Trieste capolinea: diventare adulti lungo la rotta balcanica

Trieste, città di frontiera, è l’ultima fermata della rotta balcanica. Nel 2023 i dati hanno registrato un incremento degli arrivi dei minori non accompagnati. Cosa vuol dire crescere lungo la rotta balcanica? Cosa succede una volta arrivati a Trieste? Un’analisi

“Ognuno di questi ragazzi è un mondo”. A dirmelo è M., educatrice professionale, che si occupa dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) all’interno di una comunità di prima accoglienza a Trieste, lungo il confine con la Slovenia. M. mi parla con passione del proprio lavoro, raccontandomi anche degli aneddoti sulla vita all’interno della comunità. Essendo una realtà di primo contatto, la struttura si occupa sia di fornire delle cure fisiche che di raccogliere le testimonianze su quanto avviene lungo la rotta balcanica. Ad oggi, sono i singoli come M. a fare la differenza, a cercare di garantire un futuro a questi ragazzi. Dovrebbe essere un compito della comunità, ma manca la volontà politica per farlo. 

Minori fantasma 

Confrontando i dati sugli arrivi a Trieste nel 2023 si affronta un primo problema: la presenza di numeri discordanti. Il monitoraggio in Piazza della Libertà di Trieste, di fronte alla stazione centrale, dichiara un numero di arrivi diverso rispetto a quello rilasciato dal Comune di Trieste. Secondo l’aggiornamento  sulla situazione della rotta balcanica, presentato dal network coordinato dal Consorzio Italiano di Solidarietà  (ICS), tra gennaio e settembre 2023 sono arrivati 2316 minori non accompagnati, una media di 8 arrivi al giorno. Questo numero non corrisponde ai dati forniti ad OBCT dal Dipartimento Servizi e Politiche Sociali del Comune di Trieste: risultano arrivati dal 1° gennaio al 7 dicembre di quest’anno 960 minori, ma non fornisce il dato del numero dei richiedenti protezione internazionale. 

Trieste, spettacolo 21 dicembre

A Trieste, oggi 21 dicembre, nell’ambito del Festival S/paesati viene messo in scena lo spettacolo “6 Sei – Šest“, del teatro Mladinsko di Lubiana “6”. Parla di un episodio accaduto nel 2016, quando si è tentato di trovare alloggio per sei profughi minorenni non accompagnati nella Casa dello studente di Kranj, dove l’opposizione dei genitori e della comunità locale ha impedito la realizzazione dell’intento.

La spiegazione di questa discordanza sta nel fatto che il monitoraggio realizzato davanti alla Stazione centrale segnala anche coloro che non sono intenzionati a fermarsi a Trieste, persone invisibili che, arrivate all’ultima tappa del “Game” balcanico, vogliono proseguire velocemente verso Francia e Germania. Questi minori non vengono registrati dal Comune perciò è come se non esistessero. 

Gianfranco Schiavone, presidente dell’ICS, spiega che l’amministrazione pubblica non ha alcun interesse ad attuare un intervento di sostegno verso questi ragazzi. Secondo la sua opinione, una possibile soluzione sarebbe quella di aprire più strutture di bassa soglia con l’obiettivo di fornire un aiuto anche a quei minori, che per transitare più velocemente a volte si dichiarano maggiorenni. Non si può imporre la propria volontà a chi non vuole restare a Trieste ma, perlomeno, si può dare una mano. 

Un’altra possibile risposta al problema dei “ragazzi invisibili” potrebbe essere quella di far funzionare concretamente il sistema creato dal Regolamento di Dublino III  . Riguardo ai MSNA, la normativa sancisce che si possa attivare il meccanismo di regolare trasferimento dal paese d’arrivo verso altri stati membri in base al principio di unità familiare. Questo prevede il trasferimento del minore nei casi in cui ci sia un parente o un familiare che si possano occupare di lui in un altro paese europeo. Al momento, questa opzione non è applicata e le procedure amministrative richiedono mesi o addirittura un anno. Se questa possibilità venisse attuata in maniera funzionale, potrebbe permettere un maggior tracciamento dei ragazzi arrivati a Trieste. Infatti, il minore potrebbe viaggiare regolarmente e in sicurezza in territorio europeo, senza perderne le tracce per strada. 

