Un suicidio ogni due giorni: il 2024 è già “anno nero” per le carceri
In questi primi 30 giorni dell’anno, nelle carceri italiane, si sono registrati 13 suicidi, il numero più alto negli ultimi 10 anni, che supera di gran lunga i 7 del 2022, anno in cui i suicidi nei penitenziari hanno toccato il loro apice, arrivando a toccare quota 85. L’ultimo risale al 29 gennaio, ed è stato segnalato dalla UILPA, il ramo della Polizia Penitenziaria della UIL. Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, la problematica è irrisolvibile, eppure uno dei principali fattori di disagio segnalato più volte dalle organizzazioni per i diritti dei detenuti è l’alto tasso di sovraffollamento degli istituti, a cui vanno aggiunte anche le condizioni spesso ai limiti in cui vivono i carcerati italiani, non raramente privati di spazi sociali, adeguata formazione, e qualche volta addirittura di prime necessità come l’acqua calda.
Dei 13 suicidi segnalati a gennaio, 12 si sono verificati per impiccagione e 1 è avvenuto a causa di uno sciopero della fame. A questi, poi, vanno aggiunti altri 19 decessi per “altre cause”, come quelle naturali, che sommati ai suicidi restituiscono un totale di 32 morti, più di uno al giorno. L’ultima ricerca del Garante Nazionale dei Diritti delle Persone Private della Libertà Personale, pubblicata questo 4 gennaio e aggiornata al 18 aprile 2023, mostra come degli 85 suicidi registrati nel 2022, picco storico assoluto da almeno il 1992, “34 riguardano persone riconosciute con fragilità personali o sociali” quali individui “senza fissa dimora” o “con disagi psichici”. Di questi 80 erano uomini e 5 erano donne e, contrariamente a quanto si possa pensare, molti si sono verificati secondo tempistiche inaspettate: la stessa ricerca del Garante mostra come “troppo breve è stata in molti casi la permanenza all’interno del carcere”, tanto che 50 persone su 85, il 65% del totale, si sono tolte la vita nei primi 6 mesi di carcere, di cui 21 nei primi tre mesi, 15 nei primi 10 giorni e addirittura 9 nelle prime 24 ore. Lo stigma sociale di essere percepito come un criminale, insomma, gioca un ruolo preponderante nelle ragioni che spingono un detenuto a suicidarsi e dimostra come a dover cambiare è in primo luogo la cultura carceraria.
A queste considerazioni si aggiungono anche le scarse condizioni in cui versano i carcerati italiani, contro le quali parecchie associazioni ed enti continuano a lanciare allarmi. Secondo gli ultimi dati forniti dal Garante nei primi 14 giorni del 2024 si è registrato un sovraffollamento del 127,54% mentre a dicembre si contavano quasi 10.000 detenuti oltre il limite di capienza nazionale. La conta dei detenuti continua, inoltre, ad aumentare, tanto che negli ultimi tre anni si è registrato un innalzamento del numero di carcerati di 8.000 unità, pari a un incremento del 13,31%. Per tale motivo l’Unione Europea ha chiesto all’Italia l’introduzione di misure diverse dalla detenzione penitenziaria, ma davanti a esse il Governo Meloni ha inasprito le pene, come nel caso della nuova legge riservata agli ecologisti o del cosiddetto “decreto rave”. Oltre al sovraffollamento, ad allarmare è anche lo stato in cui versano le strutture, spesso obsolete e vecchie quasi, e in certi casi oltre, un secolo. Inoltre, secondo uno studio dell’Osservatorio dell’Associazione Antigone condotto su 96 penitenziari, nel 25% delle strutture visitate le celle contano meno di 3 metri quadri calpestabili a detenuto, e alcune di esse non sono dotate di doccia, riscaldamento e acqua calda; gli spazi sociali sono ridotti all’osso, l’accesso al verde è in molti casi impossibile e le misure rieducative e di formazione risultano spesso inadeguate, tanto che nel 2021 a fronte degli 896 educatori richiesti ne erano presenti solo 733, con picchi al ribasso di 1 ogni 152 detenuti.
Davanti alle scarse condizioni riservate ai detenuti italiani, in Italia negli ultimi anni si è registrato un taglio nella spesa riservata alle strutture penitenziarie. Nella legge di bilancio del 2023, infatti, si leggeva che a partire dall’anno scorso si sarebbe dovuta attuare una razionalizzazione del personale che avrebbe dovuto portare a risparmiare quasi 10 milioni. Carlo Nordio ha definito quella dei suicidi in carcere «una malattia ineliminabile», ma come risponde la UILPA, “le malattie si curano”. Per farlo occorre agire alla radice della percezione comune sui detenuti, ma anche attuare un ripensamento che muova i suoi primi passi dagli aspetti concreti che rendono tanto difficile la vita dei carcerati: migliorare le strutture, aumentare il personale e soprattutto puntare sul processo rieducativo e formativo che dovrebbe essere il principio fondante di qualsiasi struttura penitenziaria, che più che ruotare attorno al concetto di punizione dovrebbe gravitare su quello di educazione.
Dario Lucisano
31/1/2024 https://www.lindipendente.online/
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