TSO: LE 87 ORE DI MASTROGIOVANNI
Le recensioni di film di solito le scrivono giornalisti o i critici cinematografici. A scanso di equivoci, lo dico subito, perchè è la prima recensione che scrivo in vita mia, non appartengo a nessuna delle due categorie. Sono un medico psichiatra-psicoterapeuta. O meglio lo sono stata fino alle 23,59 del 30/10/2015 e lo riprenderò ad esserlo dopo le 23,59 del 29/2/2016. Questi novanta giorni sono un periodo di sospensione comminatomi dall’ordine dei medici a seguito di un esposto, scaturito mentre combattevo una battaglia solitaria, proprio per evitare che ci fossero altri “casi Mastrogiovanni”, altri pazienti dei reparti di salute mentale, vittime di immotivate crudeltà, di una violenza non necessaria. Ma torniamo per ora al film. E’ un’opera sui generis, perchè il grosso del materiale audiovisivo utilizzato per realizzarlo non è stato girato da alcuna troupe: sono state utilizzate le immagini delle telecamere a circuito chiusto dell’spdc (servizio psichiatrico di diagnosi e cura) dell’ospedale di Vallo di Lucania (sa). Nessun regista, nessun operatore di ripresa o fonico, telecamera drammaticamente sempre fissa. Le immagini, fortunatamente già viste e riviste sui media, in primis sul sito del settimanale L’espresso, ma non sarà mai abbastanza, le conosciamo tutti. Un pò come le immagini del ritrovamento del corpo di Aldo Moro o dell’uccisione di Kennedy.
Al centro della scena, quasi con una funzione totemica c’è un letto di contenzione, come ce ne sono tanti, troppi, nei circa 320 SPDC c.d. “repartini” presenti negli ospedali “normali” italiani. Di questi, solo in pochissimi,in una parte davvero minima non si usa la contenzione, che ricordo per i non addetti ai lavori, è la pratica di legare al letto i pazienti, serrandone polsi e caviglie. Il tutto grazie ad una legge risalente al 1904, emanata quando c’era ancora l’impero Ottomano e l’impero Asburgico. Ci troviamo nell’ospedale di Vallo della Lucania, ma potremmo essere in qualsiasi SPDC d’Italia, parafrasando la canzone di Raffaella Carrà, “Da Trieste in giù”. Già perchè negli ospedali del Friuli Venezia Giulia, retaggio della grande battaglia di civiltà condotta da Franco Basaglia, ispiratore della legge 180, tutt’ora la contenzione non si usa. Il sociologo Marc Augè, anni fa, riguardo a luoghi sempre uguali, che potrebbero essere ovunque e in nessun luogo, standard e senza alcun “Genius loci”, come centri commerciali, stadi, fast food, aeroporti coniò l’espressione “Non luogo”. A mio avviso un spdc può essere inserito a pieno titolo tra i “non luoghi”. Si assomigliano drammaticamente tutti. Un corridoio, quasi sempre squallido, pareti bianche e stanze da ospedale. Ma regole e clima da penitenziario.
A separarli dal resto del mondo, facendo sì che in alcuni casi possano diventare dei veri e propri “buchi neri” come se fossero degli spazi extratteritoriali, in cui non vige alcun rispetto per i diritti costituzionalmente garantiti dei pazienti, (a quanto pare “diritto alla vita”, “diritto ad alimentarsi e bere”, compresi) ci sono sempre delle porte tagliafuoco. Può variare il colore o leggermente il modello. Ma quasi sempre, anche qui con rare e felici eccezioni, saranno porte chiuse. Chiuse come le porte di un conclave, dove al termine dell’orario di visita dei degenti, viene dato un vero e proprio “Extra Omnes”. Via tutti, via anche eventuali occhi che possano vedere e orecchie che possano sentire. E le persone che stanno in un’istituzione con la porta chiusa, mi viene naturale chiamarle recluse. In questo caso la porta che separa il reparto di psichiatria (quando si comincerà a parlare di reparti di Salute Mentale?) dell’ospedale di Vallo di Lucania dal resto del mondo è gialla. Come molte porte tagliafuoco ha un’apertura con una piccola finestrella in vetro. Ma non si vede nulla lo stesso, la piccola finestrella della porta (altro “totem” del film) è stata opacizzata con della vernice bianca. Per evitare sguardi indiscreti all’interno. Perchè quello che succede dentro un spdc deve rimanere all’interno dell’spdc. Come se fosse un mondo a sè. Con le sue regole, i suoi usi e le sue consuetudini. Di solito lo vedono solo i degenti degli spdc, i medici e i paramedici degli spdc. Ma i primi sono sempre considerati non credibili Ma non è così.
