UN MICROCHIP DISTRUGGERÀ LA NOSTRA PRIVACY
Si chiama RFID, Radio-Frequency IDentification (in italiano identificazione a radiofrequenza), ed è una tecnologia pensata per l’identificazione e/o memorizzazione di informazioni in microchip capaci di interagire con dei sistemi riceventi da utilizzare per una svariata gamma di scopi.
Il primo impianto di chip sottocutaneo per uso hobbistico in un umano è avvenuto nel 1998, quando lo scienziato britannico Kevin Warwick ha svolto dei test per aprire automaticamente le porte, accendere le luci al passaggio e per generare messaggi vocali in un edificio, poi, gli esperimenti dei molti hobbisti che lo hanno seguito ha reso oggi questa tecnologia normale e persino obbligatoria per i piccoli animali domestici, piccoli cani e gatti che già oggi sbloccano automaticamente le aperture loro dedicate nelle nostre case potendo circolare autonomamente senza che altri intrusi possano seguirli.
Prima hobby, poi applicazione pratica su animali ed oggi all’uomo, così da molto tempo e senza che nessuno se ne rendesse conto gli impianti di identificazione sottocutanea si sono moltiplicati e sono ormai diventati comuni in mezzo a noi. Sembrerà strano, ma già nel 2016 il Wall Street Journal scriveva che almeno 50 mila persone nel mondo ne facevano un uso regolare per aprire porte, essere riconosciuti sul luogo del lavoro, registrare i propri dati sanitari, accendere l’automobile, preparare il caffè e molto altro.
Anche se non si hanno ancora notizie di applicazioni reali, di questi chip ne è teoricamente già possibile il tracciamento con sistemi di posizionamento satellitare che rilevano anche direzione e velocità di movimento, potendo così localizzare le singole persone in ogni posto del mondo e se un tale sistema potrebbe essere usato per scopi sociali, come individuare fuggitivi, persone scomparse o soggetti sensibili, è anche vero che una simile “tracciabilità” rende tutti più facilmente controllabili e senza alcuna privacy.
In Svezia è boom da tempo, tanto che nel 2017 erano già migliaia gli svedesi che si erano fatti impiantare un microchip per aprire la portiera dell’automobile o accedere a locali, ma alla Three Square Market, azienda del Winsconsin negli USA, sono andati oltre: offrono una serie di servizi gratuiti e tanto di maglietta con scritta “I got chipped” ai dipendenti che volontariamente decidono di farsi impiantare il chip per automatizzare il loro lavoro.
Al momento si tratta ancora di volontari, ma che sarebbero già più di 50. Costoro, con un impianto nella mano, evitano di “timbrare il cartellino” in modo canonico, pagano il caffè ai distributori automatici di caffè e snack e si loggano al computer avvicinandovisi e senza usare la tastiera e non è nemmeno una grande novità, nel Regno Unito gli impianti sarebbero già molti di più, tanto che i sindacati sono in allarme per il loro uso sui lavoratori che diventano così sotto totale controllo aziendale.
Secondo la stampa Britannica la società BioTeq, specializzata in questo tipo di impianti, ne avrebbe già realizzati oltre 150, sia per singoli individui a scopo hobbistico che per dipendenti di piccole società, e ne avrebbe spediti anche in Spagna, Francia, Germania, Giappone e Cina.
Cosa ci riservi davvero il futuro ancora non lo sappiamo, quello che già sappiamo è che siamo già controllati a distanza, ognuno di noi, o quasi, ha già uno o più microchip addosso che lo seguono quasi ovunque, si tratta di quelli della carta di credito e dei nuovo documenti sempre più “contactless”, oltre ai telefonini, braccialetti ed altri accessori senza contatto fisico per essere attivati e tracciabili a distanza.
Se entrate in un supermercato con il sistema di posizionamento del vostro cellulare acceso, cosa necessaria per poter utilizzare quasi tutte le applicazioni in esso contenute, troverete la richiesta: “vuoi aggiungere la tua opinione su …” seguito dal nome del locale dove vi trovate, segno evidente che qualcuno o qualcosa sa bene dove siete e cosa presumibilmente facciate in quel posto.
Instagram, Facebook, Google, etc., tutte le società moderne si sono già appropriate gratuitamente e con il nostro consenso della cosa più preziosa che abbiamo: i dati sulle nostre abitudini ed i nostri gusti, perché non dovrebbero farlo anche i datori di lavoro?
Non si può fermare il progresso, ma tutto ciò rende indispensabile una riflessione: vale davvero la pena di cedere il controllo della nostra vita in cambio di qualche servizio “gratuito”?
Probabilmente no, eppure nella vita di tutti i giorni, come nella Three Square Market, per aprire le porte automaticamente o pagare senza il portafoglio le persone cedono volontariamente i dati sulle proprie abitudini fino quando saremo quasi tutti sotto controllo di qualcuno, sia esso datore di lavoro, industria o governo ed allora sarà impossibile anche per gli irriducibili evitarlo a propria volta.
Pierluigi Pennati
11/12/2018 www.alganews.it
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!