“Questo non c’è. Non c’è interesse per il minore in transito”, riassume Schiavone e aggiunge: “L’interesse generale, moralmente riprovevole, è che questi ragazzi se ne vadano il prima possibile.” Si crea così una situazione grigia, nebbiosa, in cui decine di minori, di cui nessuno sa niente, spariscono e restano solo come numeri sulla carta, nella totale indifferenza del sistema. Secondo il presidente di ICS è il risultato di un “momento di degrado istituzionale e culturale”. 

Crescere lungo la rotta balcanica

Nadir, 16 anni, ha testimoniato  a Save The Children: “Ai miei fratelli dico di non fare il viaggio che ho fatto, perché in Bulgaria sono rimasto in prigione tre mesi, sono stato picchiato. Se dici che sei un minorenne, non ascoltano. Quando sono arrabbiati, picchiano e basta.” Anche le testimonianze dei ragazzi raccolte dalla comunità di Trieste raccontano la dura realtà della rotta balcanica: pestaggi, violenze fisiche, abusi sessuali. L’educatrice intervistata spiega che quasi tutti i ragazzini di cui si occupa hanno visto morire degli amici e provano il “senso di colpa del sopravvissuto”. Una crescita fatta tra cicatrici e traumi psicologici. 

Silvia Maraone, coordinatrice dei progetti di Ipsia a sostegno dei migranti in Bosnia  , racconta la situazione dei minori non accompagnati sul territorio della Bosnia Erzegovina: “In tutti i Balcani si cerca di tutelare le persone minori. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) [che opera anche in Bosnia] definisce delle procedure ad hoc in linea con la safeguard policy   internazionale sulla base del cosiddetto interesse superiore del minore.” 

Attività al social Cafè di Borići © (IPSIA BiH  )

Attualmente, nel cantone di Una Sana, nella struttura di Borići esiste una zona riservata solamente ai minori stranieri non accompagnati, come previsto per legge. In precedenza, anche nel campo di Bira esisteva una separazione tra adulti e minorenni e al campo di Lipa era prevista una suddivisione in tre settori: single men ovvero adulti maschi, famiglie e MSNA. Ciononostante la divisione presente sulla carta spesso non corrisponde alla realtà. I confini tra le zone sono labili e a volte gli stessi minori si rendono irraggiungibili, dichiarandosi maggiorenni o restando assieme ai loro connazionali negli insediamenti informali intorno alla città di Bihać. 

Fornire una corretta tutela dei minori è difficile, spiega Maraone: “Questi ragazzi avrebbero bisogno di stabilità, di supporto psicologico, di intraprendere dei percorsi formativi ed educativi di cura. Percorsi che non possono essere garantiti nel momento in cui restano nei campi solo per quanto serve prima di spostarsi da una parte all’altra.” La fragilità, tipica dell’età adolescenziale, in queste persone si acuisce e così, anche a causa delle violenze subite, i ragazzi cercano rifugio nell’abuso di droghe e alcool. 

Crescere lungo la rotta balcanica significa affrontare una lotta per la propria sopravvivenza. Senza soldi, con un passato di violenza, i minori possono finire all’interno dei traffici di esseri umani, in alcuni casi prostituendosi. “Spesso i minori non sanno capire di chi fidarsi”, continua Maraone, e aggiunge: “All’interno di questi percorsi abbiamo notato una grande verità: tutti sono relativamente sacrificabili e le persone ferite spesso vengono lasciate indietro. Vige la regola mors tua, vita mea.” I minori sono semplicemente più vulnerabili a questa situazione. 

Sempre più giovani

”Sulla rotta cambiano i numeri ma non cambiano i problemi” conclude Maraone. Problemi che diverse realtà della società civile europea denunciano da anni. Tra questi la rete Rivolti ai Balcani, di cui Ipsia e ICS ma anche OBCT fanno parte. Già nel 2020 la rete sottolineava che la rotta balcanica era una delle rotte principali delle migrazioni e che presentava un chiaro schema di esternalizzazione delle frontiere UE – visto l’accordo firmato nel 2016 tra l’Unione e la Turchia. Politiche che hanno contribuito, invece che fermare, il proseguimento della violazione di diritti umani fondamentali. 

Lungo la rotta balcanica non sono mai finite le violenze ai confini e i respingimenti illegali, le detenzioni arbitrarie e il mancato accesso alla richiesta d’asilo, più volte denunciate dalla società civile europea e da alcuni eurodeputati, oltre che dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Di recente, in una lettera firmata  da più di 50 organizzazioni non governative diretta ai vertici dell’Unione Europea, veniva denunciata la proposta del Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo [su cui è stato poi raggiunto l’accordo in sede UE  ieri, 20 dicembre, ndr]: “Se adottato nel suo formato attuale, normalizzerà l’uso arbitrario della detenzione dei migranti, inclusi famiglie e bambini, aumenterà la profilazione razziale e userà le procedure di ‘crisi’ per permettere i respingimenti e rimandare le persone nei cosiddetti ‘paesi terzi sicuri’ dove saranno esposti al rischio di torture, violenze e detenzione arbitraria.” 

