Terra bruciata: rendere Gaza inabitabile per generazioni a venire

Novembre 2023: Attivisti di Greenpeace Indonesia organizzano un’azione di solidarietà e proiettano messaggi contro la guerra sull’edificio di un hotel nel quartiere degli affari di Giacarta. Greenpeace Indonesia chiede inoltre un immediato cessate il fuoco e chiede al governo israeliano di interrompere il blocco delle forniture di cibo, acqua, medicine e carburante ai cittadini di Gaza. © Jurnasyanto Sukarno / Greenpeace

di Farah Al Hattab,

Greenpeace, 5 luglio 2024. 

Accanto alle gioie dell’infanzia tra le montagne del Libano meridionale, la guerra e i bombardamenti attivi non erano mai lontani. Mentre l’occupazione israeliana di gran parte del Libano meridionale è terminata il 25 maggio 2000, due anni dopo la mia nascita, l’occupazione della Cisgiordania, della Striscia di Gaza, delle Alture del Golan e delle Fattorie di Shebaa continua ancora oggi. Nel luglio 2006, quando avevo otto anni, fu scatenata una guerra di 33 giorni contro il Libano. Sono cresciuta con la convinzione che il destino dei libanesi e dei palestinesi sia storicamente interconnesso e che un giorno la Palestina sarà libera. Ma non sono qui per parlare di me.

Mentre scrivo, la guerra israeliana contro la Striscia di Gaza infuria da 270 giorni, con almeno 38.430 morti e 86.969 feriti dal 7 ottobre a oggi, secondo il Ministero della Salute di Gaza. Stiamo assistendo a un genocidio in atto che ha conseguenze disastrose anche per gli ecosistemi e viola il diritto di molte persone di godere la vita in un ambiente sano.

“Una delle gravi conseguenze della guerra a Gaza è stata la massiccia violazione del diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile… cosa che rappresenta un serio rischio per la vita e per il godimento di tutti gli altri diritti”. La regione sta già sperimentando gravi impatti climatici che potrebbero peggiorare ulteriormente”. – Astrid Puentes Riaño, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sul diritto umano a un ambiente sano, in The Guardian, 6 giugno 2024.

Dall’inizio della guerra, come ricercatrice ambientale e legale, ho letto e raccolto articoli e informazioni sull’impatto devastante della guerra sull’ambiente di Gaza. Di seguito un’istantanea di ciò che è stato documentato finora.

Il bilancio ambientale della guerra in corso a Gaza

La guerra in corso a Gaza ha inflitto gravi danni ambientali, colpendo l’aria, l’acqua e la terra e tutti coloro che ne dipendono. Le emissioni immediate di carbonio causate dalla guerra sono impressionanti, con una stima media di 536.410 tonnellate di anidride carbonica nei primi 120 giorni di guerra, il 90% delle quali attribuite al bombardamento aereo e all’invasione terrestre di Gaza da parte di Israele. Si tratta di una quantità superiore al rilascio annuale di carbonio di molte nazioni vulnerabili al clima. Sono state registrate contaminazioni da metalli pesanti a seguito degli intensi bombardamenti.

L’aria è contaminata da sostanze chimiche provenienti da armi come il fosforo bianco, a causa dell’uso massiccio di esplosivi; l’esposizione alle munizioni al fosforo bianco, a sua volta, porta a una diminuzione della produttività dei terreni agricoli e può danneggiare le piante esistenti.

Le risorse idriche sono state gravemente compromesse, con circa 60.000 metri cubi di liquami e acque reflue non trattate che si riversano quotidianamente nel Mar Mediterraneo. Il sistema di acqua potabile di Gaza, già insufficiente prima della guerra, con il 90-95% delle acque sotterranee non potabili, è ora in uno stato ulteriormente critico. In media, nell’aprile 2024, i gazawi avevano accesso a circa 2-8 litri per persona al giorno, rispetto agli 85 litri per persona al giorno prima dell’ottobre 2023. Le ricerche indicano che 20 litri pro capite al giorno sono la quantità minima di acqua sicura necessaria per raggiungere i livelli minimi essenziali per la salute e l’igiene.

