Un virus di classe: anziani, disabili e altri dimenticati
Anziani e altre disabilità Un rapporto del Cergas (Università Bocconi) ci dice che nel 2016 i posti letti nelle Residenze sanitarie assistitenziali (Rsa) erano 193.363 (Cergas, 2019).
Dati Istat documentano 288.000 anziani assistiti, di cui il 73% non autosufficienti. Secondo Istat, dei 383.000 posti letto disponibili il 70% è gestito da enti privati (Istat, 2018).
Nel 2015 il Ministero della Salute censiva 29.733 persone in strutture residenziali psichiatriche. Dati meno precisi sono quelli disponibili per la popolazione di persone con gravi disabilità intellettuali residenti in istituzioni private.
In sostanza, pur con molta approssimazione, possiamo dire che cinque anni fa c’erano fra i 250.000 e i 300.000 cittadini italiani che, a titolo diverso (anziani, disabili intellettuali, malati mentali), non vivevano a casa propria ma in istituzioni più o meno medicalizzate, più o meno assistite, più o meno protette. Se è vero che con la legge 180 furono chiusi gli ospedali psichiatrici, è anche vero che a tutt’oggi le istituzioni contentive rappresentano una significativa risposta ai bisogni di popo-lazioni non autosufficienti o portatrici di qualche tipo di disabilità mentale e intellettuale. Questa risposta istituzionale rappresenta la prevalente offerta di «long term care» per anziani e disabili nel nostro Paese.
È noto e ormai dimostrato che gli anziani ospiti delle Rsa sono stati il gruppo popolazionale più colpito dalla pandemia con il 25% del totale dei decessi per Coronavirus.
Secondo l’Oms il 50% delle vittime di Covid-19 si trovava nelle case di cura e nelle strutture di degenza a lungo termine. «Secondo le stime nei Paesi della regione europea, la metà di coloro che sono morti per Covid-19 era residente in strutture di assistenza a lungo termine», afferma il direttore dell’ufficio europeo dell’Oms (Oms Europa, 2020).
Dunque, i residenti delle Rsa sono stati esposti a una vera e propria carneficina (uso di proposito questo termine anche in riferimento all’alto numero di contagi e morti evitabili, se in quelle residenze si fosse intervenuto con più responsabilità, competenza e meno disprezzo per le persone la cui vita spesso è ritenuta di minore valore).
Gli anziani nelle residenze assistite così come le persone con disabilità intellettuale nelle istituzioni (generalmente private) che li ospitano e i pazienti psichiatrici istituzionalizzati nelle strutture residenziali, tutti insieme, costituiscono un’eterogenea popolazione accomunata però dalla costrizione istituzionale e dalla mancata offerta di alternative.
Non si vuole analizzare una popolazione tanto diversa come se essa fosse omogenea ma due fattori tuttavia la rendono parzialmente tale:
- una classe sociale certamente non benestante, perché altrimenti utilizzerebbe le più costose residenze private, ma, nel caso degli anziani, neppure decisamente povera, perché non potrebbe affrontare neanche le attuali rette contenute e parzialmente sovvenzionate.
- un profilo psicosociale omogeneo, perché rapidamente omologato dalla dimensione istituzionale che accomuna le Rsa a tutte le altre istituzioni contentive.
Dunque si tratta di una popolazione che può essere inclusa nella pur generica definizione di «persone con disabilità» utilizzata dalle Nazioni unite nella Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (Onu, 2006). È superfluo ricordare che questa convenzione è stata firmata e ratificata nel 2009 dall’Italia e ha dunque valore di legge.
Allora c’è da chiedersi: se siano state adottate tutte «le misure necessarie per garantire la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio»
Benedetto Saraceno
…leggi l’articolo integrale su RPS
Articolo pubblicato nel n. 4 2020 de La Rivista delle Politiche Sociali
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