Un venerdì nero per Amazon

l S.I. Cobas nazionale ha deciso nei suoi organi di vertice di scendere in campo per il “black Friday” del prossimo 26 novembre, coordinandosi con oltre mille realtà sindacali in tutto il mondo (Germania, Francia, Stati Uniti, Giappone…) nell’ambito della campagna “make Amazon pay”.

«L’obiettivo dichiarato – spiega il coordinamento nazionale S.I. Cobas – è il modello di lavoro precario promosso dalla multinazionale Amazon e in via di estensione nel mercato del lavoro. L’iniziativa si tradurrà in scioperi e blocchi su tutti i siti Amazon in Italia, compreso quello di Piacenza. Lo sfruttamento diretto da Amazon crea un precedente per tutto il territorio italiano, ponendo le basi per la rovina di una intera generazione di lavoratori. Gli effetti nefasti non si fermano infatti ai magazzini Amazon o ai siti dove operano i corrieri di Assoespressi, loro partner nel trasporto merci, ma arrivano a influenzare negativamente tutti i posti di lavoro, che a quei modelli contrattuali si adeguano».

Il S.I. Cobas nazionale ha deciso nei suoi organi di vertice di scendere in campo per il “black Friday” del prossimo 26 novembre, coordinandosi con oltre mille realtà sindacali in tutto il mondo (Germania, Francia, Stati Uniti, Giappone…) nell’ambito della campagna “make Amazon pay”.

«Da marzo scorso, il S.I. Cobas ha stilato una piattaforma rivendicativa nazionale volta a tutelare tutti i facchini impiegati direttamente e tutti i corrieri operanti nelle numerose aziende federate ad Assoespressi, piattaforma nella quale si richiede l’adozione del corretto contratto nazionale, quello della logistica, che prevederebbe il rispetto dei sabati e delle domeniche a differenza di quello “commercio” attualmente in uso. Non solo: a fronte dell’estremo sacrificio dei lavoratori, si richiedono ticket mensa, premi di produzione, investimenti nella sicurezza e soprattutto la fine del ricorso smodato ai contratti precari, oggi ampiamente al di fuori del tetto massimo del 25% previsto dalla legge. Fondamentale anche la riduzione dei carichi di lavoro per i driver di Assoespressi e la riduzione di responsabilità in caso di danni e franchigie. Tutti queste rivendicazioni risultano ad oggi bloccate dal ruolo complice svolto dai sindacati confederali. In questi anni, essi hanno messo in campo blande azioni simboliche che non hanno ottenuto nessun risultato se non il loro riconoscimento da parte dell’azienda e il conseguente versamento di qualche quota sindacale».

«Non solo: ad ogni manifestazione davanti ad Amazon tenutasi nell’ultimo anno, è regolarmente seguita una recrudescenza ingiustificabile in termini repressivi: denunce, fogli di via, avvisi orali. Ciò rende ancora più grave la situazione di extra-legalità di Amazon. La richiesta del ritiro immediato di tutte queste misure a carico dei sindacalisti e dei lavoratori diviene quindi un punto della piattaforma. Che sia Amazon a pagare le scelte politiche repressive delle istituzioni italiane. Il 26 novembre, data tristemente nota come “black Friday”, sarà una data quindi dalla enorme valenza politica, a cui invitiamo tutti gli attivisti impegnati a vario titolo nella lotta per un mondo più umano e in cui lavorare non sia uno scambio con la dignità. Ci appelliamo a disoccupati, studenti, militanti, operatori sanitari già sfruttati in prima fila contro il Covid: il 26 novembre deve essere un segnale di unità che veda tutti uniti nel blocco di 24 ore alle attività di Amazon, blocco che mai arriverà altrimenti da parte dei sindacati che in tutti questi anni hanno recitato la parte per permettere che nulla cambiasse. Solo il blocco degli interessi padronali può impensierire i nuovi “padroni del vapore” e aprire uno spiraglio su un domani più degno di essere vissuto».

26 novembre: scioperi e proteste contro Amazon in almeno 20 paesi – Lauren Kaori Gurley

Riprendiamo qui di seguito due pezzi informativi sulle proteste e gli scioperi del prossimo “Black Friday” (26 novembre) contro Amazon, che si svolgeranno in almeno 20 paesi. Come si è visto lo scorso anno, e si tornerà a vedere anche questa volta, sono compresenti in questa giornata spinte e impostazioni tra loro divergentianzi: alternative, che vanno dall’impostazione istituzionale, sotto-riformista di UNI Global Union, il sindacato dei servizi aderente all’ITUF (International Trade Unions Confederation), a quella di classe, militante in Italia (SI Cobas), in Polonia (OZZ Inicjatywa Pracownicza Amazon) e in alcuni paesi asiaticicon la presenza in diversi paesi (a cominciare dalla Germania) di nuclei proletari combattivi dentro le stesse strutture istituzionali.

