, con il suo Arsenale, avamposto di guerra nel Mediterraneo, è stata e continua ad essere legittimata, anche in tale contesto, attraverso un residuo indotto reddituale per i cittadini della città e della provincia ma anche giustificata tramite una retorica inaccettabile di valori patriottici e nazionalisti legati all’apparato militare. Ad oggi sono impiegati circa 1.350 dipendenti civili.

Tuttavia, l’Arsenale Militare, sin dalla sua costruzione nel tardo 1800, ha causato danni irreparabili all’ambiente, ed inferto, nel corso del tempo, gravi danni al fondale marino come evidenziato dai frequenti scandali eco-ambientali. Il suo insediamento lungo le coste del Mar Piccolo, oltre a pregiudicare la visibilità cittadina verso la costa con un ‘muraglione/recinzione’ lungo più di quattro chilometri e alto dai tre ai sette metri e mezzo, ha imposto, nel corso del tempo, una netta separazione tra i cittadini e il paesaggio naturale costiero.

Successivamente l’espansione con la realizzazione della Nuova Base Navale NATO sulle coste del Mar Grande negli anni ’80 ha acuito ancora di più il deterioramento ambientale, attraverso operazioni di dragaggio dei fondali per l’attracco delle navi da guerra che hanno pregiudicato profondamente l’equilibrio marino, distruggendo e compromettendo irreparabilmente l’habitat naturale e la prosperità della mitilicoltura lungo la costa.

In parallelo, l’industrializzazione ha generato un impatto devastante, alterando radicalmente il paesaggio urbano e incidendo negativamente sulla qualità della vita dei cittadini. L’evoluzione dell’Italsider, poi diventata Ilva e successivamente Acciaierie d’Italia, ha lasciato un’impronta indelebile sulla comunità, minacciando la sicurezza e la salute dei residenti nonché deteriorando le condizioni dei lavoratori della fabbrica con condizioni lavorative sempre più pericolose e salari sempre più esigui. L’area di insediamento industriale è tre volte la superficie della città.

La correlazione tra il problema di inquinamento di un impianto industriale e le disuguaglianze e ingiustizie sociali, chiaramente manifeste nella città, non sembra essere compresa adeguatamente.

Una situazione questa che genera una frammentazione sociale impedendo la formazione di un senso di identità comune all’interno della comunità. Nel 2022, prima della cancellazione del Reddito di Cittadinanza, il 48,3% della popolazione residente ha dichiarato un reddito inferiore a 15.000 euro, di cui il 38% rientrante in un intervallo fino a 10.000 euro.

Le speranze che i settori militari e industriale potessero stimolare una significativa crescita economica, si è verificata una ridistribuzione della ricchezza limitata, precaria ed iniquamente redistribuita.

“… Le disuguaglianze sociali si riflettono nella distribuzione disproporzionata dell’inquinamento tra le diverse fasce della popolazione … L’ambientalismo non deve essere esclusivo appannaggio dei ceti abbienti, dotati di possibilità economiche e culturale. D’altra parte le classi popolari davanti alla precarietà di vita a cui si trovano davanti hanno l’urgenza di “guadagnarsi il pane” e considerano l’impegno verso l’ambiente completamente fuori dalla loro quotidianità. L’accesso ad un possibile benessere così come l’esposizione ai rischi ambientali mutano in base a preesistenti  forme di oppressione…” (“L’era della giustizia climatica” di P. Imperatore e E. Leonardi).

Non è un caso che i quartieri più poveri, come Tamburi, Paolo VI, e Città Vecchia ne siano più esposti.

Si configura così una sorta di discriminazione ambientale, in cui le persone più svantaggiate sono sistematicamente maggiormente colpite dalla nocività e dalle conseguenze dell’inquinamento atmosferico.

Il futuro della città, partendo dall’isola della città vecchia posizionata anch’essa a poca distanza dall’industria, è legato ad un processo di gentrificazione, già in corso da diversi anni, dove Airbnb e hotel di lusso hanno già preso piede nell’isola della città vecchia, mettendo in atto ulteriori strategie per espellere gli ultimi residenti rimasti. Nuclei familiari, questi, che vivono in condizioni precarie, in case umide e prive di servizi, subendo un ricatto implicito per spingerle a lasciare il loro quartiere, come è già accaduto in passato.

