Un liceo torinese vuole reintrodurre le regole pandemiche per impedire l’occupazione
Dopo alcuni giorni di autogestione, il Liceo Linguistico e delle Scienze Umane Einstein di Torino è stato occupato da un centinaio di studenti, che hanno deciso di serrare i cancelli di ingresso alla scuola dal cortile con sedie e banchi, impedendo l’accesso a insegnanti e operatori. I giovani sono in protesta contro le politiche governative sulla scuola, puntando il dito contro la riforma “4+2” della formazione professionale del ministro Valditara, la riforma del voto in condotta e la mancata introduzione nelle scuole dell’educazione sessuale. Un nuovo capitolo di una lotta che nelle scuole va avanti già dallo scorso anno, nel sostanziale disinteresse di media e istituzioni politiche. Ma l’occupazione di Torino mostra anche come, anziché discutere nel merito, si stia diffondendo l’abitudine da parte delle autorità scolastiche di cercare di aggirare le rivendicazioni e le proteste studentesche ricorrendo agli strumenti dell’era pandemica, a cominciare dalla Didattica a distanza, che la dirigenza e il Collegio docenti hanno in programma di adottare con l’obiettivo di eludere il fisiologico stop alle lezioni prodotto dall’occupazione.
“L’Einstein è occupato! Raggiungeteci!”, hanno scritto ieri in un post su Instagram i membri del Kollettivo Einstein, che dopo un periodo di autogestione a scuola concordato con il dirigente scolastico ha deciso di occupare l’istituto. «Dopo giorni di dibattito, confronto e condivisione di pensieri e idee tra studenti all’autogestione, sono emersi grandi dubbi per la forma di protesta che stavamo portando avanti – hanno spiegato i membri del collettivo agli studenti presenti a scuola -. La sintesi di questi confronti vede nell’autogestione un mezzo inefficace e inconcludente rispetto agli obiettivi preposti. È scaturita la volontà generale di passare a una forma di protesta più incisiva». Dura la reazione della presidenza dell’Istituto, che ha reso noto che “la sede di via Bologna risulta illegalmente occupata, in violazione degli accordi presi” e che “l’accesso alla sede è stato impedito agli operatori e a tutto il personale docente e agli studenti che non volessero partecipare all’occupazione”, configurandosi pertanto “l’interruzione di pubblico servizio e la violazione del diritto allo studio”. Ora la presidenza ha manifestato l’intenzione di utilizzare già a partire da domani la Didattica a Distanza per disinnescare lo stop alle lezioni prodotto dall’occupazione, con una decisione già approvata dal Collegio docenti. Una prospettiva cui contro cui i membri del collettivo si erano già duramente scagliati una decina di giorni fa. “La didattica a distanza è una misura che la scuola italiana ha adottato durante l’emergenza pandemica del COVID-19 per arginare i contagi e garantire, per quanto possibile, lo svolgimento della didattica – avevano messo nero su bianco in un comunicato –. La didattica a distanza tuttavia è una misura che ha reso la formazione ancora più frontale e nozionistica rispetto alla già povera didattica in presenza, ha evidenziato le disuguaglianze sociali di tuttə lə studenti che non si potevano permettere un computer, ha distrutto completamente la socializzazione tra persone facendo aumentare esponenzialmente attacchi di panico e disturbi psichici. Il fatto che una didattica già verificatasi fallimentare venga proposta come deterrente a un’occupazione non ci sembra solo sbagliato, ci sembra folle!”.
Il bersaglio politico delle proteste degli studenti – che costituiscono la coda dell’ondata di contestazioni che ha segnato tutte le regioni italiane a partire dalla scorsa primavera – è anche la sperimentazione della nuova istruzione tecnica e professionale inaugurata dal Ministro Valditara (che al momento, in seguito all’Istruttoria ministeriale, ha visto ammessi 171 istituti tecnici e professionali per 193 corsi), che trova il suo focus nella durata di 4 anni di percorso “ordinario”, a cui si aggiungerebbero 2 anni aggiuntivi di avviamento in una delle imprese aderenti. «É sbagliato – dice uno studente impegnato nella protesta all’Einstein – che si trasformino gli istituti tecnici e professionali in percorsi di avviamento solo per il lavoro nelle imprese e nelle multinazionali. Vogliamo una scuola che sia davvero formativa e non uno stage non retribuito in qualche azienda». Gli studenti si scagliano anche contro la riforma del voto in condotta e delle sospensioni, giudicandola “uno strumento per punire tutti quegli studenti che praticano forme di dissenso”, richiedendo, inoltre, l’introduzione di un’Educazione sessuale “seria e continuativa” nel percorso formativo scolastico, che abbia il suo cuore nella “sensibilizzazione al tema del consenso, delle molestie e delle disuguaglianze”.
Stefano Baudino
27/1/2024 https://www.lindipendente.online/
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