TAV Le Grandi opere, il TAV e Salbertrand, il paese di mezzo

valsusa marcia

Per arrivare a Salbertrand, dove è in progetto la costruzione, su un’area di oltre 12 ettari di proprietà comunale, di un “impianto funzionale” per assemblare gli “spicchi” di cemento che serviranno a foderare il tunnel di base della Nuova linea ferroviaria Torino-Lione (https://video.lastampa.it/torino/il-deposito-di-rifiuti-d-amianto-che-blocca-l-apertura-del-cantiere-tav-torino-lione/105606/1056209), ci si deve arrampicare su quattro ripidi tornanti della statale 24 del Monginevro, due in salita e due in discesa: sono lì – provvisori – dal 1957 (anno della la grande alluvione)… Serre la Voute, è il punto più stretto della Valle di Susa; il versante nord (quello dei tornanti) è una paleofrana, che però non ha spaventato i progettisti dell’autostrada del Frejus che vi hanno scavato due gallerie senza seguire i consigli di chi studiava la geologia della valle fin dall’800 e che non a caso indicarono – oltre un secolo prima – il pur altrettanto ripido versante sud per realizzare la omonima ferrovia (allora a binario unico): altra lunga teoria di gallerie e arditi ponti in muratura fondati sui coni alluvionali che i torrenti scoscesi disegnano tra gli abeti e i pini del “Gran Bosco”.

Laggiù in fondo la Dora Riparia si allarga in una vasca di espansione saccheggiata da cave di ghiaia e dai relativi impianti di betonaggio, occupata dal lungo viadotto autostradale che prosegue le gallerie fino ad allargarsi, prima su due ampie aree di servizio, poi sul vasto piazzale realizzato per l’esazione di un pedaggio assai salato.

Il conto è ancora una volta a carico dei pochi abitanti e dell’esiguo territorio pianeggiante di un paese da cartolina, raccolto attorno alla sua chiesetta e sparso (per quanto possibile) su una cengia lunga e stretta che ospita il municipio, la scuola primaria, le vecchie case col tetto in lose e qualche brutto condominio ispirato a quelli della vallata olimpica di cui “Salabertano” (come nel ventennio ne avevano italianizzato grossolanamente l’elegante denominazione occitana) è la misconosciuta porta est. Nel residuo spazio pianeggiante ha trovato posto anche la sede del Parco, oggi riunificato in quello regionale delle Alpi Cozie, e il suo sorprendente eco-museo, ma anche alcuni milioni di metri cubi di rifiuti, mimetizzati tra ogni sorta di “inerti”, alcuni coperti da smisurati teli di plastica bianco-sporco e da decenni oggetto di sequestri e dissequestri da parte della magistratura.

TORO: «Eh ormai noi siamo diventati i mafiosi.., di… della zona.., no!?!… adesso gli portiamo via la fornitura a VALLE… Poi a ***gli portiamo via il frantoio…». […] I due indagati, alla luce degli evidenti vantaggi economici che potevano ottenere dalla locazione in corso in caso di svolgimento sul luogo di attività redditizia, hanno completamente mutato atteggiamento nei confronti di TORO, rendendosi compartecipi dello svolgimento dell’attività di illecito trattamento dei rifiuti: pacifico è invero, da un lato, che essi sapevano benissimo quale attività veniva svolta sul sito e, dall’altro, che essi si sono personalmente adoperati per ridurre i controlli da parte delle autorità pubbliche e consentire a TORO di proseguire nell’attività predetta.

