Tra Brasile e Cina l’accordo monetario che estromette il dollaro
Vi sono delle notizie che annunciano uno sconvolgimento del mondo. Oggi il governo brasiliano ha annunciato un accordo con la Cina in base al quale gli scambi commerciali tra i due Paesi saranno condotti nelle rispettive valute, senza utilizzare il dollaro statunitense. Ciò significa che gli scambi commerciali si svolgeranno in real brasiliani e yuan, anziché in dollari, come normalmente accade nelle transazioni internazionali.
La rilevanza di questa notizia non è data solo dalla dimensione economica interessata: la Cina è il principale partner commerciale del Brasile ed il commercio tra i due Paesi ha raggiunto i 150 miliardi di dollari nel 2022, con 89,7 miliardi di dollari esportati dai brasiliani in Cina. Il Brasile da solo ha ricevuto quasi la metà (48%) degli investimenti cinesi in America Latina tra il 2007 e il 2020, ovvero più di 70 miliardi di dollari.
Questa notizia è rilevantissima in quanto segnala una tendenza: la Cina ha già stabilito accordi simili con la Russia e l’Argentina. Inoltre la Russia, da quanto è soggetta a sanzioni economiche e da quando è stata rapinata di 300 miliardi di dollari da parte degli Stati Uniti, è obbligata a commerciare con l’estero con valute diverse dal dollaro e questo ha cominciato a farlo non solo con la Cina ma anche con l’India, l’Iran e così via.
La tendenza a sostituire il dollaro con altre valute nell’ambito del commercio internazionale è una tendenza che sta emergendo con forza, che è maturata nella perdita di centralità economica dell’Occidente nel corso di questi decenni e che ha trovato il suo detonatore nelle sanzioni occidentali alla Russia. Lì, nell’arroganza statunitense, è partita la valanga.
Punto di forza della valanga sono i Brics – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – che negli ultimi vent’anni hanno visto crescere la loro economia con una velocità ben superiore rispetto al sistema economico occidentale. Nel 2022, tali paesi comprendevano oltre il 41% della popolazione mondiale, il 24% del Pil mondiale e circa il 16% del commercio internazionale. A questo va aggiunto che i Brics sono sempre più interconnessi con la Shanghai Cooperation Organization (SCO), i cui stati membri sono Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, India e Pakistan.
Il punto politico è che i Brics, hanno come obiettivo quello di determinare un paniere di valute che sostituisca il dollaro nel commercio internazionale. Qualcuno può pensare che si tratti di un obiettivo velleitario, che in fondo la stragrande maggioranza degli scambi mondiali avvenga tutt’ora in dollari e quindi che si tratta di un obiettivo a lunghissimo termine, di una tendenza secolare.
Io penso che sia vero il contrario. La realtà economica è già oggi concretamente multipolare e non unipolare. Vi è quindi una base materiale economica su cui poggia il superamento della posizione di rendita del dollaro. La realtà militare è assai diversificata – con una spesa occidentale molto più alta di quella dei Brics – ma la capacità distruttiva è tale da trasformare in un olocausto qualunque guerra mondiale. In terzo luogo le sanzioni alla Russia, hanno prodotto come reazione lo sviluppo accelerato dei Brics che sono in piena espansione: Algeria, Iran e Argentina hanno già richiesto l’adesione, mentre Egitto, Indonesia, Kazakistan, Kenya, Messico, Nigeria, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Senegal, Thailandia e Turchia si stanno avvicinando sempre di più al circuito dei Brics ed hanno aperto un dialogo centrato sulla possibilità di una futura adesione.
Siamo quindi in una fase di passaggio in cui il dominio mondiale da parte della finanza statunitense è concretamente messo in discussione. Qualcuno può pensare che si tratti di un fenomeno non particolarmente rilevante, tutto sommato un portato naturale del pluralismo economico che caratterizza il mondo di oggi. Non è così. La finanza ha un ruolo centrale, di comando, nel modo di produzione capitalistico e un cambio di ruolo della moneta di scambio significa un mutamento degli equilibri di potere, non solo un fatto economico.
In secondo luogo il ruolo del dollaro come valuta utilizzata per gli scambi internazionali ha garantito agli Stati Uniti una posizione di rendita da cui è derivato per quel paese uno standard di vita del tutto al di sopra della sua effettiva produzione di ricchezza nel mondo.
Si tratta quindi della messa in discussione delle gerarchie mondiali e del ruolo degli Usa all’interno di queste. La notizia che la Cina e il Brasile baseranno i loro scambi commerciali sulle loro valute nazionale e non sul dollaro è quindi una notizia importantissima, che solo una stampa asservita al potere e finalizzata a non far ragionare le persone relegherà nelle pagine economiche. Perché il nodo vero della guerra in Ucraina è questo: di fronte alla crisi del ruolo dominante degli Usa dobbiamo scatenare la terza guerra mondiale o dobbiamo ricercare una nuova cooperazione tra i popoli e i paesi?
Paolo Ferrero
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