Vorrei ricordare che nell’ordinamento italiano non esiste alcuna norma specifica sugli spdc. I pazienti degli spdc hanno gli stessi identici diritti dei pazienti degli altri reparti. O almeno in teoria. La pratica è diversa. E lo sappiamo grazie anche alle telecamere a circuito chiuso e a questo film di Costanza Quattrino. Questo spdc potrebbe essere ovunque, alle porte di una grande città, affacciato sulle alpi, in un’isola. Che si trovi a pochi minuti di ambulanza da un posto paradisiaco come le spiagge del Cilento, ce lo ricordano le immagini di apertura. Spiaggia da sfondo di computer, nella versione fuori stagione. Mancano le sdraio, gli ombrelloni e le cabine degli stabilimenti balneari. Non ci vuole un grande sforzo ad immaginarsela nel pieno della stagione estiva, a fine luglio. Persone che si rilassano e bambini che giocano con le formine. Me la immagino così. Questa volta non siamo in un “non luogo”, è una spiaggia particolare, viva, di una natura e una vegetazione che tolgono il fiato. E proprio qui, come ricorda la titolare dello stabilmento balneare, comincia il dramma di Franco Mastrogiovanni, quando viene “catturato” da numerosi membri delle forze dell’ordine, con un dispiagamento di uomini e mezzi di quelli che a momenti non si usano nemmeno per fermare un pericoloso terrorista internazionale. Ma il sindaco Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, poi ucciso per una questione di camorra, ha firmato la richiesta di una T.S.O., un Trattamento Sanitario Obbligatorio, una siglia che fa venire i brividi a tutti i miei pazienti.
Non entro ora nella polemica sulla territorialità del t.s.o, avvenuto in un comune diverso da quello in cui il sindaco lo aveva disposto. (ma la morte santifica tutti, e su wikipedia, nella pagina dedicata alla biografia del sindaco Angelo Vassallo, è stato rimosso ogni riferimento al suo coinvolgimento diretto nel caso Mastrogiovanni). Almeno in teoria, per esserci un T.s.o. ci devono essere particolari condizioni.Di questi tecnicismi, di questi particolari burocratici ne ho parlato a lungo con la nipote di Franco Mastrogiovanni, Grazia Serra, quando Le ho fornito consigli per la redazione della sua tesi di laurea sull’argomento.
E Franco Mastrogiovanni aveva accettato le cure, accettando di salire, dopo una comprensibile resistenza, sull’ambulanza che lo ha condotto nell’ospedale di Vallo di Lucania. Agghiaccianti le ultime parole pronunciate dal “Maestro più alto del mondo” prima di salire in ambulanza, così come ricordate dalla titolare dello stabilimento balneare “Non portatemi a Vallo, lì mi uccidono”. Franco Mastrogiovanni non è più uscito da quell’ospedale. Non è più uscito, se non da morto, da quell’spdc in cui è entrato, camminando spontaneamente, in costume da bagno e a torso nudo. Non riesco nella mia testa ad individuare due posti così vicini ma al tempo stesso così lontani, come alla fine di luglio una spiaggia bellissima e un reparto di un spdc. Ci sono solo pochi chilometri di distanza, da percorrere su una strada litoranea con una bellezza che toglie il fiato. Da qui in avanti la camera da presa di Costanza Quattriglio passa il testimone alle telecamere ad ottica fissa e da poche immagini al secondo dell’impianto di videosorveglianza del reparto. Senza di loro non sarebbe mai stato possibile ricostruire cosa è successo, in quelle ben 87 ore, 5 giorni circa, in cui Franco Mastrogiovanni è rimasto contenuto, legato mani e piedi ad un letto, senza mai potersi alzare nemmeno per bisogni primari, come mangiare, bere o andare in bagno. Il maestro elementare, viene infatti contenuto da due infermieri, di cui uno senza divisa, mentre sta dormendo. Non ha rifiutato le terapie, che ha regolarmente assunto (si vede un infermiere che gli pratica un’iniezione mentre non è contenuto), non ha piantato grane, aggredito il personale medico o paramedico o gli altri codegenti. No, niente di tutto questo. La contenzione, decisa da miei colleghi psichiatri, ma non registrata in cartella e materialmente posta in essere dai paramedici, che devo ahimè ricordare oggi sono anche loro dei professionisti sanitari dotati di loro competenza e autonomia, avviene mentre Franco Mastrogiovanni sta dormendo tranquillamente.