Una rigenerazione urbana dove si dà la possibilità ad imprenditori senza scrupoli di utilizzare il quartiere per renderlo più attraente ai turisti senza tener conto delle reali necessità e ambizioni dei residenti locali. Un quartiere lasciato deperire negli anni al suo destino senza servizi adeguati al fine di migliorare in termini culturali e qualitativi di vita gli stessi abitanti. Una popolazione residente che ha visto “deportare interi nuclei familiari” in quartieri ghetto nel 1966 verso il Primo Lotto delle Case Italsider nel quartiere periferico Paolo VI, a ridosso della fabbrica, dove l’incuria e l’abbandono dei servizi continuano a generare non poche difficoltà [13] [14].

Questa frattura tra gli interessi della comunità presente nei quartieri e la nuova imposizione di sviluppo turistico intensificano ancora di più le tensioni, alimentate anche da una gestione politica locale legata al clientelismo e alle connessioni con la criminalità locale e imprenditoriale, da cui si nutre per fini elettorali.

Una situazione, a mio parere, che non assicura una vita dignitosa non può essere risolta esclusivamente attraverso la chiusura della industria; ma deve coinvolgere piuttosto l’intera struttura sociale, che sta progressivamente evolvendo verso una precarietà insostenibile nella vita e nel sostentamento, ma anche da un diffuso sentimento di rassegnazione, alimentato anche dai fallimenti delle deleghe politiche passate. Questa situazione ha rafforzato la rassegnazione e ha accentuato il rifiuto più deciso di affidarsi nuovamente a istituzioni o partiti che non adottino politiche accettabili.

D’altra parte si assiste in questi ultimi anni ad un consumo spregiudicato di suolo che ha raggiunto livelli estremamente preoccupanti, con quasi 35 ettari di territorio consumati dal 2016 al 2022. Una espansione urbana incontrollata che ha avuto un impatto devastante verso l’ecosistema locale compromettendo le funzioni naturali del territorio, portando con sé, insieme a quelli della industria e delle servitù militari, gravi conseguenze sulla salute pubblica e sulla qualità dell’aria.

Questi sono solo alcuni degli aspetti di come il potere politico centrale e quello locale siano conniventi a discapito di una popolazione locale presa in ostaggio da decenni.

Taranto, pertanto, resta una città sottomessa agli interessi privati dell’industria inquinante e all’opprimente presenza della Marina Militare che ne fa un target di guerra privilegiato pregiudicando ambiente e coesione sociale. Attualmente, non si intravede un futuro migliore, né in termini economici né in termini di sostenibilità ambientale.

Il futuro appare avvolto da un velo d’incertezza, privo di prospettive chiare di miglioramento economico e ambientale, gettando un’ombra cupa sul destino della città e dei suoi abitanti.

Di fronte a tale inefficace azione delle istituzioni, che trascura la qualità della vita cittadina, sono comunque presenti delle esperienze di resistenza. Collettivi e comitati si sono insediati nelle aree meno fortunate della città, cercando di stimolare impegno civile per migliorare le condizioni di vita della comunità. I loro interventi non si limitano a richiedere miglioramenti superficiali ma mirano a un cambiamento radicale, abbracciando sia il problema dell’ingiustizia ambientale sia quello della disuguaglianza sociale. Non si limitano soltanto a migliorare da un punto di vista esteriore le strade, ma cercano di coinvolgere la comunità nella ricerca di soluzioni condivise e partecipative. Questi gruppi potrebbero rappresentare esperienze comunitarie alternative per una vera democrazia partecipativa autonoma, affrontando le sfide dell’urbanizzazione e promuovendo un cambiamento basato sulla consapevolezza collettiva e la collaborazione.

Franco Oriolo

22/1/2024 http://Acciaierie d’Italia, ambiente, Arcelor Mittal, biopolitica, crisi, D.Lgs. n. 270/99, disagio sociale, diseguaglianze sociali, Ecologia politica, Elettricitè de France (Group EDF), Franco Oriolo, gruppo Danieli, Inquinamento, Invitalia, Jsw Steel Italy, lavoro, Marina Militare, politica industriale, Precarietà, privatizzazioni, quartiere San Paolo VI, quartiere Tamburi, reddito di cittadinanza, salute, stato sociale, Taranto, vita

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