Telemedicina e Covid-19: un’occasione mancata?

La diffusione della telemedicina. Una recente analisi ha stimato che in occasione della pandemia il ricorso alla telemedicina negli USA è aumentato di ben dieci volte, così da configurare una delle più grandi trasformazioni mai avvenute nella storia della sanità americana (P.Webster in The Lancet, 2020).

L’utilizzo della telemedicina ha consentito agli ospedali americani di seguire anche pazienti ricoverati in altri ospedali, di trattare direttamente a casa una quota dei pazienti, di continuare ad avvalersi dell’attività dei medici in quarantena (Hollander, Carr in New England Journal of Medicine, 2020).

Questo potente sviluppo della telemedicina negli USA si è realizzato malgrado soltanto il 20 per cento degli stati abbia introdotto un sistema di pagamento specifico per la telemedicina e non siano ancora stati adeguati il sistema delle credenziali e di accreditamento.

Il 30 marzo l’ente federale americano CMS (Centers for Medicare and Medicaid Services) ha emanato una serie di regole temporanee per favorire l’erogazione telematica di prestazioni sanitarie.

Il 30 aprile CMS ha emanato un’ulteriore direttiva finalizzata, tra l’altro, ad espandere ulteriormente il ricorso alla telemedicina. La direttiva amplia il tipo di professionisti e di soggetti autorizzati ad erogare prestazioni di telemedicina: non soltanto medici ed infermieri, ma anche fisioterapisti, terapisti occupazionali e logopedisti. Inoltre, la direttiva ha ampliato l’insieme di prestazioni erogabili da remoto che possono essere fatturate dai professionisti e dagli ospedali, ha assimilato le relative tariffe a quelle già in vigore per le corrispondenti prestazioni in modalità tradizionali ed ha retrodatato al 1 marzo la possibilità di fatturare le prestazioni erogate mediante telemedicina.

La già citata analisi pubblicata da The Lancet riporta che sviluppi notevoli della telemedicina in queste ultime settimane si sono realizzati anche in Cina, in Canada, nel Regno Unito, in India e in Sudafrica. L’Italia è citata come esempio negativo, in quanto, malgrado l’esistenza di linee guida nazionali, si è realizzato poco in termini di attività di telemedicina a causa dell’inadeguata disponibilità di hardware e dell’insufficiente capacità di banda.

È probabile che l’impetuosa crescita della telemedicina verificatasi in molti paesi si confermerà e consoliderà anche quando la pandemia sarà finalmente superata.

La telemedicina in Italia. Per quanto riguarda l’Italia, il direttore del Centro nazionale per la telemedicina dell’Istituto superiore di sanità ha riconosciuto il nostro ritardo rispetto agli altri paesi europei nella diffusione della telemedicina: la situazione italiana sarebbe caratterizzata da una pluralità di sperimentazioni locali e dalla totale assenza di servizi operativi di telemedicina. Gli ostacoli principali sarebbero rappresentati dalla carenza normativa in merito alla responsabilità sanitaria nelle attività di telemedicina e dall’assenza di un sistema di remunerazione applicabile alla telemedicina (Panorama della sanità, 2019).

Il Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione il 23 marzo 2020, nell’ambito dell’iniziativa “Innova per l’Italia”, ha indirizzato un invito al mondo dell’impresa e della ricerca al fine di individuare, tra l’altro, soluzioni tecnologiche “già realizzate e disponibili per l’implementazione in tempi estremamente brevi e compatibili con l’emergenza“, per garantire la teleassistenza di pazienti a domicilio, sia per patologie legate a Covid-19 sia per altre patologie, anche di carattere cronico. Questa iniziativa è la conferma dell’assenza, almeno a livello nazionale, di strumenti per la telemedicina già operativi o almeno già testati.

