Un Manifesto delle donne
La pandemia di Covid-19 ha diffuso incertezza e ansia tra la popolazione mondiale costringendo la gente a stare a casa per lunghi periodi di tempo. Tale situazione ha a sua volta creato il bisogno di contrastare incertezza e ansia con la sicurezza e la solidità del sapere scientifico. La politica è stata costretta a far ricorso al sapere medico per affrontare la crisi profonda in cui la pandemia ha gettato oprattutto i paesi più colpiti dal virus. Infettivologi, virologi, epidemiologi, sono diventati i punti di riferimento non solo del sapere necessario in questi momenti ma anche delle pratiche di cura che hanno cercato di salvare il più possibile vite umane.
La gratitudine di tutti noi è andata spontaneamente a dottori e dottoresse, infermieri/e, operatori/rici sanitari, oltre a molti lavoratori e lavoratrici che per affrontare la pandemia e portare soccorso e cura agli ammalati hanno messo a repentaglio anche le loro stesse vite. Movimenti spontanei sono sorti nei vari paesi per testimoniare la gratitudine della gente verso gli operatori della salute: applaudire dai balconi tutti insieme a un’ora prestabilita, striscioni di apprezzamento ecc.
L’8 marzo in Italia solo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rivolto uno speciale ringraziamento alle donne, ma solo alle ricercatrici, dottoresse, infermiere e operatrici sanitarie che hanno contribuito così operosamente ed efficacemente alla vita del paese. Su noi donne si è steso un assordante velo di silenzio che ci ha reso ancora una volta invisibili!
Nessuna forza politica, sindacale, o di movimento ha accennato a un riconoscimento concreto nei confronti di noi donne che nelle case, in seguito al confinamento domestico, ci siamo sobbarcate una quantità di lavoro ancora più grande del solito. “Restate a casa” ha significato avere a casa la presenza continua di mariti, bambini, anziani, disabili, ammalati da curare e dover fare anche quelle mansioni del lavoro domestico che negli ultimi Cinquanta anni erano state espulse dalle case e convogliate nelle lavanderie, rosticcerie, ecc. e che sono improvvisamente rientrate dalla porta di casa.
Noi donne spesso oltre a fare il loro telelavoro ci siamo trasformate in maestre e insegnanti per il monitoraggio scolastico dei figli e delle figlie in età scolare, abbiamo ripreso a fare la pasta, gli gnocchi, e tortelli sia per risparmiare, sia per sostenere anche psicologicamente i vari membri della famiglia (il lievito è diventato introvabile negli scaffali dei supermercati), ci siamo inventate giardiniere per coltivare ortaggi e fiori nelle loro terrazze, abbiamo provveduto a pulire le case a fondo come suggerito dall’Istituto Superiore di sanità, ci siamo occupate dei mariti bloccati in casa, organizzando e gestendo una vita quotidiana accettabile, ci siamo prese cura dei migliaia di ammalati di Covid-19 in isolamento domiciliare e abbiamo cercato di stare vicino a quelli ricoverati negli ospedali, abbiamo inventato nuovi giochi per i bambini costretti a stare in casa per giorni e giorni. Il carico principale del lavoro non retribuito che è ricaduto sulle famiglie a causa della pandemia è stato principalmente svolto da noi donne. L’innegabile superlavoro domestico che abbiamo dovuto fare ha spesso messo in pericolo il nostro impegno nel lavoro esterno e nel telelavoro. Ad esempio, c’è stato un crollo della produzione scientifica femminile in questo periodo.
