Tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori: normativa e prospettive di lotta
L’EVOLUZIONE NORMATIVA
Da anni esistono Leggi dello Stato italiano per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Limitandoci alla normativa del dopoguerra, derivante da quanto disposto dall’Articolo 41 della Costituzione della Repubblica Italiana, già negli anni ‘50 venne emanato un corposo insieme di Decreti relativi alla tutela dei lavoratori:
Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 27 aprile 1955 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”
Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 7 gennaio 1956 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni”
Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 19 marzo 1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”
Tali Decreti risultavano già allora all’avanguardia da un punto di vista tecnico, tanto che, con i necessari adeguamenti legati all’evoluzione della sicurezza, sono rimasti validi fino al 2008 e successivamente sono stati incorporati praticamente integralmente, all’interno del “Testo Unico sulla Sicurezza”.
Tali Decreti consideravano sostanzialmente tutti gli aspetti delle attività lavorative, sia all’interno di aziende e stabilimenti, sia all’interno dei cantieri edili e disponevano precisi obblighi di natura tecnica e gestionale ai datori di lavoro.
A seguito della costituzione della Comunità Europea e della normativa da essa emanata al fine di armonizzare le leggi di tutela sul territorio europeo, a partire dagli anni ‘90 l’Italia cominciò a recepire Direttive Comunitarie sociali, legate a specifiche aspetti della tutela della salute e della sicurezza.
Un primo importante recepimento (di natura sia tecnica che gestionale) fu il:
Decreto Legislativo n.277 del 15 agosto 1991 “Attuazione delle Direttive 80/1107/CEE, 82/605/CEE, 83/477/CEE, 86/188/CEE e 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro)”
che fissava importanti novità per la tutela dei lavoratori rispetto alla protezione dal piombo metallico, dall’amianto e dal rumore e introduceva per la prima volta in concetto di “valutazione del rischio” da parte del datore di lavoro e del relativo obbligo di definire misure specifiche di prevenzione e protezione relativamente ai rischi individuati.
Successivamente il corpo normativo italiano venne completamente rivoluzionato dai due atti:
Decreto Legislativo n. 626 del 19 settembre 1994 “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42, 98/24 e 99/38 riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”;
Decreto Legislativo n. 494 del 14 agosto 1996 “Attuazione della Direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili”.
Il primo Decreto (per brevità D.Lgs. 626/94) recepiva la “Direttiva Quadro” 89/391/CEE che riguardava i principi generali di tutela dei lavoratori e le modalità organizzative delle aziende, oltre che le altre “Direttive Speciali”, relative a rischi specifici per la salute e la sicurezza.
Il D.Lgs. 626/94 (con le sue successive modifiche e integrazioni derivanti dal recepimento di ulteriori “Direttive Speciali”), introdusse o regolamentò, in uniformità su tutto il territorio europeo, alcune importanti novità rispetto alla normativa degli anni ‘50:
l’obbligo per il datore di lavoro di qualunque azienda di eseguire e formalizzare la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza con la conseguente individuazione delle misure di prevenzione e protezione per eliminare o ridurre i rischi individuati;
l’obbligo di eseguire valutazioni specifiche per i rischi legati a particolari condizioni lavorative potenzialmente patogene (rumore, vibrazioni, movimentazione manuale dei carichi, agenti chimici, agenti cancerogeni, amianto, agenti biologici, ecc.);
la creazione del Servizio di Prevenzione e Protezione, con un Responsabile ed eventuali Addetti, come organismo di consulenza tecnica per il datore di lavoro;
la definizione della figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (da eleggersi nelle medio-grandi aziende all’interno delle Rappresentanze Sindacali), come figura di interfaccia tra datore di lavoro e lavoratori, con attribuzione di controllo e di segnalazione e soprattutto con la possibilità di fare ricorso agli Organi di Vigilanza;
la definizione della figura del medico competente e la regolamentazione della sorveglianza sanitaria di idoneità alla mansione per tutti i lavoratori sottoposti a rischio per la propria salute a causa del lavoro;
la creazione di specifici ruoli aziendali per la gestione delle emergenze (incendio, terremoto, inondazioni) e per il servizio di primo soccorso in caso di infortuni o malori all’interno dell’azienda.
Il secondo Decreto (per brevità D.Lgs. 424/96) recepiva la “Direttiva Cantieri” 92/57/CEE che riguardava i principi generali di tutela dei lavoratori e le modalità organizzative dei cantieri edili.
