Un contratto “pirata” per i riders
Il 16 settembre è stato firmato un contratto collettivo nazionale (allegato 1) per regolare il rapporto di lavoro dei ciclofattorini (c.d. riders). E’ il primo non solo in Italia, ma in tutta Europa: ragione dell’ampio eco immediatamente dato all’evento dai media. Il CCNL però non comporterà alcun miglioramento delle condizioni di lavoro nel martoriato mondo dei “platform workers”. Si è trattato infatti di un accordo voluto dalle principali piattaforme di food delivery presenti in Italia (Glovo, Deliveroo, Just Eat, Uber Eats, Social Food, associate in Assodelivery) per eludere i vincoli di legge.
La recente legge n. 128 del 2019, per definire il compenso da corrispondere ai riders, rinvia ad accordi collettivi firmati dalle organizzazioni più rappresentative da siglare entro un anno dall’entrata in vigore della legge stessa; pena, in assenza di accordo, l’applicazione dei minimi salariali previsti dal CCNL relativo ad attività affini (cioè, quello del settore della Logistica, trasporto merci). La stessa legge, nel riformare l’art. 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015, garantisce ai c.d. lavoratori etero-organizzati (cioè che, pur senza essere subordinati, non abbiano autonomia nell’organizzare la propria attività) le stesse tutele dei lavoratori dipendenti, ivi compresi i minimi salariali previsti dal CCNL; salvo, di nuovo, specifico accordo stipulato dalle stesso organizzazioni comparativamente più rappresentative.
La strategia delle piattaforme è chiara: firmare un CCNL con una confederazione sindacale di livello nazionale (nel caso, l’UGL, la storica confederazione di destra) contenente qualche concessione di facciata, per impedire l’entrata in vigore delle norme di legge e, con esse, dei minimi salariali fissati dal CCNL Logistica. Non sorprende allora che nell’accordo del 16 settembre 2020 si mantenga di fatto un sistema di calcolo del compenso legato alle prestazioni (di fatto, un cottimo), e non all’orario. Il meccanismo previsto è indicativo dell’intento elusivo delle parti firmatarie: il riconoscimento del compenso di 10 euro l’ora è infatti solo apparente, perché “l’ora” non corrisponde al tempo di lavoro effettivo, ma viene calcolata dalla piattaforma in relazione al numero di consegne svolte.
Per il resto il CCNL conferma obblighi già previsti dalla legge (come l’indennità per “pioggia” o la copertura assicurativa per gli infortuni), declinandoli al ribasso (come nel caso dell’obbligo di fornire i dispositivi per la sicurezza, condizionato alla durata delle attività svolta). Risponde infine all’intento di evitare il contenzioso relativo alla qualificazione del rapporto di lavoro, la clausola del CCNL Assodelivery che riconduce senz’altro i riders nell’ambito del lavoro “genuinamente” autonomo.
Un’operazione così spregiudicata potrebbe però rivelarsi un boomerang per le piattaforme. L’accordo è apparso infatti non solo inaccettabile per tutte le sigle sindacali, sia confederali (Cgil, Cisl e Uil) sia del sindacalismo autonomo e auto-organizzato (come l’associazione “RiderXidiritti”), ma è incorso anche nella censura dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, che ne ha prontamente segnalato i profili di criticità in una nota indirizzata ad Assodelivery (allegato 2). Secondo i tecnici ministeriali, da una parte l’UGL non sembra possedere il requisito della “maggior rappresentatività comparata” necessario per firmare CCNL attuativi della legge n. 128 del 2019; dall’altra, nel merito, la previsione di un compenso commisurato alle consegne contravviene alla finalità della legge, con la quale si è inteso garantire un minimo orario ai riders. Da ciò la conclusione che il CCNL del 16 settembre non debba ritenersi idoneo a produrre l’effetto previsto dalla legge n. 128/2019, ovvero a impedire che, a far data dal prossimo 2 novembre 2020, ai riders spetti un compenso orario minimo calcolato sulla base del CCNL Logistica. Ciò in attesa che un CCNL firmato da organizzazioni sindacali realmente rappresentative regoli compiutamente la materia.
Tanto meno il CCNL Assodelivery potrà impedire ai giudici di riconoscere la natura subordinata (ai sensi dell’art. 2094 Codice Civile) o “etero-organizzata” (ai sensi dell’art. 2 del decreto n. 81/2015) del contratto di lavoro con la piattaforma, non disponendo le parti firmatarie del potere di qualificazione del rapporto. Sotto questo profilo, i segnali che giungono dalla giurisprudenza sono confortanti: la stessa Cassazione ha recentemente riconosciuto come corretta la qualificazione del rapporto di lavoro dei riders come “etero-organizzato”, con la conseguente applicazione dei minimi retributivi del CCNL (Cass. n. 1662 del 24 gennaio 2020).
Tutto ciò non porta a concludere che gli scenari futuri siano rosei. Il quadro normativo resta infatti incerto, proprio in relazione alla qualificazione del rapporto di lavoro. La stessa legge n. 128/2019 è fonte di ambiguità dal momento che riconosce che i riders possano essere o lavoratori “genuinamente” autonomi o etero-organizzati (cioè di fatto equiparati ai lavoratori subordinati), salvo rinviare in entrambi i casi al contratto collettivo in funzione di fonte di regolazione del rapporto di lavoro (e in specie, dei profili retributivi). La selezione poi dei soggetti legittimati a siglare il CCNL cui la legge rinvia è resa problematica dall’assenza di una legge sindacale che determini i criteri per valutarne il grado “rappresentatività”; e lo è tanto più in un contesto (come quello del lavoro digitale), nel quale i tassi di sindacalizzazione sono estremamente bassi, e le mobilitazioni si esprimono spesso fuori dal controllo dei sindacati confederali.
Di queste debolezze strutturali del sistema normativo e sindacale sono pienamente consapevoli le piattaforme; ed è evidentemente su queste debolezze che esse contano per rivendicare (eventualmente, domani, davanti a un giudice) la piena legittimità ed efficacia del CCNL del 16 settembre scorso. La partita resta aperta e dovrà essere giocata non solo (e non tanto) sul piano giudiziario (che pur è imprescindibile), ma soprattutto sul terreno della lotta sindacale.
Giovanni Orlandini
Professore associato, Università di Siena)
23/9/2020 https://transform-italia.it
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