Torino prima in Italia a processo per il reato di inquinamento ambientale
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Il 18 giugno a Torino c’è stata la prima udienza “processo Smog” in merito all’accusa di inquinamento ambientale (articolo 452 bis del Codice penale), con imputati gli ex sindaci, Chiara Appendino (5Stelle) e Piero Fassino (PD), ma anche l’ex presidente della Regione Sergio Chiamparino (PD). Tra il 2015 e il 2019 non si sarebbero adoperati con scelte politiche per garantire la tutela della qualità dell’aria. Torino è tra i Comuni più a rischio per questo tipo di inquinamento è secondo i consulenti della procura torinese, ci sono concentrazioni sopra i limiti di legge che avrebbero causato oltre mille morti premature e diversi ricoveri ospedalieri. Da sottolineare che c’è una seconda’inchiesta che indaga anche l’attuale presidente della Regione, Alberto Cirio in merito al perido successivo alla prima inchiesta contro gli ex sindaci.
Il processo ha preso il via da un esposto presentato nel 2017 da Roberto Mezzalama, presidente del Comitato Torino Respira, ammesso come parte civile al processo (insieme a Greenpeace Italia, Giustizia Climatica Ora, ISDE-Associazione Italiana Medici per l’Ambiente).
L’iniziativa legale è stata possibile grazie all’introduzione, nel 2015, di nuove disposizioni legislative in materia di reati ambientali (legge n.68 del 2015), che ha introdotto, tra gli altri, il delitto di inquinamento ambientale (art. 452 bis c.p.).
Che Torino fosse una Città a rsichio di salute da inquinamento ambientale lo si deduce anche da quanto affermato da Mezzalam “«La cosa che mi ha sorpreso di più quando ho cominciato a cercare dati per l’esposto – ha dichiarato Mezzalama – è stata che sui siti del Comune e della Regione fossero pubblicate relazioni degli epidemiologi dell’ARPA che parlavano chiaramente di molte centinaia di morti a causa dello smog ogni anno. Quindi era evidente come gli amministratori fossero perfettamente a conoscenza della situazione, ma non stessero affatto prendendo le decisioni necessarie a risolvere il problema, anzi».
In particolare a Torino, dal 2015 al 2020 tutte le stazioni di rilevamento di pm 2,5 hanno superato il limite di concentrazione raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), pari a 10 microgrammi su metro cubo. Dati che per la procura configurano un’emergenza sanitaria, con le istituzioni che avrebbero dovuto emanare ordinanze urgenti, soprattutto per tutelare le fasce più sensibili della popolazione: bambini, anziani e malati.
Uun recente report di Legambiente dice che a Torino i livelli delle polveri sottili (PM10, PM2.5) e del biossido di azoto sono in aumento.
Questo rapporto conferma uno stato di cose che regna industurbato da qualche decennio. Nella mia esperienza politica di cinque anni nel settore delle politiche ambientali alla Provincia di Torino il dato più sconfortante è stato quello del menefreghismo, nei fatti, e delle dichiarazioni ipocrite di tanti sindaci, di Torino e provincia.
Certamente non è, putroppo solo un problema di Torino l’inquinamento lo spropositato traffico di auto causa trasporti pubblici poco funzionali e costosi), inceneritori (una voluta scelta
impregnata di businnes), riscaldamento domestico ( tutto in mano alla discrezionalità delle forniture private),industrie (lasciate libere dalle Istituzionai nazionali e locali di produrre senza controlli) , agricoltura (sempre più massificata dalle multinalzionali e con i pesticidi a farla da padrone).
Quindi il mantra proclamato urbi et orb dagli industriali, che dura da decenni è di fatto: lasciateci inquinare un po’ di più e più a lungo.
In caso contrario arriveranno crisi occupazionali e scapperemo all’estero.
Una minaccia che produce ovvio immobilismo istituzionale, dato che oggi la politica è dominata dai loro eletti, con un’infima minoranza di consensi elettorali, mentre un governo di buon senso risponderebbe con la nazionalizzazione delle loro imprese.
Certo che l’ampio spazio sul tema dell’ambiente è aumentato anche nei grossi media ma le ricette che propongono, come megafoni degli industriali, complicano ancor di più le possibili scelte ecologiste, proposte sempre insistentamente dai movimenti di giovani, sempre più repressi militarmente e giuridicamente per la loro pericolosità per questo sistema inquinante.
Ricette mediatiche che parlano di una “nuova normalità” caratterizzata da un clima da incubo quotidiano in cui si promulga il messaggio secondo il quale non esistono vie d’uscita da questa situazione, se non quella di accettarne la convivenza a nostro rischio e pericolo e per un tempo indefinito.
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Ora invece, è sempre più chiaro che dal momento che, per definizione, col termine “lotta di classe” s’intende quel processo socio-economico che passa anche per il miglioramento delle proprie condizioni di vita, risulta chiaro come una lotta senza quartiere come quella dei giovani ambientalisti coincide anche con la possibilità di salvaguardare il nostro pianeta dagli effetti del cambiamento climatico.
Franco Cilenti
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