Un NO salutare, per l’ambiente e per i diritti

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Nelle tesi dei sostenitori della “riforma costituzionale” vi è quella che non si toccano i principi costituzionali di base (i primi tre titoli), tra cui quello del diritto alla salute, all’ambiente, alla sicurezza.

Le modifiche del titolo V, ed in particolare l’art. 117 relativo alla distribuzione di competenze e poteri in particolare tra lo Stato e le Regioni contengono però molti “sassolini” che diventeranno frane soprattutto a fronte di maggiori poteri attribuiti all’esecutivo e una riduzione del bilanciamento tra organi politici (Camera/Senato in primis).

Due voci tra tutte in campo ambientale : la esclusività dei poteri statali su “produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia” e sulle “infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto”.

Sul tema energetico la dualità di poteri e competenze tra Stato e regioni finora ha ridotto gli effetti di scelte eterodirette, dalla pioggia di centrali termoelettriche a gas nei primi anni 2000, alle numerose proposte di terminali per il gas liquefatto trasportato su navi, alle prospezioni marine per la ricerca di idrocarburi (oggetto anche di referendum). La dialettica Regioni/Stato ha permesso di “ridurre il danno” dovuto alle miriadi di progetti – spesso già assentiti dagli organi centrali

(ministeri) – in cui l’unico interesse reale era quello del profitto dei proponenti aprendo varchi estesicondizionando, nei fatti, gli indirizzi energetici del paese.

La questione delle “infrastrutture strategiche” rende ancora più evidente questo rischio. Non si tratta “solo” di “grandi opere” come la TAV (e già questo sarebbe sufficiente per far emergere il pericolo di un accentramento delle decisioni già esistente, si pensi alle catastrofiche leggi ad hoc per queste opere a partire da quelle di restrizione delle norme sulla valutazione di impatto ambientale), si tratta di tante “piccole” opere che – all’esigenza del governo del momento – con l’apposizione della etichetta di “strategiche” vengono imposte dall’alto contro la volontà locale ma anche saltando a piè pari ogni valutazione sulla effettiva utilità della singola opera e sulle alternative disponibili.

E’ il caso recente della “rete degli inceneritori” in un recente decreto in applicazione dell’art. 35 dello “sbloccaitalia” che ha indicato numeri degli impianti ritenuti necessari e imponendone la costruzione alle regioni. Certo, le regioni interessate scontano ritardi decennali nella attuazione di una gestione dei rifiuti corretta ma l’imposizione di impianti ad elevato impatto e intrinsecamente  rigidi (una volta costruiti vanno alimentati per decenni) è in contrasto con le alternative disponibili e che saranno sempre più richieste e indicate nelle norme europee (riduzione, prevenzione, riciclo, recupero, riuso) spostando altresì le responsabilità sui produttori delle merci.

Altro importante snodo è quello della gestione del servizio sanitario pubblico. Anche in questo caso vi sono regioni che hanno compiuto scelte scellerate (privilegiando le strutture private, sprecando risorse, non adeguando i servizi alle esigenze della popolazione soprattutto nel campo della prevenzione), ma la “soluzione” a questo problema appare esclusivamente di tipo economico, di pura ricerca delle  “compatibilità” bilancio. In questa direzione la sanità non sarà più una questione di salute ma verrà regolata dal Ministero dell’economia, in seconda battuta, per le scelte “tecniche” dal Ministero della Salute e, quali meri esecutori delle scelte centrali, le regioni.

Men che meno la modifica proposta e i rapporti Stato/Regioni che ne consegue potranno riequilibrare le differenze tra le regioni, in particolare del Sud Italia. Per questo non occorre una riforma costituzionale ma una applicazione coerente dei principi della riforma sanitaria del 1978.

La programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali rimasta in capo agli enti localiappare una pura attività esecutiva residua ove la partecipazione e le richieste della popolazione saranno, anche più di ora, una voce inascoltata.

Un percorso esattamente inverso rispetto a quello prefigurato dalla riforma sanitaria del 1978, dalle esigenze del territorio alla pianificazione regionale e nazionale, alla definizione delle necessità economiche per garantire l’accesso universale ai servizi come a garantire una rete locale con la capacità di intervento diretto sui fattori di nocività nei luoghi di lavoro e di vita.

Le proposte contenute nella modifica della Costituzione scalzano nel concreto della organizzazione e definizione delle competenze e poteri tra gli enti i principi basilari del diritto alla salute, all’ambiente salubre e alla partecipazione democratica nelle scelte di pianificazione di importanti settori condizionanti la società.

Per questo votare NO è una scelta a favore della salute e dei diritti.

Medicina Democratica

Movimento di Lotta per la Salute – Onlus

8/11/2016

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