Un altro Mondo è stato possibile: il loro
L’altro Mondo possibile che si è fatto reale non è il nostro ma il loro.
Sento che dirlo mi è necessario. C’è la pandemia a sbattermi in faccia questa verità. Dopo 30 anni di guerre liberiste noi, i 6 miliardi diventati nel frattempo 8, eravamo indifesi, privati anche delle strutture pubbliche massacrate dalle privatizzazioni. Loro erano pronti con le loro multinazionali a far soldi a palate con vaccini e high tech ed ora a imporre la nuova ristrutturazione capitalistica.
Noi rinchiusi e a fare seminari, loro a gestire la distruzione creatrice ed ora a licenziare, alzare tariffe, sbloccare sfratti.
La cosa che rimane uguale sono i pestaggi, dalla Diaz e da Bolzaneto a Santa Maria Capua Vetere.
Noi ci ritroveremo, fisicamente, a distanza, col cuore, a Genova, vent’anni dopo come in un romanzo di Dumas; loro stanno al governo tutti insieme in una di quelle occasioni in cui sospendono la recita del poliziotto buono e del poliziotto cattivo.
In questo anno e mezzo di seminari ci siamo detti “ecco, la pandemia conferma che avevamo ragione”. Loro hanno gestito un anno e mezzo di stato di emergenza, che vogliono prorogare, ed hanno fatto a modo loro. Nel 2008 l’austerità. Oggi la ristrutturazione capitalista.
Avevamo ragione, certo. Ma loro hanno vinto. E noi stiamo molto peggio di allora. Più stanchi, divisi, confinati o a raccogliere briciole che non arrivano. Volete la verità? Mai come adesso sento che la generazione del ’68, entrata con spavalderia in una Storia che veniva dal ’17 e rifioriva nella Resistenza, è “perduta”, morente come il visconte di Bragelone. Senza figli, mentre i figli della vittoria degli altri vanno in piazza per dire che l’Italia non si Lega e stanno a casa quando la Lega va al governo col Pd.
Certo, quel movimento era mondiale e non ovunque è lo stesso. Il social forum mondiale non se la passa bene e in America Latina hanno attraversato una nuova fascistizzazione. Pure oggi, dal Cile al Perù, dalla Bolivia all’Argentina, al Brasile si combatte e si torna ancora a vincere.
Tra i ricordi più belli della mia vita politica c’è il forum mondiale di Belem (in Amazzonia), nel 2009, dove andai da parlamentare europeo. L’esperienza unica e straordinaria di assistere a due gigantesche assemblee, organizzate in sequenza, da Via Campesinas e dal Ptb (il partito di Lula) con i leader latino-americani a rispondere alle domande dei movimenti e poi a confrontarsi tra loro, microfono in mano e a braccio. Ricordo poco dopo l’appello del teologo Boff ai brasiliani che gestivano delle terribili olimpiadi “fermatevi prima di diventare altro”. Ne parlavo con Riccardo Petrella, che partecipava al gruppo di elaborazione per il socialismo del ventunesimo secolo voluto da Chavez, e ci dicemmo, più o meno, che l’antiliberismo non basta se non si riconnette con l’anticapitalismo. Ci ripenso ora che vedo giovani e donne tornare a liberare l’America Latina, magari ridando presente e futuro a insegne gloriose come quelle del partito comunista cileno.
“Avete la forza, ma non la ragione” diceva Allende in quel lontano 1973. C’è chi ne trasse propositi di resa. Chi la necessità di ricercare la forza per far prevalere la ragione. Una forza moltitudinaria e non violenta dicemmo a Genova, anche nel massacro di Stato. Discussione non facile, fatta non a tavolino ma in piazza prima e dopo la morte di Carlo. Non ci siamo divisi a Genova. Abbiamo combattuto uniti la repressione. Ci siamo persi dopo. In Europa, dove pure cose rinascono, dalla Spagna alla Croazia. Ancora di più in Italia. Finito il social forum europeo e quello italiano. Schiantato sul governo chi provò di permearlo con la forza di quel movimento. Frammentati e, anche se non sempre, sconfitti i movimenti. Il partito che aveva provato a fare ciò che facevano i partiti latino-americani, non a caso ancora comunista, ma volendo rifondare, diviso tra difesa di un punto di vista e improbabili scorciatoie politiciste. Ma così anche le esperienze sociali, ancor di più dopo l’ultimo grande tentativo di Roma 2010, naufragato in piazza.
Certo pesa in questo Paese che chi era congiunzione tra l’inizio della Storia nostra e il suo proseguire, il Pci, era sciolto e per troppa parte defluito in una Storia altra, degli altri. Il passo in più che Boff intimava al Ptb di non fare, il Pds/Ds/Pd lo aveva fatto da tempo. Non uno, ma tanti.
Eppure ciò non ci assolve dal nostro essersi persi. Potevamo, dovevamo, dobbiamo fare di più. Questo dobbiamo chiederci a Genova. Non celebrare, rivendicare, consolarci delle nostre ragioni. Dobbiamo interrogarci dei nostri torti. Il primo aver perso noi stessi, coltivato, a volte, l’intelligenza, ma senza più l’ottimismo della volontà. Aver disperso il senso della Politica, che non separa società e potere, ma cerca di unire ciò che dà la forza di fare ciò in cui si crede, ciò che si deve.
Roberto Musacchio
7/7/2021 https://transform-italia.it
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