Su questa eterogeneità fa premio, secondo il nostro punto di vista, l’azione internazionale congiunta di protesta e di sciopero decine di migliaia di proletari attraverso il mondo, che è comunque un terreno favorevole al maturare di un sentimento internazionalista, di comunità di interessi e di destini dei lavoratori che sono sotto il comando dispotico di Amazon, ed anche al di là dei confini di Amazon.

Durante il Black Friday, un gruppo di sindacati e organizzazioni di base, conosciuto come Make Amazon Pay Coalition, organizzerà proteste e scioperi coordinati in almeno 20 paesi per chiedere ad Amazon di pagare ai lavoratori un salario dignitoso, rispettare il loro diritto di aderire ai sindacati, pagare la sua giusta quota di tasse e impegnarsi per la sostenibilità ambientale.

Le azioni pianificate includono: un massiccio sciopero dei corrieri di Amazon in Italia; un’interruzione del lavoro nei magazzini Amazon in Francia; dimostrazioni nel cantiere in costruzione dei nuovi uffici regionali di Amazon in Sud Africa; proteste dei lavoratori tessili in Bangladesh e Cambogia.

Negli Stati Uniti, l’Athena Coalition terrà azioni digitali e in presenza #MakeAmazonPay rivolte contro Whole Foods e Amazon, un’assemblea cittadina sul futuro dell’organizzazione dei lavoratori in California e un panel di lavoratori in Illinois sulle interruzioni della catena di approvvigionamento.

Le azioni del 26 novembre in tutto il mondo evidenzieranno la portata del ruolo di Amazon nell’economia globale.

La coalizione Make Amazon Pay è stata lanciata lo scorso anno con una giornata di proteste durante il Black Friday, quando ha presentato una serie di richieste comuni da parte di 50 organizzazioni per la giustizia sociale, tra cui Progressive International, Athena Coalition, GreenPeace, Our Revolution, Oxfam e Sunrise Movement.

Da allora, la coalizione si è allargata a più di 70 sindacati, organizzazioni di base, osservatori fiscali e gruppi ambientalisti. “Le azioni di quest’anno dovrebbero essere molto più grandi con scioperi e proteste pianificati in più città in almeno 20 paesi in ogni continente abitato della terra”, ha affermato un comunicato stampa per questo evento globale.

“La giornata mondiale di azione riunirà attivisti di diverse lotte – lavoro, ambiente, tasse, dati, privacy, anti-monopoli – mentre sindacalisti, attivisti della società civile e ambientalisti organizzeranno azioni congiunte”.

Per Amazon il Black Friday e il Cyber Monday segnano i maggiori eventi di vendita dell’anno. Ma per i magazzinieri e gli autisti delle consegne di Amazon, ciò significa maggiori carichi di lavoro, giornate lavorative più lunghe e un accresciuto rischio di lesioni. Tra il Black Friday e il Natale, gli infortuni dei magazzinieri aumentano, secondo un rapporto del 2019 del Reveal Center for Investigative Reporting.

Oltre ai paesi sopra elencati, le azioni del Black Friday si svolgeranno in Canada, Argentina, Messico, Brasile, Sud Africa, Regno Unito, Polonia, Germania, Slovacchia, Austria, Lussemburgo, Spagna, Irlanda, Turchia, Australia, Nuova Zelanda, Bangladesh, India e Cambogia.

“I lavoratori, i sostenitori e i delegati eletti che si sono riuniti per #MakeAmazonPay hanno catturato l’immaginazione del mondo e stanno cambiando il modo in cui la gente percepisce Amazon”, ha affermato Christy Hoffman, segretario generale di UNI Global Union.

“Nei giorni di azione globale come il Black Friday, stiamo vedendo come il movimento che spinge per cambiare le regole della nostra economia e sfidare il potere aziendale sta diventando più audace e più forte. La coalizione #MakeAmazonPay è guidata da UNI Global Union, una federazione sindacale globale, affiliata a 150 sindacati che rappresentano 20 milioni di lavoratori in tutto il mondo, e Progressive International, un’organizzazione internazionale che unisce gruppi di attivisti di sinistra.

“Dall’estrazione delle risorse naturali, alla produzione; dalla spedizione e conservazione dei prodotti in tutto il mondo alla consegna ai consumatori; dal controllo di quantità incalcolabili di dati e gestione all’influenza sui nostri governi: Amazon imbroglia i lavoratori, la gente e il pianeta”, ha affermato Casper Gelderblom, coordinatore di Make Amazon Pay presso Progressive International. “Amazon può essere ovunque, ma lo siamo anche noi”, ha continuato. “Ad ogni anello di questa catena di abusi, stiamo combattendo perché Amazon paghi. Il Black Friday del 26 novembre 2021, in tutto il mondo, lavoratori e attivisti si ribelleranno in scioperi, proteste e azioni per far pagare Amazon”.

