Trump, da una parte l’Iran e dall’altra il Venezuela

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“Gli Stati uniti devono avere un occhio per l’Iran e l’altro per il Venezuela”. La “raccomandazione” arriva da Antonio Ledezma, ex sindaco della Gran Caracas latitante che pontifica… da un bar di Madrid. Un’altra prova del valore attribuito alle istituzioni dall’estrema destra venezuelana: che al parlamento preferisce le redazioni dei giornali, le case di squartamento dei Rastrepo o i postriboli colombiani, dove profondere “aiuti umanitari”. Un’altra avvisaglia, però, di quella che sarà uno degli assi portanti del nuovo attacco degli USA contro il Venezuela: la cosiddetta “connessione Teheran-Caracas” per finanziare “il terrorismo”. Lo avevamo anticipato in un articolo pubblicato su L’Antidiplomatico il giorno dopo la nuova “autoproclamazione redazionale” di Juan Guaidó e compari come “giunta direttiva del parlamento”. Lo riproponiamo, qui, attualizzato, nel pieno di un nuovo attacco destabilizzante, supportato dagli USA e dai grandi media, a cui deve far fronte il socialismo bolivariano.

Seguire i passi del nemico, analizzarne le strategie, serve per affinare le proprie, usando la capacità critica come l’imperialismo usa i suoi droni. Contrastare il racconto egemonico costruito dai media di guerra nei paesi capitalisti, è un’impresa titanica, almeno finché non interviene un nuovo ciclo di lotta che spazzi via la cortina di fumo e mostri un’altra visione del mondo. Tuttavia, si può (si deve) aprire qualche breccia, mostrare le insidie attraverso le quali s’insinua l’interpretazione dominante.

Abbiamo seguito in diretta la seduta parlamentare che, in Venezuela, doveva rieleggere il presidente dell’Assemblea Nazionale, uno dei cinque poteri di cui dispone la costituzione bolivariana, tenuti in equilibrio dalla massima istanza giuridica, il Tribunal Supremo de Justicia (TSJ). In contatto costante con i colleghi sul posto, ne abbiamo seguito tutte le fasi, confrontando tre fonti: la prima, proveniente dalla più estrema all’estrema destra venezuelana, ovvero quella di Patricia Poleo, che conduce una trasmissione da Miami intitolata Agárrate. La seconda, fornita dai vari giornalisti e i video-maker presenti a Caracas, e la terza diffusa dalle agenzie stampa in Italia.

Quello di Poleo è un programma che, volendo essere più a destra della destra, accusa l’autoproclamato “presidente a interim Juan Guaidó” di essere stato troppo timido nell’ordire le sue trame contro il socialismo bolivariano. In questo modo, tra urla e proclami, tira fuori però tutte le magagne dell’opposizione venezuelana, golpista, affarista e, soprattutto, ladrona.

Anche nei momenti più drammatici – perché questa gente, poi, agisce davvero e conosce anzitempo tutti gli attentati – non c’è niente di più spassoso che assistere ai loro litigi: in fondo sempre per questioni di soldi, giacché appena una componente ritiene di non aver ricevuto abbastanza, fa volare gli stracci e racconta tutto quello che sa sull’avversario del momento. Diosdado Cabello, presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente (ANC), durante il suo seguitissimo programma “Con el Mazo dando”, usa spesso degli estratti di Agárrate come satira politica, e con ragione.

Agárrate ha mostrato il vero clima nel quale è maturato l’appuntamento parlamentare per la destra venezuelana. Va premesso che un accordo interno al cartello di forze di opposizione ha stabilito una rotazione nell’incarico alla presidenza. Questo ha fatto sì che Guaidó e la sua fazione golpista, capitanata dal partito Voluntad Popular (quello di Leopoldo Lopez), abbiano approfittato del turno per portare più a fondo la guerra ibrida decisa dal Pentagono contro il socialismo bolivariano mediante la strategia del “caos controllato”.

