Testimoni sepolti
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Utilizzando tutti gli ingredienti del genere e con grande maestria, Michele Rondelli ci racconta la più grande tragedia mineraria italiana, quella di Cozzo Disi, avvenuta a Casteltermini il 4 luglio del 1916 e che costò la vita di 89 operai e il ferimento di altri trentaquattro.
Un romanzo verità che cala nella fiction restando fedele ai fatti, agli avvenimenti di quei giorni in un paese ribattezzato Calarmena, dove un ragazzino, Vincenzo, generazione di lavoratori della miniera, anche lui avviato a questo durissimo lavoro come sono costretti a fare i bambini poveri del paese, si trova per ben tredici giorni sotto terra dopo un crollo.
Il racconto si articola grazie alla voce di un cronista inviato sul posto per scrivere alcuni articoli su misteriosi delitti che avvengono nel paese, un paese dove gli abitanti hanno sempre avuto il vezzo di scannarsi tra di loro.
Mandare un cronista da Palermo in un’altra provincia, Agrigento, per scrivere un articolo sui delitti avvenuti in quel luogo era un incarico forse poco gratificante.
Chi poteva interessare?
La domanda se la pone Ruggero De Robertis che su incarico del suo direttore si recherà sul posto e qui troverà Paolo Lo Groi, fraterno amico e compagno di studi dai tempi del convitto Giuseppe Maraffino di Palermo.
Ruggero con la passione per il giornalismo e la scrittura, Paolo per gli affari e la politica.
Il romanzo. Aspettiamoci che dentro una storia drammatica come questa emergano ingredienti e tematiche sociali forti: la povertà, l’insicurezza del lavoro fatto di fatica e di rischio altissimo e una società schiacciata dal sopruso potente e borghese a livello feudale.
E sarà la figura del cronista che entrerà nel tessuto di quella società diffidente a comprendere le relazioni umane e a carpire i giochi di astuzia e di potere a fare luce sulle responsabilità occulte di quel disastro?
Ruggero non aspetta altro e allora attendiamoci soluzioni inaspettate venire a galla.
La coscienza cala in quel fatidico giorno, il 4 luglio 1916, quando una fuga di grisou venne a contatto con le lampade a fiamma dei surfanari provocando una tremenda esplosione nelle viscere della terra,
Undici giorni dopo ecco emergere Vincenzino Butera che aveva scavato con le mani per raggiungere un’insperata salvezza. Vincenzino Butera sarà l’unico sopravvissuto, la cui testimonianza aprirà inquietanti interrogativi che si riveleranno nella stesura del romanzo.
Rondelli non critica ma analizza con la sua scrittura secca ed efficace dove sembra che la parte sana del mondo sia da questa parte e c’è una vitalità inesauribile e una curiosità infinita dentro la malinconia.
Raccontare significa liberare e non è soltanto un’espressione intellettuale, è qualcosa che muove dalla coscienza.
Tutto può essere messo in relazione, a distanza di un secolo, con i problemi contemporanei, quelli che sono a cuore a una componente più sensibile dell’umanità.
Tra intrecci, manipolazioni e giochi di potere il lettore sarà curioso di scoprire se Ruggero, che cercherà di portare a galla la verità, riuscirà ad arrivare in fondo al percorso.
La verità verrà a galla prima o poi, forse ci vorrà tempo e a volte è un bene anche se non riuscirà a fare giustizia e in questo lascerà un dolore ancora più grande.
Ma resta la storia e la storia con il tempo non cancellerà il dolore ma servirà a tenere viva la memoria.
E non è facile muoversi dentro le pieghe della storia portandola alla voce diretta del romanzo, ma Rondelli si muove con autorevolezza, con uno stile compatto e solido, descrivendo i personaggi con profondità, animi e sensibilità diverse tra loro ma che vanno a compensarsi nella stesura di un racconto intenso: la rappresentazione di un dramma dentro la storia, una condizione sociale dell’Italia di allora, quella di un sud che ha le potenzialità per emergere e che ci crede anche se dovrà lottare per venire fuori.
Che bella lezione questa.
Giorgio Bona
Scrittore. Collaboratore redazione di Lavoro e Salute
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