Le contraddizioni schizofreniche di questo sistema economico sono ancora una volta finite sulle nostre spalle: da un lato, siamo state impossibilitate a ricorrere ai nonni per la cura dei bambini durante il nostro orario di lavoro, dall’altro le regole della quarantena hanno impedito a tante baby-sitter di continuare a fare il loro lavoro. Così come tali regole hanno impedito a molte badanti di continuare a occuparsi degli anziani che seguivano e a molte collaboratrici domestiche di continuare a lavorare nelle case altrui. Anche questa massa di lavoro domestico e di cura si è scaricata sulle nostre spalle, per cui abbiamo dovuto fare le saltimbanche, ricorrendo a tutte le nostre doti di multitasking, in realtà accumulando tonnellate di stress. Inoltre, l’attuale stato di confinamento domestico forzato sta facendo registrare un preoccupante incremento di episodi di violenza domestica nei confronti di noi donne, per cui è stata lanciata da parte del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri una specifica campagna di aiuto nei confronti delle donne che hanno subito violenza domestica.
Nessun politico o esperto ha parlato di noi donne e del lavoro che facciamo dentro le case. Il lavoro domestico è ridiventato invisibile, tanto invisibile quanto il coronavirus. Di conseguenza, noi donne siamo state ancora una volta ignorate. Come sempre, la nostra identità individuale è stata cancellata a favore dell’istituzione famiglia. Coloro che non osano parlare delle fabbriche e dei servizi senza parlare degli operai e degli impiegati, si permettono ancora una volta di parlare di famiglie senza citare noi donne che ci lavoriamo e che siamo le “operaie della casa”, indipendentemente dal fatto che noi abbiamo o meno anche un lavoro esterno.
Questo è inaccettabile. Se i vari stati reggeranno l’urto di questa pandemia, una parte importante di questo merito va riconosciuta a noi donne. La ricostruzione dell’economia mondiale che presto partirà dovrà correggere errori e storture del passato e anzitutto includere il riconoscimento economico del lavoro domestico che soprattutto noi donne facciamo nelle case, oltre a fondarsi su un rapporto rispettoso nei confronti della natura. Molto ipocritamente la politica ha parlato di famiglie, di eventuali “aiuti e sostegni” alle famiglie, dentro cui noi donne spariamo nascoste da un velo di invisibilità. Il punto è che noi non vogliamo l’assistenza da parte dello stato ma il riconoscimento economico del lavoro domestico che mai come in questo momento ha rivelato di essere il motore fondamentale della società, perché ha consentito la sopravvivenza della popolazione.
Le industrie nei vari paesi hanno fatto la voce grossa con gli stati chiedendo miliardi di investimento da parte dello stato (cioè tutti noi, cittadini e cittadine) per difendere le grandi e medie aziende; altrettanto hanno fatto i piccoli imprenditori, i professionisti, le partite Iva e le aziende del commercio e dell’agricoltura. Ebbene, noi donne vogliamo la nostra parte, sia perché è giusto essere pagate per il lavoro che facciamo sia perché alla fine sennò saremo sempre noi a pagare il costo della pandemia, quando arriveranno le richieste di sacrifici per saldare i debiti che i vari stati stanno facendo. Teniamo inoltre presente che questa crisi economica, a differenza delle precedenti, sta arrecando danni devastanti ai nostri posti di lavoro e redditi.
Vogliamo essere invitate nei tavoli di lavoro dai governi per decidere il nostro futuro e diventare visibili. Siamo determinate a volere la nostra parte subito ma ancora di più a dire la nostra sulle strategie da mettere in campo per rifondare l’economia e la società del prossimo futuro.
Prima firmataria Leopoldina Fortunati (è possibile aderire al manifesto lasciando nome, cognome e città di residenza nello spazio commenti in coda a questa pagina, le firme saranno inviate a Leopoldina Fortunati)
Docente di sociologia della comunicazione e della cultura dell’Università di Udine, Leopoldina Fortunati ha promosso, diretto o partecipato a varie ricerche cross-culturali internazionali. È autrice di oltre duecento tra libri, ricerche e articoli: i suoi lavori sono stati pubblicati in molte lingue. La sua produzione scientifica si concentra principalmente nel campo degli studi di genere, dei processi culturali e dei vecchi e nuovi media.
24/6/2020 https://comune-info.net
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