Una brutta giostra di interessi e miserie politiche
La storia del reddito di cittadinanza è una cartina di tornasole utile a mettere in luce accanimenti ideologici, interessi contrastanti e miserie politiche. Contro il più elementare principio di razionalità questo strumento viene messo sotto accusa proprio quando si rivela più indispensabile e cioè nel pieno di una pandemia e di una crisi economica destinate a ridurre a lungo le già scarse occasioni di lavoro offerte dal mercato.
Si pretende insomma di condizionare sempre più strettamente l’erogazione di questo reddito alla disponibilità ad accettare un lavoro che non c’è e che quando ci fosse si darebbe nelle condizioni più degradate, miserabili e umilianti che si possano immaginare.
Del resto è proprio l’intermittenza, la precarietà, la discontinuità che caratterizzano gli attuali rapporti produttivi (aggravati dalla crisi pandemica) a richiedere un dispositivo che garantisca in qualche misura una continuità di reddito. L’ostilità di Confindustria nei confronti del reddito di base ha un motivo evidente e decisivo. Non solo e non tanto quello di accaparrarsi il grosso delle risorse di provenienza europea quanto quello di conservare un forte potere di ricatto sulla forza lavoro.
Di non trovarsi insomma tra i piedi un welfare che consenta di rifiutare occupazione precaria, malpagata e spremuta fino all’osso. In poche parole di proteggersi dalle condizioni imposte dai “datori di lavoro”. L’impostazione fortemente minimalista e condizionata che il Movimento 5stelle ha voluto dare al reddito di cittadinanza, anziché proteggerlo dalle critiche agevola in ogni modo il suo affossamento e la base ideologica che lo sottende.
Da quando la legge è diventata operativa è accaduto
quello che ci si poteva attendere: pochissimi beneficiari del reddito
sono transitati verso qualche forma di occupazione e ancor meno di
“buona occupazione”. Per la semplice ragione che il sistema produttivo
non lo prevedeva, né lo prevederà una volta adeguatamente ingrassato con
i soldi europei.
I “moralisti” che dall’alto dei Consigli di
amministrazione tuonano contro il “paese dei sussidi” sono i primi a
pretendere di essere i principali se non gli unici “sussidiati”.
Beninteso con il minimo di condizionalità perché, si sa, la libera
impresa appartiene alla sfera del sacro.
Se i beneficiari del reddito di cittadinanza dovranno accettare
volenti o nolenti basse retribuzioni, gli imprenditori non saranno certo
costretti ad accettare bassi profitti a fronte dei finanziamenti che
riceverebbero proteggendosi da ogni rischio.
A questa logica il
governo ha tutta l’aria di volersi inchinare con la sola preoccupazione
di accontentare il maggior numero possibile di corporazioni, a partire
dalle più potenti. Il che spiega la difficoltà di presentare un piano
sensato e coerente alle istituzioni europee .
Cosa risponde il Movimento 5stelle a questo attacco contro la sua misura bandiera, che trova credito anche presso il Presidente del consiglio? Stabilendo l’obbligo dei “sussidiati” di mettersi a disposizione dei comuni per lavori di pubblica utilità. Si riesuma così la lunga storia di fallimenti, abusi e pure e semplici finzioni che ebbe come protagonisti i cosiddetti “lavori socialmente utili” e i fantasmatici “corsi di formazione”. Quando non si tratti di attività insensate e dispendiose mirate più a certificare l’adesione all’etica del lavoro dei loro esecutori che non a conseguire qualche risultato apprezzabile, queste forme di lavoro coatto determinano una sostituzione di lavoro stabile e adeguatamente retribuito con lavoro precario e malpagato se non del tutto gratuito.
Insomma, cambiano i soggetti, ma il dispositivo del ricatto e del risparmio resta pienamente operativo.
Ad
alimentare il clima “revisionista” interviene poi l’enfatizzazione di
alcuni fatti di cronaca. Si vanno scoprendo malviventi di vario calibro e
natura che percepiscono il reddito di cittadinanza. Quest’ultimo non
dovrebbe tuttavia rappresentare (come in parte lo vuole l’ideologia
pentastellata) la retribuzione di una vita virtuosa che lo trasforma da
misura di sostegno economico in strumento di controllo sociale. Ai
tribunali il loro lavoro, all’Inps il suo. A meno che l’attività
criminale non abbia procacciato al beneficiario del reddito una
situazione patrimoniale tale da escludere la sua titolarità a riceverlo.
Ma c’è da dire che converrebbe, in questo caso, sequestrare le ricchezze illecitamente acquisite piuttosto che sospendere l’erogazione del “sussidio”. Sono paradossi, certo, ma utili a mettere in luce come l’impostazione moralista, pesantemente condizionata, e in fin dei conti ricattatoria, che i 5stelle hanno conferito al reddito di cittadinanza ne renda inevitabile l’implosione poiché già contiene tutte le ragioni dei suoi più accaniti avversari.
Marco Bascetta
1/10/2020 http://www.euronomade.info
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