 È un brevissimo estratto di oltre 650 pagine di una ordinanza del Tribunale di Torino di rinvio a giudizio di impresari edili-stradali che hanno molto a che fare con la Valle di Susa: l’inchiesta San Michele, un nome che riconduce alla Sacra, alla Polizia di Stato, ma anche alla ‘ndrangheta di cui l’Arcangelo con la spada è (suo malgrado) “santo protettore”. O, in modo più pertinente, alle cave che per decenni, nella più assoluta e colpevole indifferenza, hanno minato il monte Pirchiriano su cui sorge l’ultramillenario monumento-simbolo del Piemonte, e che sono usate oggi per depositarvi e riciclare materiali inquinanti troppo cari da smaltire correttamente. Sant’Ambrogio e Chiusa San Michele, il teatro di misfatti certificati dalle inequivocabili conversazioni intercettate degli “attori” di questa piccola terra dei fuochi del profondo nordovest. Ma forse anche Salbertrand, il suo esiguo fondovalle occupato e devastato da tutto un po’: da centinaia di migliaia di metri cubi di smarino provenienti dallo scavo di gallerie dell’ecologico raddoppio della ferrovia negli anni ’80, dalla realizzazione dell’autostrada, qualche anno dopo, dalla realizzazione (da cosa nasce cosa) di depositi di inerti che si sono rivelati non essere tali se è vero – come è vero – che quello in atto è l’ennesimo sequestro dell’area per il sospetto che sotto le colline artificiali, pudicamente coperte dai teli plastici, è stato rinvenuto amianto nei primi metri sondati, e nulla si sa ancora su cosa e quanto altro possa esservi sotto!

I terreni sono in parte del Comune (che affittandoli per anni ha potuto tenere “in nero” il precario bilancio) e in parte di uno dei tanti marchi di un gruppo finanziario e di impresa che aveva messo mano alla realizzazione del raddoppio ferroviario, ma soprattutto a quella dell’autostrada del Frejus, il Gruppo Gavio, secondo gestore privato dopo i Benetton della rete autostradale italiana (costruita, giova ricordare, interamente con soldi pubblici). Non sarebbe male occuparsene, visti gli intriganti intrecci tra ferro (TAV) e gomma (SITAF) che coinvolgono la valle, a cominciare dal fatto che l’attuale DG di TELT (Virano) è stato per anni AD di SITAF proprio su nomina del gruppo di Tortona.

Ma qui e ora la lente di ingrandimento va posata su un dettaglio, anzi su una “figura” che di quel dettaglio si è occupato ad alto livello, ma che risulta suo malgrado coinvolto nelle torbide faccende di competenza giudiziaria: il riferimento è a ITINERA, nome evocativo con cui è stata battezzata una delle imprese di costruzioni stradali (ma non solo) più importanti del Gruppo Gavio. Mentre la “figura” si chiama Manlio Moggia che di ITINERA è stato legale rappresentante per un tempo non trascurabile, in particolare nel periodo in cui “i nuovi mafiosi di zona” (come si autodefiniscono loro stessi) erano alle prese con appalti turbati e smaltimenti illegali! E mentre irrompeva sulla scena un nuovo e importantissimo attore protagonista impegnato nel TAV: TELT che, terminata la realizzazione del cunicolo di Chiomonte (ormai cerniera geografica e strategica tra alta e bassa valle), realizzato il collegamento geognostico (ma in asse tunnel ferroviario) tra le due discenderie in terra di Francia tra La Praz e Saint Martin La Porte ha fretta (è in abissale ritardo) di allargare il cantiere di Val Clarea; e soprattutto di impadronirsi di cosa rimane del piccolo ma strategico fondovalle di Salbertrand per realizzarvi la fabbrica dei conci di galleria da destinare al tratto italiano del Tunnel Euroalpin (quel che resta ‒ 57 Km in devastante ritardo ‒ dei farneticati 260 ad Alta Velocità che separano Torino da Lyon).

Ma che c’entra Moggia, l’ex dirigente di ITINERA? Probabilmente niente dato che dal Gruppo è stato nel frattempo liquidato. Sarà stato qualche suo successore (o ex subalterno) ad avere l’idea geniale di consegnare l’area a TELT senza pagare gli esorbitanti costi di bonifica che l’asportazione, il trattamento e il trasporto in discariche idonee di tutto il materiale accumulato da decenni comporterebbe: ci facciamo un Eliporto! Era già tutto concordato con l’eterno sindaco uscente (ma che mai si pensava potesse “uscire”): la motivazione socialmente utile e “irrinunciabile” a cominciare dall’offerta di un punto di atterraggio per il soccorso di vittime di incidenti stradali, ferroviari, domestici, come se le due aree di servizio e il vastissimo piazzale di esazione (illuminati a giorno) non potessero offrire lo stesso supporto a costo zero (o di un ordine di grandezza di molto inferiore). Ma così sarebbero state tombate sotto un sarcofago di calcestruzzo tutte le schifezze note (e soprattutto ignote) e magari i veleni che giacciono sotto il sudario dei teli plastici.

