Un anno di genocidio israeliano a Gaza: cosa abbiamo imparato sulla Palestina e sul mondo
I palestinesi, nonostante l’occupazione militare, l’assedio e i numerosi fallimenti della loro leadership e dopo un anno di genocidio israeliano a Gaza, rimangono attori politici, con una potente capacità di azione. E hanno un sostegno globale.
L’ultimo anno di implacabile guerra israeliana a Gaza e di sanguinose incursioni e violenze in Cisgiordania si è in gran parte considerato in termini di orribili risultati umanitari: l’uccisione senza pari di decine di migliaia di persone, l’annientamento di Gaza e la distruzione della Cisgiordania.
Se l’urgenza umanitaria deve essere una priorità, anche altri fattori meritano di essere presi in considerazione, soprattutto nel momento in cui ricorre l’anniversario di un anno della guerra in corso.
Anche se le uccisioni di massa devono ancora finire, si possono già trarre diverse conclusioni sulle conseguenze a lungo termine della guerra.
La nuova coscienza globale che si è sviluppata intorno alla lotta palestinese potrebbe aver già raggiunto la massa critica necessaria che, con il tempo, porterà al tanto agognato cambio di paradigma: la giustizia per il popolo palestinese.
In primo luogo, i palestinesi, nonostante l’occupazione militare, l’assedio e i numerosi fallimenti della loro leadership, rimangono attori politici, con una potente agency.
Tale potere non deriva dai risultati superficiali della loro leadership autocratica o dal riconoscimento ancora simbolico dello Stato di Palestina, ma dalla resilienza collettiva e dal potere dei palestinesi comuni a Gaza e in tutta la Palestina occupata.
La guerra a Gaza avrebbe avuto un aspetto diverso se la società palestinese fosse crollata di fronte alla macchina da guerra, se si fosse frammentata in fazioni in lotta o se fosse diventata disperata di fronte a pressioni impossibili, distruzioni senza precedenti, carestie acute, ecc.
Questo fatto da solo ci rassicura sul fatto che il destino del popolo palestinese non sarà quello della cancellazione o della marginalizzazione, ma della continuità e persino della prosperità futura.
In secondo luogo, le società arabe, per quanto impegnate nelle loro lotte e sfide sociali e politiche, rimangono unite nel percepire la causa palestinese come una priorità araba assoluta. Questo ha permesso a molti governi arabi di ribadire la loro posizione sulla centralità della causa palestinese.
Sebbene le circostanze attuali possano, per ora, impedire ad alcune società arabe di partecipare direttamente alla trasformazione della loro devozione alla Palestina in un sostegno tangibile e pratico, il futuro dimostrerà che la rinnovata centralità della Palestina nei discorsi politici e popolari arabi avrà il suo peso e il suo valore.
La stessa logica si applica alla Ummah musulmana, che da decenni non è mai stata così unita attorno a una causa come lo è ora attorno alla Palestina. Questo è percepibile in tutti i Paesi musulmani e tra le comunità musulmane di tutto il mondo, soprattutto in Occidente.
Il futuro rivelerà di più sul significato del ritorno della Palestina nell’abbraccio degli arabi e dei musulmani. Tuttavia, si può già concludere che la resilienza del popolo palestinese ha, ancora una volta, riportato l’attenzione sulla Palestina come causa principale di tutti gli arabi e i musulmani.
Mentre alcuni Stati arabi cercano disperatamente di trovare una distanza di sicurezza e di non giocare alcun ruolo nel conflitto regionale incentrato su Gaza, attori non statali in Yemen, Libano, Iraq e altrove stanno sfidando le regole tradizionali della politica mediorientale.
Le masse arabe non implorano più gli eserciti arabi di salvare i palestinesi, come è avvenuto in precedenti guerre, conflitti e massacri.
I ruoli svolti da Ansarallah in Yemen e da Hezbollah in Libano sembrano aver occupato i ruoli che, in teoria, avrebbero dovuto essere svolti dagli eserciti tradizionali.
Questo non è più previsto o, francamente, nemmeno richiesto. Gli eserciti arabi ufficiali si sono storicamente dimostrati inefficaci e corrotti. Ora sono semplici spettatori, mentre potenti gruppi armati si sono mossi per colmare le lacune, mostrando solidarietà con i palestinesi a parole e nei fatti.
Storicamente, questo non ha precedenti. Questo cambiamento indebolirà ulteriormente la legittimità ancora posseduta dai governi arabi, soprattutto da quelli che si trovano nelle immediate vicinanze della Palestina.
In terzo luogo, sebbene il diritto internazionale rimanga inefficace come sempre, la sanguinosa guerra in Palestina sta creando spaccature tra il Sud globale e il Nord globale. Quest’ultimo, con poche eccezioni, rimane irremovibile nel ripetere vecchi mantra sul “diritto di difendersi” di Israele, ignorando tutti i diritti dei palestinesi.
Tuttavia, molti Paesi in Africa, Medio Oriente, Sud America e altrove stanno diventando più forti e coraggiosi nel chiedere giustizia per i palestinesi e un’equa applicazione del diritto internazionale.
La rivolta politica del Sud globale ha già prodotto azioni lente ma serie da parte della Corte internazionale di giustizia, della Corte penale internazionale e, ultimamente, anche dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Il 17 settembre l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che assegna una scadenza effettiva alla fine dell’occupazione israeliana della Palestina. La risoluzione A/ES-10/L.31/Rev.1, con la sua scadenza “non oltre 12 mesi”, ha sostanzialmente dichiarato nulle tutte le azioni che Israele ha illegalmente condotto nei Territori occupati, compresi tutti gli insediamenti, l’annessione di terre palestinesi e tutto il resto.
Quattro, un’intera generazione di persone in tutto il mondo è stata colpita dallo spettacolo dell’orrore a Gaza. Le immagini cruente, le suppliche disperate dei bambini che hanno perso i genitori, l’incredibile distruzione e l’incapacità del sistema internazionale di fermare tutto questo, saranno impresse nella memoria collettiva del mondo per molti anni a venire.
Ciò significa che i confini della solidarietà globale con la Palestina supereranno finalmente i confini del Medio Oriente in nuovi e crescenti spazi geografici e culturali e che, almeno in Occidente, la Palestina non rimarrà più una discussione politica o un argomento accademico.
La nuova coscienza globale che si è sviluppata intorno alla lotta palestinese potrebbe aver già raggiunto la massa critica necessaria che, con il tempo, porterà al tanto agognato cambio di paradigma: la giustizia per il popolo palestinese.
Infine, un anno di guerra ci ha insegnato che, sebbene una maggiore potenza di fuoco possa determinare i risultati politici nel breve periodo, nessuna quantità di armi può spezzare la volontà di una nazione che ha giurato di ripristinare la propria dignità e conquistare la propria libertà, a qualunque costo.
Fonte: Common Dreams, 13 ottobre 2024
https://www.commondreams.org/opinion/gaza-genocide-1-year-lessons
Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis
18/10/2024 https://serenoregis.org
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