Un’indagine condotta dall’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari ha censito 89 “soluzioni digitali” adottate in 17 regioni. Nel 39% dei casi queste soluzioni consentono visite a distanza, nel 34% monitoraggio dei pazienti a casa, nel 10% monitoraggio dei pazienti in RSA. La numerosità delle iniziative censite non è comparabile all’enorme incremento che si è realizzato in altri paesi. Inoltre, i dati riportati dall’indagine non indicano nulla in merito alla numerosità dei pazienti effettivamente coinvolti (Altems, Instant report # 4, 2020).

La normativa italiana relativa alla telemedicina. A partire dal 2014, l’Italia si è data una normativa organica per disciplinare l’impiego della telemedicina e delle tecnologie digitali, riconducendo ad un quadro unitario anche precedenti disposizioni che nel tempo avevano interessato i medici di base, le strutture territoriali, i servizi specialistici e gli ospedali. La costruzione dell’impianto normativo è stata principalmente affidata ad una serie di intese Stato-Regioni – indubbiamente lo strumento più coerente con l’assetto istituzionale alla base del SSN – che conferisce allo Stato il compito di definire i principi su cui si fonda il sistema, i diritti che sono riconosciuti ai cittadini e le prestazioni che devono essere garantite, ma riconosce alle Regioni autonomia nell’organizzazione dei servizi. Le principali intese riguardano le Linee di indirizzo nazionali per la telemedicina del 2014 ed il Patto per la sanità digitale del 2016.

Le linee di indirizzo nazionali per la telemedicina sono state emanate per fornire un quadro di riferimento unitario nazionale per la implementazione di servizi di telemedicina, definendo le caratteristiche delle diverse tipologie di servizi suddivisi in Telemedicina specialistica, Telesalute e Teleassistenza. Le linee guida individuano inoltre i possibili modelli organizzativi distinguendo fra Centri Erogatori, strutture o professionisti che erogano le prestazioni sanitarie a distanza e Centri Servizi, strutture tecniche che assicurano i collegamenti per mezzo di soluzioni ICT tra pazienti, medici o altri operatori sanitari.

Il Patto per la Sanità Digitale costituisce il piano strategico unitario e condiviso fra Stato e Regioni per l’utilizzo delle tecnologie digitali in sanità, viste come una opportunità di miglioramento dell’efficienza, trasparenza e sostenibilità economica dei servizi. Il patto include la telemedicina fra le azioni prioritarie e in particolare la realizzazione dell’integrazione delle sue applicazioni con il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE).

Le soluzioni italiane per l’emergenza Covid-19. La riconosciuta carenza di servizi di telemedicina presenti sul territorio ha spinto l’ISS ad emanare un documento contenente “Indicazioni ad interim per servizi assistenziali di telemedicina durante l’emergenza sanitaria COVID-19” (Gabbrielli et al. in Rapporto ISS COVID-19, n. 12/2020). Il documento ha lo scopo di fornire indicazioni operative per la realizzazione di servizi di telemedicina realizzabili in tempi utili per fronteggiare l’emergenza della pandemia COVID-19, individuando le esigenze assistenziali facilmente trattabili a distanza, utilizzando strumentazioni e connettività già disponibili presso le strutture sanitarie e il domicilio delle persone che devono essere assistite.

Al fine di definire le caratteristiche e gli standard dei servizi da attivare, vengono preliminarmente individuate le categorie di pazienti che possono ricevere trattamenti di telemedicina; la classificazione si basa sulle definizioni di caso di COVID-19 e contatto stretto di caso di COVID-19 fornite dal Ministero della salute e tiene conto della presenza o meno di patologie croniche. Per tutte le categorie di casi è previsto il monitoraggio domiciliare della comparsa o dell’evoluzione dei sintomi da COVID-19, l’esecuzione di controlli medici tramite videochiamata per le categorie che presentano sintomi da COVID-19, mentre per i pazienti affetti da patologie croniche è prevista l’erogazione di prestazioni specialistiche secondo piani personalizzati per categoria di cronicità.

