Una fiction di omicidi premeditati
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Se è vero che il bisogno aguzza l’ingegno perchè nessun organismo sindacale e associativo ha pensato a proporre forme nuove e incisive per denunciare l’assuefazione di massa sui morti sul lavoro, prodotta anche dall’assenza di provvedimenti istituzionali imponitivi nei confronti dei responsabili datoriali?
Ci sono bande datoriali con un modus operandi noto ma impunite. Perchè nessun regista di fiction lavora su storie di infortuni, morti e malattie professionali sul lavoro? Certo, la trama richiederebbe un impegno più accurato di quello profuso nella prolifarazione dei fiction su commissari e questori di polizia, spesso stucchevoli e con una sceneggiatura autocelebrativa dentro un abito troppo ben fatto per descrivere una società sempre più povera e maginalizzata che vive ben altri disagi sociali ai quali le istituzioni politiche e di polizia rispondono con la forza che sempre più spesso non viene usata contro i crimini veri.
Le storie di vita sui luoghi di lavoro raccontate su Lavoro e Salute dall’esperto della prevenzione Renato Turturro sarebbero già una fonte di ispirazione per degli sceneggiatori impegnati. Ce ne sono, li cito perchè in tante fiction – ad esempio Il commissario Montalbano, il procuratore Imma Tataranni, quelle con Beppe Fiorello, e altre su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sulla figura di Felicia impastato – hanno dato prova di sensibilità sociale con risvolti, seppur poco approfonditi, di critica alle pratiche del sistema politico e delle sue articolazioni operanti nelle tensioni sociali, come al G8 di Genova 2001.
Sceneggiare il quotidiano delle lavoratrici e dei lavoratori l’abbiamo già fatto con una serie di tavole a fumetti – a cura dell’artista Piero Gilardi – nel giornale di fabbrica “Compagni” che abbiamo pubblicato dal 1976 al 1984. Tavole che raccontavamo alcuni frammenti delle condizioni di lavoro che spesso portavano a infortuni e morti, per non parlare delle malattie professionali che dopo anni riguardavano almeno un terzo della forza lavoro, ma anche di vita familiare che subiva ricadute pesanti causa stanchezza, salari comunque mai adeguati nonostante le lotte vincenti e relativi tempi di vita collettiva ridotti al lumicino.
Questo è stato il retroterra di oggi, con le lotte e le leggi di ieri che non hanno da tempo più inciso nel quadro politico e nell’azione sindacale nel mondo del lavoro. Le conseguenze stanno nei dati INAIL: abbiamo 600.000 infortuni all’anno e 1400 morti. Veri e propri omicidi premeditati, e impuniti.
Non bisogna mai dimenticare che questi sono numeri sono registrati per difetto in quanto derivati da statistiche ufficiali che non considerano tutti quei lavoratori non iscritti all’INAIL e quelli che muoiono per le malattie professionali, spesso non indagate e quindi non certificate come tali.
E bisogna anche aggiungere quelle migliaia di vittime all’anno non denunciate nel lavoro in nero.
Allora ci sono o no le condizioni per raccontarle nella forma cinematografica? Attrici e attori ce ne sono e basterebbe qualche giorno di frequentazioni delle mogli, dei figli, dei genitori, dei RLS, dei colleghi, delle vittime più note per interpretarne i percorsi di vita.
Questa tragedia quotidiana si presta più di tante altre storie ad essere raccontate con le immagini di una strage che non dipende dal destino cinico e baro, come in una commedia sentimentale, ma da uno sistema produttivo che mette in conto oltre 3 morti al giorno, con spudorate responsabilità imprenditoriali e governative simili a tante figure potenti che vediamo indagate nella trama delle fiction, con metodi di indagine tecnologica e scientifica per la ricerca delle responsabilità degli imprenditori che provano sempre a costruire altre piste per cercare di far cadere le colpe sulle vittime.
Perchè valorizzo lo strumento comunicativo della narrazione nelle fiction per aumentare fortemente la denuncia delle strage quotidiana sul lavoro? Perchè in Europa quelle prodotte in Italia sono un pò meno ossequiose verso il sistema, questa sensibilità quindi è utile in un’Italia con il record europeo di omicidi sul lavoro in rapporto al numero degli occupati, stabili e precari, per ricostruire un immaginario comune nei cittadini spettatori.
Basterà questo per costruire indignazione attiva? Certamente no, ma le immagini saranno più efficace di mille articoli di denuncia e costruiranno un romanzo di vita reale di persone ora espulse dalla narrazione televisiva.
Franco Cilenti
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