Ucraina, Israele e la doppia narrazione: la guerra ‘necessaria’ e il ‘diritto’ alla vendetta
La doppia narrazione occidentale su Ucraina e Israele, due tra le più gravi crisi mondiali in corso, rivela contraddizioni profonde e dinamiche geopolitiche complesse, legate in parte alla scadenza delle elezioni presidenziali americane del 2024.
Ucraina e Israele, aspettando le elezioni USA, avanti con le narrazioni epiche
La narrazione prevalente in Occidente è quella di un’Ucraina resistente, destinata a una possibile vittoria o, perlomeno, a non perdere la guerra contro l’aggressione russa.
Nonostante Kiev sia stata preparata a questo conflitto fin dal 2014, trasformando il suo esercito in uno dei più efficienti al mondo, con continui rifornimenti da parte degli alleati occidentali, si è voluto costruire l’immagine di un piccolo paese che resiste al colosso russo, una riedizione di Davide contro Golia.
Questo discorso giustifica il continuo invio di aiuti economici e militari e mantiene viva l’idea di una futura integrazione del paese nella NATO e nell’Unione Europea.
Tuttavia, questo racconto trascura diversi elementi come la corruzione dilagante nell’apparato militare di Kiev, in cui scandali, arresti e dimissioni si succedono senza sosta; le epurazioni politiche, con l’intero arco dei partiti d’opposizione messi fuorilegge, e le persecuzioni religiose verso la chiesa ortodossa russa.
A questo, dato centrale, si aggiunge la completa rimozione dell’enorme costo umano e materiale che questa guerra impone al paese: decine di migliaia di morti, milioni di sfollati e città devastate.
L’Ucraina è uno stato disfunzionale che necessiterà per anni ed anni di assistenza continua da parte della comunità internazionale per restare in piedi come entità statale unitaria.
La realtà dei fatti indica che una vittoria militare contro una potenza nucleare come la Russia è praticamente impossibile. A meno che non si definisca quale vittoria si vuole raggiungere e vendere all’opinione pubblica, e impostare la narrazione, col sostegno dei media, in quella direzione.
Inoltre, la strategia di Zelensky di continuare a combattere si scontra con la crescente opposizione interna e le defezioni nella sua cerchia di consiglieri, mentre il sostegno occidentale, pur consistente, non è sufficiente a garantire una vittoria identificabile come tale.
La promessa di un futuro nell’alleanza atlantica è ancora lontana, poiché la NATO ha chiarito che l’ingresso dell’Ucraina potrà avvenire solo dopo la fine del conflitto. Nel frattempo, Kiev si trova a svendere le sue risorse minerarie e agricole per finanziare la ricostruzione, rendendo sempre più difficile preservare la sovranità economica e politica del paese.
Israele e il diritto alla vendetta: una narrazione biblica
Dopo l’attacco del 7 ottobre perpetrato da Hamas, Israele ha rapidamente costruito una narrazione fondata su un diritto assoluto alla vendetta, giustificata come una difesa della propria esistenza. Questa retorica ha permesso a Tel Aviv di espandere le sue operazioni militari non solo a Gaza, ma anche in Libano, Siria, Yemen e Iran.
La differenza sostanziale rispetto all’Ucraina è che Israele gode di una superiorità militare e tecnologica assoluta, sostenuta in modo incondizionato dagli Stati Uniti, che non hanno esercitato alcuna pressione per moderare la risposta israeliana, nonostante le vittime civili, in particolare i bambini.
La narrazione israeliana è fortemente legata a riferimenti biblici e religiosi, spingendo in maniera forsennata verso una sorta di suprematismo ebraico messianico e civilizzatore e creando un quadro in cui ogni critica può essere facilmente etichettata come antisemita.
Chiunque metta in discussione l’azione di Israele rischia di essere accusato di sostenere i terroristi, mentre le immagini di Gaza alimentano un crescente malcontento in diverse parti del mondo, soprattutto in Europa.
In questi lunghi mesi di guerra, oltre all’eterno Netanyahu, che viene dipinto quasi come un alieno capitato lì per caso, un’anomalia all’interno dell’unica “democrazia” del Medio Oriente, ‘dimenticando’ che il premier israeliano è al quinto mandato (e il primo risale addirittura al 1993!), abbiamo imparato a conoscere personaggi come Gallant, Ben Gvir, Bezalel Smotrich, fautori di soluzioni “finali” per i territori occupati palestinesi.
Le elezioni presidenziali Usa come data spartiacque
Entrambe le crisi sembrano sospese in attesa di una data chiave: le elezioni presidenziali statunitensi del 2024. La scelta del prossimo presidente influenzerà in modo significativo la politica estera americana e, di conseguenza, la direzione dei due conflitti.
Da un lato, il presidente ucraino Zelensky guarda alle elezioni come un punto cruciale: la continuazione o la riduzione del sostegno americano potrebbe determinare il destino del suo paese. Donald Trump non ha fatto mistero della sua volontà di disimpegnare gli USA dall’Europa per concentrarsi sul bersaglio grosso, la Cina.
Dall’altro, anche Israele guarda a Washington per il mantenimento di un appoggio strategico cruciale. Un cambio di amministrazione – all’interno di un quadro globale in evoluzione, come il summit dei BRICS a Kazan sta mostrando, potrebbe modificare drasticamente il livello di tolleranza verso le operazioni militari israeliane e spingere Tel Aviv verso una maggiore moderazione o, al contrario, verso un inasprimento del conflitto.
L’Occidente e la sfida dell’ipocrisia
La contraddizione centrale di queste due narrazioni parallele è evidente. Da un lato, l’Occidente sostiene l’Ucraina come baluardo della democrazia e della resistenza all’autoritarismo, ignorando, però, la reale possibilità di una sconfitta sul campo.
Dall’altro, garantisce a Israele un sostegno incondizionato, nonostante le violazioni dei diritti umani, gli attacchi all’ONU e il costante massacro di civili.
In attesa del verdetto delle urne americane, questa doppia narrazione potrebbe diventare ancora più instabile, con il rischio di un’ulteriore escalation anche in altre aree strategiche del mondo, come l’Africa e l’Asia orientale.
23/10/2024 https://www.kulturjam.it/
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