Nel 2019, il popolo venezuelano ha perciò dovuto sopportarne di tutti i colori: l’”autoproclamazione”, i tentativi di golpe e di invasione mascherata alle frontiere, il furto dei beni del paese all’estero, il sabotaggio internazionale. Una pantomima che, com’è apparso chiaro per le stesse denunce dell’opposizione, l’appropriazione indebita di un bottino multimiliardario, rappresentato dalle immense risorse del Venezuela. Per questo, nonostante la presidenza del parlamento per questo ultimo periodo previsto sarebbe dovuta andare ai “partiti minori”, la banda di Guaidó non aveva alcuna intenzione di mollare la presa.

E siccome il rispetto delle regole nel mondo delle autoproclamazioni non è contemplato, Guaidó e compari avevano deciso di cambiarle: con una nuova norma-truffa che avrebbe consentito all’autoproclamato di restare alla presidenza dell’Assemblea Nazionale, facendo anche votare via internet i deputati inabilitati e quelli ricercati, fuggiti dal paese.

Un parlamento, va ricordato, già considerato “illegale” dal TSJ, per aver avallato l’elezione fraudolenta di tre deputati nel 2015. Il fatto è che, grazie all’intelligente azione politica del governo e ai numerosi inviti al dialogo del presidente legittimo, Nicolas Maduro, una buona parte dell’opposizione moderata ha finito per sottoscrivere un accordo in sei punti per presentarsi alle prossime elezioni parlamentari.

A seguito dell’accordo, i deputati chavisti del “Bloque de la Patria” hanno deciso di tornare in Parlamento. In diverse occasioni pubbliche, l’opposizione dialogante ha manifestato insofferenza per la via “trumpista” – fallimentare, truffatrice e senza ritorno – scelta da Guaidó e dai suoi compari. Chi conosce la politica venezuelana e gli attori che la muovono, già sapeva che la banda di Guaidó, constatato di non avere i voti necessari per mantenersi alla presidenza, ne avrebbe inventata un’altra per autoproclamarsi come il vero parlamento, ma fuori dall’aula legittima. E così è stato.

UNO SHOW PREPARATO

Guaidó e i suoi, tra insulti e provocazioni ai giornalisti che li stavano filmando, stavano facendo la coda ai controlli per far entrare a votare anche i fraudolenti e gli inabilitati. Intanto, l’autoproclamato faceva dichiarazioni infuocate ai media internazionali sulla “tremenda dittatura” che gli avrebbe impedito di entrare. Era una falsità, ma immediatamente le sue dichiarazioni venivano diffuse come oro colato e come unica fonte dalle agenzie internazionali.

Poco dopo, Guaidó ha creato l’incidente mediatico. Dopo aver volutamente tergiversato per ore, volendo imporre a tutti i costi l’entrata dei fraudolenti, ha saltato il blocco di sicurezza. Ma, intanto, il deputato più anziano aveva proceduto alla votazione, come prevede il regolamento, eleggendo a maggioranza una nuova giunta direttiva: rappresentanti della destra maggioritaria in parlamento, supportati dai voti del chavismo. A quel punto, come previsto, Guaidó e i suoi hanno annunciato di essere loro la vera giunta direttiva del parlamento e hanno deciso di riunirsi… nella redazione del giornale El Nacional.

Una nuova autoproclamazione, dunque, raccontata però al contrario dai soliti articoli a senso unico che hanno scritto di “autoproclamazione del parlamento chavista”. Subito dopo, sono arrivate le dichiarazioni del Pentagono per battezzare la componente virtuale (e golpista) dello scombinato parlamento venezuelano. Uno scenario già denunciato dalla stessa opposizione moderata, che ha messo in risalto le numerose telefonate di pressione provenienti da Washington.
Impossibile, però, per il lettore medio italiano, avere un quadro preciso leggendo gli articoli comparsi sulle principali fonti di informazione, sdraiate, come al solito, su una sola fonte: quella proveniente dagli Stati Uniti. Come si costruisce “l’opinione pubblica”? Diffondendo il parere di “esperti”, che confermano la stessa tesi proveniente dalla stessa fonte. A questo proposito, facciamo un altro esempio, che si situa nel quadro dell’”omicidio mirato” del generale iraniano Qasem Soleimani da parte degli Stati Uniti.