Il D.Lgs. 494/96, analogamente al D.Lgs. 626/94 che definiva precisi obblighi organizzativi nell’ambito delle aziende, introduceva importanti adempimenti organizzativi per la gestione della salute e della sicurezza nei cantieri edili:
definizione in maniera chiara delle figure di committente e di responsabile dei lavori;
creazione delle figure del coordinatore della sicurezza in progettazione e del coordinatore della sicurezza in esecuzione del cantiere;
l’obbligo della redazione di un Piano di Sicurezza e Coordinamento per la gestione delle interferenze tra le singole ditte presenti in cantiere da parte del coordinatore della sicurezza in progettazione;
l’obbligo della redazione del Piano Operativo della Sicurezza da parte dei datori di lavoro delle singole ditte;
l’obbligo del coordinamento delle attività di cantiere durante la loro evoluzione temporale da parte del coordinatore della sicurezza in esecuzione.
I due Decreti D.Lgs. 626/94 e D.Lgs. 494/96 vennero successivamente integrati da altra normativa che regolamentava altri aspetti della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori o definiva le modalità attuative di concetti generali contenuti nei Decreti, relativamente a:
tutela delle lavoratrici in gravidanza, puerperio e allattamento;
regolamentazione dell’orario di lavoro;
protezione antincendio;
gestione del servizio di primo soccorso;
criteri per l’immissione sul mercato delle macchine e loro requisiti di salute sicurezza;
criteri per l’immissione sul mercato dei Dispositivi di Protezione Individuali e loro requisiti di protezione.
Agli inizi degli anni ‘90 del secolo scorso il corpo normativo risultava complesso ed elaborato e andava a coprire praticamente tutti i settori di tutela della salute e della sicurezza in ambito lavorativo.
Nacque quindi l’esigenza di accorpare tutta la normativa suddetta in un singolo “Testo Unico” su salute e sicurezza.
Il percorso legislativo fu lungo e travagliata, ma vide un’accelerazione improvvisa a seguito della strage della Thyssen Krupp, che richiamo l’attenzione dell’opinione pubblica sulla tematica della sicurezza sul lavoro.
Venne così promulgato, in tutta fretta e di conseguenza con numerosi refusi e imprecisioni, il Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 08.
Tale Decreto (per brevità D.Lgs. 81/08) accorpava in un unico testo normativo tutta (o quasi) la normativa sopra richiamata, introducendo però nel contempo alcune importanti novità:
l’estensione del concetto di “lavoratore” a cui applicare le misure di tutela previste dal Decreto, ampliandone così il campo di applicazione a molte figure lavorative precedentemente non tutelate;
l’obbligo specifico di valutare il rischio da stress lavoro correlato;
l’obbligo di tenere conto nella valutazione dei rischi e nella definizione delle misure di tutela delle differenze di genere, di età, di provenienza da altri paesi, di tipologia contrattuale;
la creazione della figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale per tutte le realtà all’interno delle quali i lavoratori avessero deciso di non eleggere il proprio Rappresentante aziendale;
l’individuazione dei requisiti formali per la delega di funzioni;
l’obbligo d redazione di specifico documento di valutazione dei rischi da interferenze in caso di lavorazioni in appalto che non ricadessero nella definizione di cantiere edile;
la definizione di specifici obblighi per i lavoratori autonomi;
l’introduzione, per specifiche attività lavorative ad alto rischio, di controlli in merito all’abuso di alcol e all’assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti;
l’inasprimento (nella sua prima definizione) dell’apparato sanzionatorio;
la possibilità della sospensione dell’attività imprenditoriale in caso di gravi e reiterate violazioni degli obblighi del Decreto
A partire dal 2009, parallelamente alla generale riduzione delle misure di tutela per i lavoratori, anche il D.Lgs. 81/08 ha visto una serie di modifiche peggiorative (Decreto Sacconi del 2009, Decreto del Fare del 2013, Jobs Act del 2015, ecc.) che ne hanno ridotto le potenzialità di tutela in particolare relativamente a:
introduzione di visite mediche preassuntive;
riduzione del campo di applicazione del D.Lgs. 81/08, e restringimento del numero di lavoratori tutelati;
riduzione dell’apparato sanzionatorio;
parziale deresponsabilizzazione del datore di lavoro e dei dirigenti;
proroga di termini per l’entrata in vigore di alcuni adempimenti.
Ciò nonostante, ad oggi il D.Lgs. 81/08 mantiene importanti misure di tutela nei confronti della salute e della sicurezza dei lavoratori, il cui integrale adempimento permetterebbe una decisa riduzione del fenomeno infortunistico e delle malattie professionali.
Occorre poi ricordare che assieme al corpo normativo cogente sopra definito, esistono una serie di norme tecniche, linee guida, indicazioni operative, risposte a interpelli, pareri emessi da organi autorevoli e riconosciuti a livello normativo (INAIL, ASL, Vigili del Fuoco, UNI, ecc.) che integrano il corpo normativo stesso con precise indicazioni di natura tecnica e organizzativa.