Già, ma come si fa a dire veleni? Intanto c’è la certificazione del materiale amiantifero e i sequestri (con intimazione di bonifica inosservata). E poi (a parlare è sempre la citata ordinanza del Tribunale di Torino):

Conversazione registrata il 28 maggio 2012. Nell’occasione, *** chiedeva a TORO, […], di dissuadere Moggia Manlio della ITINERA dal presentare offerte per l’appalto per lo sgombero neve bandito da ANAS per le strade statali […]. Si leggano, a tale proposito, le significative affermazioni di TORO: «ho dovuto minacciarlo non hai visto che ho dovuto andare lì col muso duro e farlo spaventare se no non riuscivo ad ottenere niente, e tu invece volevi, con le buone volevi risolvere i problemi, con quella gente lì non risolvi con le buone!». Le minacce, nello specifico erano consistite nel promettere l’invio di materiale compromettente raccolto sul conto ai suoi titolari Gavio, qualora non avesse accondisceso alle sue richieste […]. «Io c’ho dei documenti in mano sulla scrivania che se arrivano a Tortona… muore… muore lui la moglie tutti i suoi scagnozzi (…) a vedere le fotocopie gli viene gli viene il pelo tutto arricciato, visto che è pelato».

Non c’è bisogno di essere un investigatore o un magistrato inquirente per sospettare che il responsabile di un sito di discarica permanente assai poco visibile e per niente vigilata – se ricattabile – possa aver chiuso un occhio. E comunque se non è così (o non è dimostrabile che sia così) perché si è tardato tanto a intervenire in modo efficace?

Quando – poco meno di 30 anni fa – fondammo il “Comitato Habitat per la difesa della residua vivibilità della Val di Susa” ponevamo queste distonie al centro dell’attenzione. Eravamo uno sparuto gruppo di ambientalisti appena sconfitti dalla nomenklatura politico-speculativa che aveva imposto la realizzazione dell’autostrada Torino-Bardonecchia dopo aver perforato (a fianco della “storica” galleria ferroviaria) il tunnel autostradale del Frejus.

I TIR, nella bassa valle, tiravano giù i balconi dei paesi attraversati in pieno centro storico e i vecchi motori diesel rilasciavano polveri (niente affatto sottili, ma di spessa fuliggine) che si mescolavano con quelle delle allora numerose acciaierie di fusione di rottami provocando esasperazione (e giustificata paura di incidenti sempre più gravi) tra i cittadini. Affrontammo ugualmente una lotta evidentemente impopolare denunciando il rischio che la nostra valle divenisse «un corridoio plurimodale di transito» come lo battezzarono all’epoca i consulenti di SITAF assoldati per un progetto di “ottimizzazione ambientale”: la direttiva VIA della Unione Europea non era ancora stata adottata dall’Italia e di “compensazioni” c’era, se non altro, pudore a parlarne…

Di lì a poco sarebbe iniziata la campagna promozionale del TAV: gli stessi promotori dell’Autostrada (negazionisti ai tempi di Habitat) ci sarebbero venuti a dire che i camion erano inquinanti e il treno – ecologico per definizione – avrebbe salvato i nostri polmoni. Peccato che, sin dai primi studi, si ammettesse che non i treni, ma la costruzione della nuova ferrovia avrebbe aumentato l’incidenza delle malattie cardiovascolari del 15% (Fonte Alpetunnel, “nonno” di LTF a sua volta “madre” di TELT).

