UCCISORI, STUPRATORI, CAPORALI…
Leggo i giornali, guardo la televisione e sorge in me, nella mia coscienza di donna e femminista, un doloroso desiderio: uscire da questo mondo che sembra respingere perfino la speranza. Ma tocca restare e cercare di reagire, continuare a fare qualcosa. Questa volta però non voglio denunciare, raccontare, esprimere dolore, indignazione, rabbia poiché in tante e tanti lo fanno, troppi di loro in malo modo e moltissima ignoranza. Io/noi lo facciamo da quaranta anni ed è desolante trovarsi ancora a questo punto.
Perciò ora mi voglio concentrare non sul come e sul cosa, ma sul perché. Di fronte a questi episodi ricorrenti la mia mente si riduce infatti ad un unico enorme nero punto interrogativo. La domanda che mi faccio è sempre la stessa: cosa significa ancora oggi per un neonato di sesso maschile percorrere la strada che lo porta a diventare un bambino, poi giovane ragazzo e infine uomo adulto? Inciampi ed ostacoli ad una libertà da un modello maschilista in questo processo evolutivo ne ho visti molti quando i miei figli, oggi vicini ai cinquanta anni, hanno percorso quella strada; qualcosa evidentemente ancora oggi è rimasta impigliata tra i rami storti di un patriarcato duro a morire: i giocattoli ad esempio ostinatamente legati a stereotipi sessisti, la protervia di eroi nuovi e vecchi additati come mitiche figure da imitare, una sessualità appresa dalla pornografia violenta nel colpevole silenzio di scuola e famiglia…. Ma, soprattutto, una trasmissione scolastica e mediatica che continua imperterrita ad occultare l’esperienza delle donne nella storia e il loro differente eroismo, il loro differente valore, il loro differente sapere. Tutto pur di lasciare nelle coscienze un simbolico impregnato da una ormai indimostrabile inferiorità femminile e che obbliga nell’oscurità la fragilità degli uomini, sempre pronta a trasformarsi in violenza. Allora è proprio qui secondo me il cuore del problema e una sua possibile risposta: la scuola di ogni ordine e grado e la formazione di insegnanti, avvocati, giornalisti, ginecologi e…. ancora e… ancora fino ai poliziotti e a tutte le forze dell’ordine. Ma quale ordine? Sempre quello! Come quello dei caporali, figure che sembravano appartenere ad un lontano passato e che invece sono tornate a schiavizzare, violentare e perfino a uccidere le braccianti, italiane e migranti, nelle campagne del sud.
Allora è un nuovo ordine quello che si deve affermare, l’ordine che le donne stanno tentando di costruire da più di due secoli, ma troppe sono state e restano le resistenze del mondo maschile e non solo.
E non pensi la scuola, ad esempio, di risolvere la questione con piccoli ritocchi e corsi di formazione una tantum per mettersi a posto la coscienza. Deve al contrario ripensare radicalmente sé stessa e il sapere che trasmette a cominciare dalla lingua e le regole grammaticali, rivedere tutta la didattica perché sia in funzione di una educazione ai sentimenti e a corrette relazioni di differenza, cambiare i programmi scolastici e quelli di tutta la formazione professionale. Occorre urgentemente -lo diciamo da tanto tempo- eliminare ogni sospetto di sessismo dai libri di testo e le case editrici si devono attrezzare una volta per sempre, seguendo quelle raccomandazioni che un Ministero Istruzione Università Ricerca degno di questo nome deve sentirsi obbligato a dare.
Tra i vari messaggi più o meno espliciti che dovrebbero essere correttamente decodificati per la loro pericolosità mi permetto di indicare ancora una volta i testi di molte canzoni che tutte e tutti cantiamo ed amiamo senza renderci conto che veicolano una idea di amore esclusivo e proprietario dove la gelosia, scambiata per il solo grande amore, slitta facilmente nel bisogno ossessivo di possesso, con tutto quello che ne consegue in termini di sottrazione di libertà e di vita. Fateci caso. L’amore resta, con le sue ambivalenze e mistificazioni, un groviglio politico oltre che personale ancora difficile da sbrogliare. Ma è necessario anche leggere con maggiore attenzione la realtà in cui ci tocca vivere, un contesto globale in cui il vecchio patriarcato si è saldamente e drammaticamente intrecciato ad un neoliberismo senza regole che spinge verso la competitività e lo spreco delle risorse, imponendo un’idea narcisistica e privatistica di libertà -una libertà senza limiti- per donne e uomini, aumentando la forbice tra chi ha e chi non ha, generando insicurezza, precarietà e alimentando, come è tragicamente evidente, migrazioni forzate, razzismo, fascismo e terrorismo.
Tutto il contrario rispetto a quel mondo che noi donne in tante stiamo tentando di costruire, centrato non sul denaro e il profitto, ma sul valore indiscusso delle relazioni. Per questo sarebbe il caso di trovare insieme anche strategie alternative alle logiche del mercato e del consumo e rifiutare concretamente qualsiasi complicità con questo insensato modello di sviluppo e le sue conseguenze. Sappiamo bene infatti che razzismo, fascismo e fondamentalismo ci riguardano direttamente perché hanno in sé, fortissimo, il seme antico del sessismo e un odio specifico per la libertà femminile.
E’ dunque in questo complesso scenario, esito come dicevo di intrecci perversi tra patriarcato e neoliberismo, che occorre collocare oggi la violenza maschile sulle donne per poterla efficacemente contrastare.
Cosa fare? E’ assolutamente necessario continuare a protestare perché sia fatta giustizia, manifestare vicinanza e sostegno alle vittime, denunciare i media per la loro inadeguata o distorta rappresentazione della violenza, tornare nelle aule dei tribunali dove, vi assicuro, nei processi per stupro capita ancora di ascoltare discorsi misogini come quelli di quaranta anni fa, ed è giusto pretendere dal governo un credibile piano nazionale antiviolenza e la sua applicazione. Ma non basta. Proviamo, ad esempio, a mettere vicino alla parola “denuncia” la parola “penale” e in questa ottica cominciamo ad analizzare in modo sistematico programmi e testi scolastici, articoli di giornali, trasmissioni televisive e radiofoniche, documenti dell’Amministrazione statale e locale e di volta in volta iniziamo a denunciare penalmente per istigazione a delinquere tutti quei soggetti che risultano conniventi con la violenza maschile sulle donne. Faccio presente che la denuncia penale come arma politica l’abbiamo in passato utilizzata contro gli ospedali che non applicavano la 194. I riferimenti costituzionali e legislativi a cui appellarsi ci sono tutti, grazie anche al lavoro che hanno fatto le donne venute prima di noi, e non mancano le necessarie competenze specifiche nel vasto e articolato movimento delle donne.
Adesso veramente basta: uccisori, stupratori e caporali vari non possono e non devono crescere né abitare in una società che vuole definirsi civile e democratica.
Rosanna Macodoppido
18/9/2017 www.womenews.net
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