In definitiva, nonostante numerose, ma non sostanziali, riduzioni della capacità di tutela, l’insieme delle disposizioni normative a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, è ad oggi in Italia, di importante impatto.
LE POSSIBILI ULTERIORI MODIFICHE
Relativamente alla normativa di tutela della salute e della sicurezza ad oggi si presentano due indirizzi di modifica, diametralmente contrapposti.
Il primo, inteso a una sostanziale riduzione delle garanzie per i lavoratori, è quello contenuto nel cosiddetto Disegno di Legge Sacconi, presentato dall’ex Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi assieme alla senatrice Serenella Fucksia [vedi nostro articolo].
Tale Disegno di Legge prevede una sostanziale riscrittura del D.Lgs. 81/08, che ne snaturerebbe del tutto le misure di garanzia in esso contenuto, prevedendo:
decisa deresponsabilizzazione del datore di lavoro;
eliminazione dell’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro, con conseguente colpevolizzazione di preposti e lavoratori;
sostituzione della valutazione dei rischi con una “autocertificazione” a firma di non meglio definiti “tecnici della sicurezza”, in sostanza consulenti stipendiati dal datore di lavoro;
Il secondo indirizzo di modifica è inteso invece a una maggiore tutela dei lavoratori, relativamente alla loro salute e sicurezza e si è esplicitato, attraverso:
numerosi Disegni e Proposte di Legge che propongono di definire precisi obblighi sanzionabili a carico del datore di lavoro per l’eliminazione o la riduzione di tutte i rischi per la salute legate al disagio psico-sociale lavoro correlato (stress, mobbing, molestie, burn out, ecc.), anche tramite la collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione e i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza;
il Disegno di Legge, a firma dei senatori Giovanni Barozzino e Felice Casson, che propone di modificare il Codice Penale con l’introduzione dei reati di “omicidio sul lavoro” e di “lesioni sul lavoro”, con pene detentive e termini di prescrizione maggiori di quelle relative all’attuale reato di omicidio colposo con l’aggravante della mancata osservanza delle norme antinfortunistiche.
LIMITI SOSTANZIALI DELLA NORMATIVA ESISTENTE
Al di là di possibili evoluzioni, come precedentemente detto, il corpo normativo italiano risulta ad oggi ancora sostanzialmente adeguato e in grado di garantire una sufficiente tutela per la salute e per la sicurezza dei lavoratori.
Ciò nonostante l’Italia conta numeri di infortuni, di malattie professionali, di morti per lavoro decisamente inaccettabile, con una linea di tendenza che non accenna a cambiare, ma che anzi negli ultimi anni è in sostanziale aumento, a causa dell’aumento del lavoro sommerso e che va quindi al di fuori delle statistiche ufficiali dell’INAIL (si veda a tale proposito le importanti informazioni raccolte dall’Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro curato da Carlo Soricelli).
Le cause sono molteplici, come si vedrà meglio dopo, e non riconducibili soltanto al corpo normativo, che potrebbe essere in ogni caso migliorato.
Il vero limite della normativa esistente sta nella sua inadeguatezza alla struttura produttiva e alla realtà lavorativa italiana. Il D.Lgs. 81/08, come recepimento di Direttive Europee, parte dal presupposto dell’applicazioni in aziende di medie-grandi dimensioni ben strutturate, con chiare politiche sociali, con manager e tecnici dedicati alla sola tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, non solo come adempimento di obblighi esistenti, ma anche di tutela del patrimonio umano dell’azienda, con investimenti dedicati alla tutela dei lavoratori.
La maggior parte delle aziende italiane non hanno invece né la cultura, né la struttura per un sostanziale adempimento degli obblighi di cui al D.Lgs. 81/08, che non sia un semplice adempimento formale, dove (a causa anche dell’atteggiamento degli Organi di Vigilanza) conta più “fare carta” che sostanza. In questo modo le poche risorse interne o esterne disponibili si adoperano per la creazione di documentazione, spesso inadeguata e sempre inutile, piuttosto che per la realizzazione pratiche di misure sostanziali per la salute e la sicurezza.
Inoltre, in un tessuto produttivo dove regna sovrana la ricerca esasperata del profitto e non esiste alcuna “cultura” della tutela dei lavoratori, il D.Lgs. 81/08 lascia all’imprenditore una eccessiva libertà nella fase cruciale del processo di tutela che è quello di valutazione dei rischi, con il risultato della realizzazione di documentazione aziendale formalmente presente, ma che risulta completamente travisante la vera realtà in relazione alla presenza di rischi.
Rimane poi l’intenzionale travisamento di quello che deve in realtà essere il documento di valutazione dei rischi, non cioè una mera elencazione dei rischi per la salute e la sicurezza, ma uno strumento programmatico che parte da tale elencazione, per definire in termini concreti le misure di prevenzione e protezione da adottare per eliminare o ridurre tali rischi.