VEDI ANCHE:

https://www.vice.com/en/article/epdvzp/amazon-workers-to-stage-coordinated-black-friday-protests-in-12-countries

https://www.vice.com/en/article/5dp3yn/amazon-leaked-reports-expose-spying-warehouse-workers-labor-union-environmental-groups-social-movements

https://www.vice.com/en/article/59n7e8/silicon-valley-owes-us-dollar100-billion-in-taxes-at-least

Germania – L’”ultimo chilometro” di Amazon, motore della precarizzazione del lavoro – Jorn Boewe

Traduciamo da https://alencontre.org/europe/allemagne/allemagne-le-dernier-kilometre-damazon-moteur-dune-precarisation-du-travail.html

Amazon sta riorganizzando la propria logistica. I diritti del lavoro e la dignità non giocano alcun ruolo. “Macchina, io sono una macchina”, dice l’autista del furgone bianco. “Dodici ore, ogni giorno, per quattro anni. Ma se non lavoro, non vengo pagato». Quest’uomo consegna pacchi per Amazon, il numero 1 al mondo delle vendite on line. Ogni mattina, fa la coda con il suo camion delle consegne di fronte al centro di distribuzione di Amazon a Francoforte sul Meno.

Ma in questa mattina di fine estate, inizio settembre 2021, qualcosa è diverso: un piccolo gruppo di sindacalisti sta distribuendo volantini in diverse lingue agli autisti. Iniziano subito una conversazione. Le storie sono simili: gli autisti raccontano giornate di dieci o dodici ore, la pressione sul lavoro, i turni giornalieri con 250 consegne. Alla fine del mese ricevono dai 1000 ai 1200 euro, spesso in ritardo. A volte ci sono delle detrazioni, ad esempio per uno specchietto rotto o per qualche graffio sul veicolo.

Uno sguardo più attento rivela che molte di queste misure violano il diritto del lavoro tedesco. Ma: “dove non c’è denunciante, non c’è giudice”. I conducenti spesso non conoscono i loro diritti. Molti provengono dall’Europa dell’Est, alcuni dal Medio Oriente. Per sopravvivere, dipendono da questo lavoro. Il coraggio di affrontare il loro “datore di lavoro” è difficile da trovare.

L’azione a Francoforte è stata organizzata dal sindacato del settore dei servizi Verdi e dalla rete di aiuti DGB (Deutscher Gewerkschaftsbund) “Faire Mobilität”. Circa 100 persone in piccoli team distribuiscono materiale informativo a più di 8.000 conducenti che viaggiano per Amazon per effettuare “l’ultimo miglio” [1] o consegne di pacchi per il trasporto a mezzo camion. Tuttavia, nessuno di loro è impiegato da Amazon. Fin dall’inizio, l’azienda ha esternalizzato il suo rischio imprenditoriale di consegna a una rete di piccoli appaltatori che competono tra loro e trasferiscono la pressione sui loro lavoratori.

Il proprio aeroporto ad Halle

In Germania, Amazon gestisce 14 grandi magazzini di spedizione tra Amburgo e Monaco di Baviera. In molti di loro ci sono scioperi da anni. Ma oltre alle vendite per corrispondenza, l’azienda sta sviluppando anche altre aree strategiche. Una di questi è la logistica. Amazon è passata alla spedizione di container e gestisce la propria compagnia aerea merci, che oramai si trova al quarto posto [Amazon ha acquistato aerei da Delta Airlines, da WestJet; Amazon Air annuncia l’obiettivo di 200 aerei entro sei-sette anni]. Nell’autunno 2020, la compagnia ha inaugurato la propria piattaforma per il trasporto aereo di merci all’aeroporto di Halle-Lipsia. Nel bel mezzo della crisi del coronavirus, che non è stata certo una crisi per Amazon, è avvenuto il più grande boom di sempre per l’azienda.

La parte più critica della filiera è l’ “ultimo miglio”. È quando il pacco arriva al cliente finale che le cose possono andare storte. I veicoli per le consegne sono bloccati nel traffico o non trovano parcheggio, i destinatari non sono in casa, gli indirizzi non sono chiari, i corrieri devono recarsi alla porta d’ingresso al quinto piano del secondo edificio situato in seconda fila o passare davanti a cani aggressivi. E, cosa più importante ancora per Amazon, il 50% dei costi è sostenuto nell’ultimo miglio.