IL RUOLO DEGLI “ESPERTI”

Su un’autorevole rivista d’analisi, di cui si nutre la sinistra italiana, a proposito del rapporto tra Stati Uniti e America latina, troviamo il parere dell’”esperto”, al secolo il militare venezuelano in pensione, Carlos Julio Peñaloza Zambrano. Egli afferma: “Il progetto espansionistico di Cuba, prima finanziato dall’Urss e poi dall’industria petrolifera del Venezuela, dipende sempre più dai proventi del narcotraffico, puntando alla destabilizzazione dei governi eletti democraticamente per rimpiazzarli con formazioni allineate all’Avana”.

E ancora: “L’esplosione del narcotraffico ha declassato l’ideologia; oggi in America latina vengono impiegati altri canali per alimentare il consenso. Si è fatta strada una pseudo-dottrina che esalta la ‘costruzione della Patria Grande’, concepita come integrazione fra paesi della regione sotto un unico (autoritario) governo contrapposto a Washington. La connessa narrazione, basata su un intento apparentemente lodevole, serve a legittimare un anelito autocratico ed espansionistico. Questa dottrina è la facciata dietro cui si nascondono interessi criminali: per Cuba, il narcotraffico sta diventando ‘la continuazione della politica con altri mezzi’”.

E così prosegue “l’esperto”: “La rilevanza del narcotraffico è attestata anche dai legami tra Caracas, l’Avana e Hezbollah, considerato che l’Iran è di nuovo in rotta con gli Stati Uniti ed è tra i paesi di transito della droga afghana destinata all’Europa”. Attestata da chi? Dagli USA, naturalmente, e diffusa dai suoi potenti think tank, attivissimi anche in Italia.

A proposito di attendibilità, il signor Peñaloza si è già distinto, nel 2019, per aver diffuso una delle fake news più commentate a livello mondiale: quella delle presunte nozze miliardarie della figlia di Diosdado Cabello. Notizia evidentemente falsa, ma che importa? Á la guerre comme à la guerre. In guerra, tutto è permesso. E la tesi di un “asse del male” da combattere – Cuba, Venezuela, Nicaragua – con il pretesto del “narco-terrorismo”, sta irrompendo di nuovo dopo l’assassinio del generale iraniano Soleimani. Il via lo ha dato Guaidó in un comunicato di plauso all’omicidio, in cui accusa il governo Maduro di complicità con il “il terrorismo”.

Nella strategia del “caos controllato”, dispiegata dal Pentagono dentro e fuori le proprie zone d’influenza, agiscono diversi attori. Diversi settori imperialisti, anche in lotta fra loro, mostrano i chiaroscuri della geopolitica nel mondo globalizzato. La propaganda di guerra è un elemento cardine della guerra ibrida e multifattoriale, che coniuga vecchie tattiche e insidie di nuovo tipo. Disorientare i cervelli occidentali già dinamitati dalla cosiddetta “fine delle ideologie”, è un risultato importante. I Think tank di Washington stavano diffondendo da mesi la tesi dell’asse narco-terrorista tra Caracas e l’Iran.

TUTTO PARTE DALL’IRAQ

Dapprima c’erano state le affermazioni di un ex funzionario venezuelano in Iraq circa passaporti falsi forniti da Caracas a Hezbollah. A giugno, il Segretario generale dell’OSA, Luis Almagro, apripista degli USA, aveva formalizzato la “denuncia”, supportato dal fantomatico Gruppo di Lima. L’Iran e Hezbollah – aveva detto – hanno una solida base operativa in Sudamerica, in alleanza con la “narcodittatura di Nicolas Maduro. Fallire in Venezuela significherebbe una vittoria per il terrorismo, la delinquenza transnazionale organizzata e l’antisemitismo”.