Palestinesi che riempiono bottiglie d’acqua per il consumo domestico da una fontana pubblica, nel campo profughi di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. © Anas Mohammed / Shutterstock

Il degrado della terra e del suolo ha devastato la popolazione agraria di Gaza. La distruzione delle fattorie e dei terreni agricoli, unita a 17 anni di blocco che ha privato la regione di fattori di produzione essenziali, ha portato a una grave insicurezza alimentare. Considerando l’intensità dei bombardamenti, è molto probabile che i terreni agricoli di Gaza siano contaminati da metalli pesanti e altre sostanze chimiche associate alle attrezzature e alle munizioni militari. Il 57% dei terreni coltivati di Gaza era già danneggiato a maggio 2024. Secondo le Nazioni Unite, Israele avrebbe distrutto il 70% della flotta peschereccia di Gaza. Il bestiame sta morendo di fame, incapace di fornire sostanze alimentari o di essere una fonte di cibo.

Gli ulivi, che sono fondamentali in Palestina per il loro profondo significato culturale e la loro importanza economica, in quanto forniscono sostentamento a molte famiglie attraverso la produzione di olio d’oliva, sono stati spesso deliberatamente presi di mira dai soldati israeliani o dai coloni, diventando un simbolo della sofferenza dei palestinesi espropriati del loro patrimonio e impossibilitati ad accedere alla loro terra e ai loro raccolti. La distruzione degli ulivi fa parte di un disegno più ampio di danni alla terra e alle proprietà – particolarmente evidente in Cisgiordania – e di restrizioni che hanno implicazioni significative per i mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare e l’ambiente dei palestinesi.

Salute pubblica e crisi climatica: i killer silenziosi

Le crisi della salute pubblica e la maggiore vulnerabilità agli effetti del cambiamento climatico sono conseguenze silenziose ma mortali della guerra. La regione del Medio Oriente e del Nord Africa si sta riscaldando a una velocità quasi doppia rispetto alla media globale. Quest’anno, almeno 1300 pellegrini del Hajj alla Mecca sono morti per patologie legate al caldo a causa delle temperature estreme riscontrate.

Gaza, già una regione vulnerabile al clima, si trova ad affrontare un peggioramento delle condizioni a causa della guerra. Le proiezioni indicano che le temperature potrebbero aumentare di 4°C entro la fine del secolo, aggravando le precipitazioni irregolari, le ondate di calore e la siccità. La recente ondata di calore di aprile ha evidenziato le condizioni terribili della popolazione sfollata, con diverse persone morte a causa del caldo.

Le infrastrutture sanitarie pubbliche, già indebolite da anni di blocco, stanno crollando sotto la pressione della guerra. I sistemi e le strutture di gestione delle fognature, delle acque reflue e dei rifiuti solidi sono crollati. Migliaia di tonnellate di rifiuti solidi si accumulano in discariche improvvisate in tutta Gaza e le acque reflue non trattate si riversano liberamente in mare. La diffusione di malattie come infezioni della pelle, epatite A e diarrea è in aumento, con potenziali epidemie che minacciano migliaia di vite. Gli attacchi agli ospedali e il blocco delle forniture mediche hanno paralizzato il sistema sanitario di Gaza, lasciando milioni di persone in urgente bisogno di aiuti umanitari. La presenza di cadaveri in decomposizione aumenta ulteriormente il rischio di epidemie di colera. I bambini, il cui sistema immunitario e la mancanza di cibo li rendono pericolosamente deboli, sono particolarmente a rischio.

Le conseguenze ambientali della guerra a Gaza danneggiano anche i paesi vicini

L’impatto ambientale della guerra si estende oltre Gaza, colpendo i paesi vicini come Egitto, Giordania e Libano.