Pochi anni prima in Alta valle (quella che diventerà la valle olimpica) i torinesi si erano finalmente integrati coi calabresi (poco dopo aver tolto dai palazzi di città i cartelli “non si affitta ai meridionali”): il cemento unificante era stata la speculazione edilizia: si era messo mano ai primi piani regolatori: i pascoli erano diventati aree edificabili e i pendii, tagliate le piante, piste da sci. Pro Natura (con Mario Cavargna) denunciava coraggiosamente lo stato delle cose mentre quelli che sarebbero stati individuati come i mandanti organizzavano l’assassinio del capo della Procura Torinese Bruno Caccia. Chi sa se i ragazzini delle medie del quartiere Cit Turin che passano davanti al tribunale sanno chi fosse. E chi sa quanti neo-avvocati o giovanissimi magistrati sanno che l’impresa capofila che vinse l’appalto per la costruzione del Palazzo di Giustizia era finita sotto inchiesta in Sicilia per aver concordato gli appalti pubblici con il geometra Siino, meglio noto come il “ministro dei lavori pubblici di Totò Riina” (vedi, per tutti, La Repubblica, 25 giugno 1993)…

Intanto a Salbetrand si è votato e il sindaco uscente questa volta è uscito. Non dalle urne, ma dalla sala Giunta. E Roberto Pourpour, il nuovo primo cittadino, è “un uomo tranquillo”; non uno scatenato No TAV, non un antagonista. Si è candidato ed è stato votato contro il suo eterno predecessore perché ama il paese dove è nato. Proprio nei pressi dell’area contaminata ci sono le baite dei suoi nonni, attorno a cui vorrebbe tornare a fare agricoltura di qualità, ai piedi di un grande bosco dove anche fotografandoli d’inverno (o in bianco e nero!) gli abeti bianchi e i pini cembri riflettono mille tonalità di verde; con gli ungolati e i lupi (se si vuole) si può convivere e, se fanno danni, sono incomparabilmente meno devastanti delle discariche di veleni.

Il pericolo è che anche su Salbertrand, sul suo territorio offeso, prevalgano, con l’avvio del TAV gli interessi superiori (nonostante il nuovo sindaco e i suoi cittadini che quella “fabbrica” farà ammalare): quasi un milione di viaggi di camion previsti dagli stessi proponenti il TAV in aggiunta alle polveri dei frantoi e alle emissioni dei forni); per non dire della collocazione autorizzata in alveo fiume che potrebbe far allagare mezza valle. Sono quegli interessi che (sotto forma bancaria) hanno creato il mostruoso debito pubblico del nostro paese, che per “salvare” Venezia hanno autorizzato il Mose (che nemmeno La Stampa”, il cui editore ha avuto un ruolo chiave in progettazione e direzione lavori, difende più, mentre difende ancora la realizzazione del TAV!). Quel che risulta inaccettabile è l’attenzione vendicativa dedicata ai delitti di chi non vuole considerare “interessi superiori” le Grandi Opere imposte dai poteri forti “nell’interesse pubblico”, spesso accompagnate, nella loro realizzazione, da turbative d’asta, subappalti truccati, materiali scadenti pagati per buoni, tangenti alla politica etc. ma in favore delle quali sono schierate, con evidente sproporzione, battaglioni di forze dell’ordine, uffici giudiziari e una massiccia e costosa fabbrica del consenso (cfr. https://volerelaluna.it/talpe/2019/05/07/linformazione-alla-prova-del-tav/).

Anche per questo è importante che il piccolo paese di Salbetrand ‒ né alta né bassa Valle di Susa, paese di mezzo ‒ vinca la sua piccola-grande battaglia. Paradossalmente, ma non troppo, a fare il tifo per i suoi cittadini e i suoi nuovi coraggiosi amministratori dovrebbero essere soprattutto quelli che il TAV dicono di volerlo, senza sapere né cosa è, né quanto costa, e sopratutto quali sarebbero (anche per loro) i costi nascosti.

Claudio Giorno

11/11/2019 volerelaluna.it

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