LA VERA CAUSE DELLA STRAGE SUL LAVORO
Come detto precedentemente il D.Lgs. 81/08, assieme alle fonti del diritto (Codice Civile, Codice Penale e Costituzione) costituiscono ancora, così come sono, una importante forma di tutela per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Qual è dunque il motivo, se le leggi e le norme ci sono, perché si continui a morire e ad ammalarsi sul lavoro?
La risposta è semplice ed è la stessa che si ripete ogni qual volta si cerchi di proteggere gli sfruttati: la legge c’è ed è buona, ma volutamente non si applica e volutamente non si fa niente per farla applicare.
I motivi della mancata applicazione della normativa sono molteplici, ma riconducibili tutti a una causa principale: la concezione capitalista del lavoro che mette in primo piano la logica del profitto, al di là ogni altra considerazione etica o morale.
Il fatto è che creare le condizioni perché il lavoro sia sicuro e salubre ha un costo, per giunta un costo non produttivo, perché non è finalizzato alla crescita dei ricavi. Tutti questi maggiori costi come già detto non comportano una maggiore produttività e quindi non comportano un maggiore profitto, inteso come differenza tra ricavato della vendita e costo di produzione.
Per dirla con Karl Marx “Al padrone non interessa nulla della vita e della salute dell’operaio, se non ci sono le leggi che glielo impongono”.
Ma questa imposizione, nonostante che le leggi ci siano, di fatto non sussiste, oppure sussiste in maniera percentualmente irrilevante.
In conclusione, mancando la coercizione a “fare sicurezza”, i padroni non la fanno, riducendo il costo del lavoro e aumentando il loro profitto, unica leva dell’economia capitalista.
Questa logica non interessa solo i datori di lavoro, ma coinvolge (con i dovuti distinguo) anche le associazioni e le istituzioni che dovrebbero vigilare sul corretto adempimento della normativa o che dovrebbero punire i mancati adempimenti ai sensi della normativa stessa, in quanto tali istituzioni cono comunque sotto il controllo diretto o indiretto dei centri di potere capitalistico finanziario o industriale.
Di conseguenza:
i partiti politici, anche quelli della cosiddetta “sinistra”, salvo casi rari, non inquadrano la mancata tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori in un ambito più ampio di lotta di classe;
i sindacati concertativi, accettando il ricatto “lavoro-sicurezza”, non supportano in maniera adeguata i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, né pongono al centro delle loro vertenze il diritto alla salute e alla sicurezza;
gli Organi di Vigilanza, anche a causa dell’endemica carenza di organico, eseguono le ispezioni delle aziende e dei cantieri in maniera saltuaria e spesso in maniera estremamente blanda;
gli Organi Giudiziari, oltre ad essere ingolfati dalla lentezza dei processi (che spesso comportano la prescrizione del reato), in molti casi stanno dalla parte degli assassini, con la conseguenza di scandalose assoluzioni, anche in casi di evidente colpevolezza;
la maggioranza poi dei lavoratori stessi ha perso ogni nozione di lotta di classe, non comprendendo che essa si manifesta ancora oggi, anche se in forme diverse rispetto al passato, con la netta contrapposizione tra chi lavorando rischia di morire e chi non fa niente per evitarlo.
LE PROSPETTIVE DI LOTTA
A fronte della esposizione finora svolta la conclusione è, secondo me, ovvia: relativamente alla salute e alla sicurezza dei lavoratori è stato di fatto sospeso il diritto di tutela dei lavoratori sancito dalla Costituzione e dai Codici e, di conseguenza dalla normativa sopra citata.
Per invertire tale tendenza è prima di tutto necessario creare di nuovo consapevolezza (che non può che essere di classe) all’interno dei lavoratori e dei sindacati sinceramente interessati, che il diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro, garantito dalle fonti e dalle leggi, è diritto inalienabile, non sottoponibile a ricatti di alcun tipo.
Soltanto se i lavoratori sapranno quali sono i loro diritti per tutelare salute e sicurezza e si compatteranno con l’obiettivo di pretendere che tali diritti vengano garantiti, si potrà sperare in una inversione di tendenza nella strage quotidiana degli “eroi senza volto”.
E’ indispensabile poi un coordinamento organizzativo e “politico” tra le tantissime realtà che esistono e combattono per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini, ma che spesso sono appunto poco coordinati tra di loro.
Occorre cioè fare “massa critica” sia da parte di chi (partiti, sindacati, associazioni) ha sinceramente a cuore la salute e la sicurezza dei lavoratori, sia da parte dei lavoratori stessi, che devono acquisire (nuovamente) la consapevolezza dei propri diritti.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Medicina Democratica
Progetto Sicurezza sul Lavoro: Know Your Rights!
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