L’Egitto è colpito dall’inquinamento nel Sinai settentrionale e lungo la costa mediterranea, con potenziali danni agli stock ittici, alla vita marina e alle riserve idriche sotterranee. Anche la qualità dell’aria è peggiorata, con conseguenze sulla salute pubblica. Anche la Giordania sta affrontando un aumento dell’inquinamento atmosferico a causa della sua vicinanza a Gaza.

Il Libano, in particolare le aree di confine meridionali, soffre di danni agricoli legati alla guerra, inquinamento chimico e contaminazione da residui di esplosivi. Anche in questo caso, una valutazione preliminare ha indicato che i bombardamenti al fosforo bianco hanno causato danni ambientali estesi, con un impatto sugli ecosistemi naturali, sulla qualità dell’acqua e con minacce per la salute umana e il bestiame.

Secondo il diritto internazionale Israele deve sostenere i costi della devastazione ambientale

Sebbene l’ambiente naturale sia protetto dal diritto internazionale umanitario, continua a essere una “vittima silenziosa della guerra”. La devastazione ambientale a Gaza viola molteplici leggi e convenzioni internazionali volte a proteggere l’ambiente durante i conflitti armati. Lo Statuto di Roma e le Convenzioni di Ginevra evidenziano che la distruzione ambientale intenzionale può costituire un crimine di guerra.

Esperti e ONG hanno utilizzato concetti come “ecocidio” per descrivere la distruzione deliberata dell’ambiente di Gaza. Una recente analisi satellitare rivela che “la portata e l’impatto a lungo termine della distruzione hanno portato a chiedere che tale distruzione venga indagata come potenziale crimine di guerra e che venga classificata come ecocidio, termine che copre i danni causati all’ambiente da azioni deliberate o negligenti”.

Il diritto internazionale richiede che Israele sostenga i costi della ricostruzione di Gaza, data la sua riconosciuta responsabilità di potenza occupante. Ciò è basato sul principio del diritto internazionale secondo cui “lo stato responsabile ha l’obbligo di riparare integralmente il danno causato dall’atto internazionalmente illecito”. – Articolo 31(1) della Responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti, Commissione di Diritto Internazionale, 2001.

Greenpeace Spagna e “Unmute Gaza” [riattiva l’audio di Gaza] espongono un’illustrazione realizzata dall’artista visivo americano Shepard Fairey “Obey” nel museo Reina Sofía di Madrid per chiedere un cessate il fuoco immediato a Gaza. L’illustrazione, che mostra un bambino palestinese coperto di sangue con la didascalia “Ci sentite?” e l’icona “riattiva l’audio” al centro, è basata sull’immagine scattata dal fotoreporter gazawi Belal Khaled ed è una delle decine di opere che, da quando è nato il movimento “Unmute Gaza”, sono state realizzate da 30 artisti visivi di tutto il mondo per rendere omaggio ai fotografi e ai giornalisti che raccontano da Gaza rischiando la vita.

La “distruzione senza precedenti di Gaza richiederà decine di miliardi di dollari e decenni di lavoro per essere sanata”.

Recenti rapporti hanno cercato di quantificare i danni subiti, il tempo necessario e il costo per riparare e ricostruire, tra le altre cose, l’economia, l’ambiente, gli edifici e le infrastrutture primarie di Gaza.

Una valutazione provvisoria dei danni effettuata dalla Banca Mondiale afferma che il costo totale dei danni alla fine di gennaio 2024 era di circa 18,5 miliardi di dollari; i danni già subiti nel settore idrico, igienico-sanitario e sanitario erano valutati in oltre 500 milioni di dollari; altri 629 milioni di dollari nel settore agricolo e 411 milioni di dollari nel settore ambientale (compresa la rimozione delle macerie).