Solidarietà

Una rete di organizzazioni, attiviste e attivisti che operano insieme in solidarietà e supporto alle persone migranti in arrivo a Trieste dalla rotta balcanica ha avviato una nuova e urgente raccolta fondi. Con l’inverno sono peggiorate le condizioni di viaggio, dove le persone vengono respinte, torturate e deprivate dei loro beni fondamentali. E all’arrivo a Trieste si trovano a vivere in condizioni disumane. Per donazioni si veda al link.

In questo contesto, il dato dell’abbassamento dell’età media riguardo ai minori che sono potenzialmente esposti a questi pericoli è preoccupante. Già nel 2022 il report “Vite abbandonate”  promosso da ICS aveva messo in luce un aumento degli arrivi dei MSNA dell’11% lungo la rotta balcanica con un’età sempre più in calo. Questa ipotesi ha trovato riscontro  anche nel 2023. Per quanto riguarda la situazione in Bosnia, al momento ci sono molti più ragazzini di 13 o 14 anni, rispetto ai sedicenni o diciassettenni di un paio di anni fa. A Trieste, M. riporta dei casi di accoglienza di bambini tra i 10 e i 12 anni. 

Secondo Gianfranco Schiavone, l’abbassamento dell’età potrebbe essere dovuto anche alle “folli politiche di respingimento dell’Unione europea”. In Afghanistan, principale stato di provenienza dei minori, si cerca di mettere “in salvo” colui a cui si vuole dare un futuro. Secondo l’ipotesi del presidente di ICS, le famiglie farebbero partire ragazzini sempre più giovani nella speranza che, data l’età, vengano trattati meno violentemente e respinti di meno. Al momento non ci sono prove empiriche su questa considerazione, ma questa chiave di lettura potrebbe fornire una spiegazione al fenomeno. 

Arrivare a Trieste 

Attesa al centro diurno di Trieste © Francesco Cibati (ICS Trieste  )

In base ai dati forniti a OBCT dal Dipartimento Servizi e Politiche Sociali del Comune di Trieste, in città ci sono 11 comunità per i minori stranieri non accompagnati per un totale di 300 posti. Rispetto ai programmi di integrazione territoriale ogni comunità organizza i propri corsi di italiano interni e formula un progetto personalizzato per ogni singolo ragazzo prevedendo anche l’iscrizione a corsi di formazione professionale. 

La realtà è che la vita dei ragazzi dipende molto dalla comunità in cui si finisce. L’educatrice professionale M. racconta che spesso, dopo essere arrivati in Italia, per i minori comincia un “appiattimento” totale della propria vita e vengono “parcheggiati” all’interno della comunità.

Su questo punto, Schiavone commenta: “Quando parlo del mondo di accoglienza dei minori, diversamente da quello che uno immagina, parlo di un mondo molto freddo, molto burocratizzato, dove non c’è né una strategia politica, né di inclusione.” Il profondo disinteresse verso questi ragazzi si concretizza anche in: tempi amministrativi molto lunghi per la richiesta di permesso di soggiorno per minore non accompagnato, ore di fila sotto il sole d’estate o sferzati dalla bora invernale fuori dalla questura per poter eseguire la procedura, diritti presenti sulla carta che concretamente non vengono garantiti. 

Arrivare a Trieste significa essere tutelati nell’indifferenza del sistema sino al compimento della maggiore età. Da quel momento, le strade sono due: diventare un rifugiato oppure trovare protezione sotto qualche “zio”, che permetta al ragazzo di trovare un lavoro e ottenere un permesso di soggiorno. Se nessuna delle due strade è percorribile, si finisce in strada, in “clandestinità.” Come racconta M. è una situazione ad alto rischio perché i tempi amministrativi sono molto stretti: entro 60 giorni dal compleanno, il neo diciottenne deve trovare un lavoro e una sistemazione abitativa. 

Cresciuti tra violenze e situazioni di privazione, trascurati a Trieste, diventare adulto lungo la rotta balcanica significa affacciarsi al mondo in uno stato di costante precarietà. 

Sara Varcounig Balbi

21/12/2023 https://www.balcanicaucaso.org/

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