Telemedicina ed equità di accesso. Il forte incremento nel ricorso alla telemedicina ha fatto sorgere preoccupazioni in merito alle possibili difficoltà di accesso alle tecnologie telematiche per i pazienti più fragili, anziani e poveri, ovvero proprio quelle fasce di popolazione maggiormente interessate dalle patologie croniche. Si stima che circa il 25% degli americani potrebbe avere difficoltà di accesso alla telemedicina. Se la telemedicina sarà sempre di più lo strumento privilegiato dalla medicina di base, diventa necessario considerare attentamente i rischi di ostacolo nell’accesso alle cure primarie ed individuare efficaci strategie per la prevenzione di questi rischi.

In una rete di medicina primaria a San Francisco, che coinvolge 141 medici ed assiste circa 27.000 pazienti, sono state sviluppate alcune azioni finalizzate a facilitare l’accesso alla telemedicina per i pazienti che incontravano ostacoli in tal senso (S. Nouri et al. in NEJM Catalyst, 2020).

Tutti i pazienti di età superiore a 65 anni sono stati contattati per verificare se fossero in possesso delle condizioni di accesso alla telemedicina: strumenti informatici, banda larga, competenze informatiche di base. Sono stati creati e diffusi video per illustrare ai pazienti come avvalersi della telemedicina. Sono stati suggeriti ai pazienti i fornitori di accesso alla banda larga più economici o, laddove presenti, gratuiti. Sono state fortemente semplificate le procedure di accesso alle visite in telemedicina. È stato programmato l’orario delle visite in modo da favorire la presenza di familiari che potessero facilitare l’accesso del paziente alla telemedicina.

Per queste attività, sono stati coinvolti soprattutto studenti di medicina e volontari.

In conclusione. Barr e Podolsky (in NEJM, 2020) sostengono che le guerre e le epidemie   hanno un analogo potenziale nel catalizzare e accelerare lo sviluppo della medicina e dei sistemi sanitari e si domandano se e quali sviluppi medici e sanitari ci lascerà in eredità la pandemia da Covid-19. Anche questi autori citano come conseguenza già evidente l’attuale diffusione, in precedenza inimmaginabile, della telemedicina.

Sembra, invece, che in Italia questo sviluppo rilevante della telemedicina non si sia realizzato, perdendo le opportunità di maggiore sicurezza e maggiori possibilità di accesso alle valutazioni mediche che sono state documentate negli altri paesi. L’ipotesi attualmente più plausibile per spiegare questa condizione è l’inadeguata dotazione di tecnologie informatiche nelle strutture del SSN, a sua volta conseguenza della contrazione delle risorse che si è verificata negli ultimi anni. Per non parlare della nostra tendenza ad appassionarci più agli aspetti normativi che alle realizzazioni operative.

È ragionevole imparare da questa esperienza: sono auspicabili, anzi necessarie, un’ampia riflessione ed un’iniziativa nazionale finalizzate a recuperare il tempo perduto.

Un piano nazionale per irrobustire sostanzialmente l’infrastruttura digitale degli ospedali, degli ambulatori e dei medici di base – ad esempio finanziato attraverso una quota delle risorse del cosiddetto “Mes sanitario”  – faciliterebbe l’utilizzo della telemedicina quale una delle modalità correnti di erogazione dell’assistenza, come sta avvenendo negli altri paesi, renderebbe disponibili modalità ormai essenziali per la formazione e l’aggiornamento continui del personale sanitario, costituirebbe una linea di difesa per eventuali future emergenze.

La realizzazione di una piattaforma nazionale per la teleassistenza, come già previsto dal Ministero per l’innovazione, costituirebbe un’opportunità non vincolante per le regioni, in modo da accelerare l’attivazione operativa delle attività di telemedicina.

Il completamento, infine, delle regole (responsabilità sanitaria, modalità di pagamento, condizioni favorenti l’accesso per le categorie più fragili) dovrebbe avvenire con modalità e tempi che non procrastino ulteriormente lo sviluppo della telemedicina nel SSN.

Tommaso Langiano, Paolo Di Loreto

18/5/2020 https://www.eticaeconomia.it

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