Due bambini in cima a un cumulo di rifiuti a Gaza. Centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti circondano i residenti della Striscia di Gaza. © Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA)

Secondo un’analisi condotta da ricercatori del Regno Unito e degli Stati Uniti, il costo in termini di emissioni di carbonio della ricostruzione di Gaza sarà superiore alle emissioni annuali di gas serra generate da 135 Paesi.

Secondo l’UNCTAD, la “distruzione senza precedenti di Gaza richiederà decine di miliardi di dollari e decenni per essere sanata“. Un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) afferma che “il livello di distruzione a Gaza è tale che la ricostruzione delle infrastrutture pubbliche richiederebbe un’assistenza esterna su scala mai vista dal 1948“; il rapporto afferma anche che Gaza ha bisogno di circa 80 anni per ripristinare tutte le unità abitative completamente distrutte, seguendo gli stessi ritmi di ricostruzione delle ultime due escalation belliche causate da Israele.

Senza un cessate il fuoco permanente all’orizzonte, i danni e i costi di ricostruzione aumenteranno inevitabilmente, compromettendo ulteriormente la capacità del popolo palestinese di abitare nuovamente a Gaza.

Anche io che scrivo sto assistendo a un genocidio in atto con i miei occhi o attraverso il mio telefono: una documentazione dell’orrore di prima mano. Finché Israele non sarà ritenuto responsabile per il sangue che ha versato nella mia regione, temo che il destino dei gazawi toccherà anche a noi.

Le richieste di Greenpeace per proteggere le persone, l’ambiente e la pace a Gaza e nella regione

Misure urgenti:

  1. Un cessate il fuoco immediato e permanente.
  2. Un embargo globale su tutte le vendite e i trasferimenti di armi.
  3. La fine dell’occupazione illegale della Palestina.
  4. Passaggio costante e sicuro dei camion degli aiuti.
  5. Accesso per investigatori e specialisti ambientali per condurre indagini sul campo.

Misure a lungo termine:

  1. Sostegno dei donatori internazionali e regionali per lo sviluppo delle infrastrutture idriche.
  2. Valutazioni ambientali complete del dopoguerra.
  3. Gli sforzi di ricostruzione sostenibile si concentrano sulla mitigazione del clima, sulle politiche di resilienza e sul coinvolgimento della comunità.

Affrontare gli ingenti danni ambientali a Gaza richiede sia un’azione immediata che una pianificazione strategica a lungo termine per garantire un recupero sostenibile e una ripresa futura.

Lo staff di Greenpeace Aotearoa con uno striscione che recita “Cessate il fuoco ora” durante una marcia a Auckland, in Nuova Zelanda, per la pace nel conflitto tra Israele e Palestina.

Azioni di solidarietà che chiunque può intraprendere

Ovunque vi troviate, la vostra solidarietà può fare la differenza. Ecco alcune delle cose che potete fare:

Donare alle organizzazioni umanitarie della regione, come l’UNRWA.

Unirsi agli appelli per il cessate il fuoco e la fine del blocco, partecipando alle manifestazioni per la pace dove vi trovate.

Sostenere l’invito ai governi a cessare la vendita di armi a tutte le parti coinvolte. Amnesty International e Greenpeace UK sono tra i molti gruppi che chiedono un embargo sulle armi in linea con le leggi nazionali e internazionali. Alcuni paesi stanno già agendo per bloccare le esportazioni di armi. Paesi Bassi, Spagna, Canada, Belgio e Italia si sono mossi per sospendere la vendita di armi e il sostegno militare a Israele.

Unirsi a Greenpeace Norvegia e ai suoi alleati per chiedere alla compagnia petrolifera statale Equinor di porre fine alle sue partnership commerciali distruttive e agli investimenti in combustibili fossili nella terra palestinese occupata, che violano il diritto internazionale.

Farah Al Hattab è un’attivista e ricercatrice legale di Greenpeace Medio Oriente e Nord Africa con sede a Beirut. È nata e cresciuta nel sud del Libano.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

8/7/2024 https://www.assopacepalestina.org

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