Commentando il film, la cosa più agghiacciante che mi ha detto un mio giovane paziente, che è stato contenuto addirittura senza che ci fosse un t.s.o. e senza che nella cartella sanitaria sia stata indicata la durata di questa contenzione, e a cui per questi motivi ne avevo vivamente sconsigliato la visione, è che si aspettava di vedere immagini più forti. Già perchè quello che si è visto nelle immagini dell’impianto tv a circuito chiuso, è la triste quotidianità degli spdc. La quotidianità che subiscono i pazienti dietro quelle porte, gialle o di altro colore chiuse, tagliafuoco o a vetri che siano. Una quotidianità che, se non fosse stato per il tragico epilogo della morte di Mastrogiovanni, non sarebbe stata considerata degna di attenzione da parte dei media. Quello che si vede nel film #87 ore non succcede solo in quella stanza in cui è contenuto Franco Mastrogiovanni, succede anche nelle stanze vicine dello stesso spdc, come si vede in un’inquadratura sinottica delle immagini delle telecamere a circuito chiuso, versione catodica, del panopticon di Bentham. Un “Grande fratello” dell’orrore.
Del film mi hanno colpito alcune inquadratore, come ad es. la ripresa effettuata da una on board camera, che riprende parte del pecorso che ha compiuto l’ambulanza per andare dallo stabilmento balneare all’ospedale di Vallo, come se fosse in retromarcia. E’ probabilmente quello il modo, la soggettiva, in cui Mastrogiovanni ha (intra)visto dalle fessure che sostituiscono i vetri delle ambulanze, per l’ultima volta in vita sua, il mare e il cielo libero. Dopodichè per 87 ore ha potuto fissare solo il soffitto di quella squallida stanza dell’spdc. Dove i paramedici e l’altro personale porta da mangiare il vassoio alle persone contenute, ma nessuno ha il senso civico o l’istinto di domandarsi come possano fare a consumare i pasti pazienti con mani e piedi legate. Agghiacciante poi l’immagine con cui si chiude il film. Un’addetta alle pulizie, pulisce in maniera maniacale, il pavimento che alla fine risplende al punto da permettere di vedere il luccichio del riflesso della finestra. Fine delle trasmissioni. Franco Mastrogiovanni è stato portato via, finalmente slegato dopo 87 ore. Non è più vivo, ma nelle immagini non si vede alcuno stupore, alcuna preoccupazione nei tanti medici e paramedici presenti nelle inquadratore. Come se nulla fosse, viene tolto il materasso a quel letto di contenzione. Rimane solo la rete metallica e la struttura di questo letto d’ospedale, diventato nel civilissimo 2009 e in un normale ospedale, uno strumento di morte e di tortura, nonchè di privazione della dignità.
Mi è piaciuta tantissimo anche la scena del volto in lacrime di Grazia Serra, nipote di Franco Mastrogiovanni, riflessa nel bordo del suo computer portatile che guarda le immagini delle ultime ore di vita dello zio. Immagini che avevo già visto, tante troppe volte e non al cinema.
Non sono un critico cinematografico e quindi non so se esista un nome per questo particolare effetto. Sono un medico psichiatra, o meglio come Cenerentola lo sono stata fino alla mezzanotte del 30/11/2015. E lo sarò di nuovo dopo 90 giorni. Essere stata la “stecca nel coro”, essermi opposta al sistema, a quel clima di omertà di medici e paramedici che permette che dietro quelle porte chiuse, possano succedere orrori e atrocità come nei peggiori campi di concentramento mi è costato caro. Per 90 giorni non potrò vedere i miei pazienti, prescrivere farmaci e firmare ricette. Avrò tanto tempo libero. Lo utilizzerò per andare in giro per tanti “non luoghi”, andrò sicuramente alla Rinascente, al supermercato, al centro commerciale a fare shopping, avrò magari più tempo per andare dal parrucchiere. Non so ancora se andrò al cinema, di certo non vado a vedere i cinepanettoni, ma penso che la cinematografia, abbia lo straordinario potere di essere per lo spettatore un cannocchiale che gli permette di aprire una finestra su mondi che non conosce.
Questo film non servirà ad aprire le tante, troppe porte, gialle e non gialle degli spdc. Ma permette all’opinione pubblica, di vedere e capire, cosa è successo dentro quella stanza dell’spdc di Vallo di Lucania, come se con un cannocchiale avessimo avuto la possibilità di guardare attraverso quella finestra coperta di vernice bianca della porta gialla dell’SPDC da cui Franco Mastrogiovanni non è più uscito.
Nicoletta Calchi Novati
4/12/2015 da http://www.tgmaddalena.it/
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