Gli aveva fatto eco il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, segnalando che “Hezbollah ha le sue cellule attive in Venezuela e che, così facendo, gli iraniani stanno danneggiando i popoli del Venezuela e di tutta l’America Latina”. Il Gruppo di Lima, a sua volta, aveva invitato “la comunità internazionale ad agire di fronte al coinvolgimento crescente del regime illegittimo di Nicolas Maduro in distinte forme di corruzione, narcotraffico e delinquenza organizzata transnazionale che coinvolge i suoi familiari e prestanome, così come il riparo che offre alla presenza di organizzazioni terroriste e gruppi armati illegali in territorio venezuelano e l’impatto nella regione delle sue attività”.

Aderendo alla proscrizione del partito libanese Hezbollah da parte degli USA, i Think tank del Pentagono criminalizzano normali relazioni economico-commerciali, assolutamente visibili, rendendole funzionali alla retorica della “guerra al terrorismo”. Media come El Nuevo Herald o il Panam Post publicano liste-bersaglio che hanno al centro il Ministro delle Industrie venezuelano, il vicepresisdente Tareck El Aissami, messo in relazione con “Ghazi Nasr al Din (più noto come Ghazi Atef Nassereddine), e con l’uomo dell’Iran, il generale Aref Richany Jimenez”.

In questo caso, l’”esperto” citato è Joseph Humire, qualificato come “specialista in sicurezza emisferica e direttore esecutivo del Centro para una Sociedad Libre y Segura, con sede a Washington”. “Hezbollah – dice Humire – è un gruppo terrorista, definito tale da oltre 50 paesi nel mondo. Compie atti di terrorismo in America latina, i più noti furono 25 anni fa quello contro l’AMIA in Argentina, e uno a Panama nel 1994. Però, oltre a compiere attentati, è coinvolto con altri gruppi terroristi nella regione e con gruppi criminali come le FARC e l’ELN”.

Il cerchio si chiude con un altro “esperto”, questa volta italiano, Emanuele Ottolenghi, che riprende e diffonde la teoria in una intervista con il Jews News Syndicate (JNS). “Il Venezuela è un punto di transito per la cocaína, e Hezbollah ha una importante rete di affari in Venezuela, ci sono molte connessioni con Colombia, Panama e con le Antille Olandesi, che poi vengono usate per lavare il denaro sporco della droga”, dice Ottolenghi, ricercatore della Fundación para la Defensa de las Democracias, con sede a Washington.

Ottolenghi è direttore del think tank Transatlantic Istitute ed è presente anche nel think tank italiano Trinità dei Monti. Durante un suo viaggio in Argentina, ha riproposto le sue analisi a proposito dell’attentato alla mutua ebraica Amia, assumendo la tesi sostenuta da Israele, e mai dimostrata, con la quale si è cercato di coinvolgere l’attuale vicepresidente argentina Kristina Kirchner nella morte del giudice Nisman, che su quei fatti indagava.

Una tesi ripresa dai grandi media italiani a fine anno, dopo l’arresto a Roma di un imprenditore colombiano.

“L’Iran potrebbe utilizzare il Venezuela per vendicare Soleimani e attaccare gli Stati Uniti”, scrive adesso il PanAm Post disponendosi allo scenario elettorale che si annuncia in Venezuela, e ribadendo il proprio sostegno a Guaidó. Un sostegno che arriva, come dal mondo della satira, anche dai governi subalterni agli Usa, compresa l’Unione Europea, che si congratulano ufficialmente per… la rielezione di Guaidó come presidente del del Parlamento e come “presidente a interim” del Venezuela.

E così, forti del supporto di Trump e dei media di guerra, gli autoproclamati fanno appello di nuovo alla violenza di piazza. E non poteva mancare il comunicato di Amnesty International, che denuncia “gravi attacchi contro rappresentanti dell’opposizione all’Assemblea Nazionale”.

Contro il socialismo bolivariano si annuncia un nuovo anno di menzogne, un altro anno sulle barricate.

Geraldina Colotti

14/1/2020 www.controlacrisi.org

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