Non sorprende che Amazon abbia cercato di prendere il controllo dell’”ultimo miglio” per circa cinque anni. Con la sua divisione Amazon Logistics, l’azienda sta creando un proprio servizio di consegna ed è sempre più indipendente da aziende come Deutsche Post DHL e Hermes Logistik Gruppe Deutschland. Questo è un altro fattore di precarietà in un settore già sottoposto a un’enorme pressione competitiva. “Delivery Service Partners” (DSP) è il nome della rete di subappaltatori creata appositamente da Amazon. Inoltre, questi ultimi stanno sperimentando un modello occupazionale basato su una piattaforma, come Uber o altre aziende della gig economy: i “corrieri indipendenti” possono registrarsi tramite l’applicazione “Amazon Flex” e consegnare i pacchi con la propria auto. In cambio, ricevono 25 euro all’ora, con i quali devono pagare non solo le spese mediche, ma anche le spese di funzionamento e la previdenza sociale.

L’onere principale dell’attività di consegna grava però sulle “DSP”, piccole aziende da cinque a dieci fino a 25 automezzi, che ogni mattina si allineano davanti ai centri di distribuzione delle merci insieme agli autisti di altre aziende più o meno della stessa dimensione. Amazon ha creato circa 50 centri di distribuzione regionali in Germania. È qui che vengono pianificati i giri di consegna e i pacchi vengono caricati sui camion di consegna. Amazon non ha inventato il sistema di outsourcing nella consegna dei pacchi – lo usano anche Hermes, DPD (del gruppo francese La Poste), GLS (General Logistics Systems, olandese); e questo è sempre più il caso di DHL. Ma in modo molto più coerente di qualsiasi altro concorrente, Amazon combina i vantaggi aziendali di questo outsourcing con il monitoraggio digitale, il controllo tramite algoritmi e l’intelligenza artificiale (IA).

Tina Morgenroth del Centro di consulenza della Turingia “Faire Mobilität” ha esaminato come esempio il centro di distribuzione aperto a Erfurt-Stotternheim alla fine del 2019. Non perché si stesse scagliando contro Amazon, ma perché sempre più lavoratori dei subappaltatori di Amazon si presentavano al suo centro di consulenza con problemi – ora circa 150 hanno chiesto un supporto. Sottolineano condizioni di lavoro che non dovrebbero esistere ai sensi del diritto del lavoro vigente. Turni da dieci a dodici ore, sei giorni alla settimana, nessuna indennità di malattia, salari al di sotto del salario minimo legale, pressione sul lavoro che impedisce le pause obbligatorie per legge. Nondimeno i tempi di pausa vengono automaticamente sottratti: l’IA ti invia i suoi “saluti”.

I controlli effettuati dalle competenti autorità per la tutela del lavoro non hanno finora rappresentato una seria minaccia per Amazon. È difficile imputare [legalmente] alla società Amazon la responsabilità delle condizioni di lavoro dei suoi subappaltatori. Inoltre, i subappaltatori sono spesso difficili da sottoporre a procedura. Ad esempio, a metà luglio, l’autorità per la protezione del lavoro della Turingia ha riscontrato violazioni presso 21 appaltatori di pacchi Amazon. Tuttavia, poiché 20 di queste società hanno la loro sede al di fuori della Turingia, non sono legalmente responsabili. La salute e la sicurezza sul lavoro sono di competenza dei Länder. Tuttavia, il problema – il sistema Amazon – è globale!

(Articolo pubblicato dal settimanale Der Freitag, il 4 ottobre 2021)

Jörn Boewe, in collaborazione con Tina Morgenroth e Johannes Schulten, ha appena pubblicato, per la Fondazione Rosa Luxemburg e DGB Bildungswerk Thüringen, la brochure Amazons letzte Meile. Ein Onlinehändler als Prekarisierungstreiber in der Paketlogistik (L’ultimo miglio di Amazon. Un venditore online come fattore di insicurezza nella logistica dei pacchi).

NOTE

[1] Secondo Annexx Business Service, “la questione dell’ultimo miglio è cruciale per un colosso del web che cerca di ridurre i propri costi logistici (dalla gestione dei flussi logistici dai distributori alla logistica distributiva al cliente finale) per rimanere il più competitivo possibile nelle attività di consegna. Le cifre riflettono la portata delle sfide commerciali e logistiche: la consegna dell’ultimo miglio rappresenta quasi un quarto dei costi logistici. E nel 2020 le merci locali rappresentano circa il 20% del traffico urbano!”. Jeff Bezos ha annunciato piani di incentivi per creare start-up in outsourcing per consegnare pacchetti Amazon all’ultimo miglio.

22/11/2021 https://pungolorosso.wordpress.com

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