L’ipocrisia bipartisan. Una partita che non si sarebbe dovuta giocare

La prima reazione è stata quella di scherzarci su. Perché, a ben vedere, non può non far ridere l’idea di gente che se ne dice di cotte e di crude in parlamento e che improvvisamente è costretta a far squadra per vincere una partita di pallone. Viene da chiedersi se non sia più sensata – e nell’interesse collettivo – una sana collaborazione a Montecitorio e una più accesa rivalità sul campo sportivo. Certo, era per una buona causa: i proventi della Partita del Cuore di martedì scorso tra Nazionale Cantanti e Nazionale Politici sono stati destinati all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e all’Ospedale San Salvatore dell’Aquila. Ma al di là di questo, qualche dubbio sul fare giocare una sfida per beneficienza a dei politici che passano il resto del tempo a odiarsi e insultarsi – e che, almeno in parte, avrebbero il potere di agire concretamente sulla Sanità – qualche dubbio sull’iniziativa dovrebbe lasciarlo.

Partiamo dal contesto generale. La Nazionale Politici, a volte indicata anche come Nazionale Parlamentari, fa parte di una serie di squadre di “vip” che hanno iniziato a formarsi decenni fa, a partire dalla Nazionale dello Spettacolo. Le prime uscite di queste rappresentative alternative erano dovute al necessario sfogo della passione calcistica comune anche a tanti italiani famosi, ma si è presto capito che potevano diventare occasioni per usare lo sport per qualcosa di più del mero divertimento personale. Cantanti, attori, giornalisti e altri ancora hanno iniziato a sfidarsi in incontri ufficiali per raccogliere fondi per la beneficenza, e con l’inizio degli anni Novanta è stata finalmente istituita la Partita del Cuore. Questa iniziativa è assolutamente meritoria, e gliene va dato atto. Però ha un senso nel momento in cui chi vi partecipa non ha veramente altro modo di contribuire in maniera determinante a cause benefiche che non sia giocare a calcio. Cantanti famosi che organizzano una partita e portano tanta gente allo stadio, la quale paga un biglietto contribuendo alla raccolta fondi, stanno facendo effettivamente un’opera di bene nel limite delle proprie possibilità.

Quando della partita sono però anche i politici, il discorso cambia. Martedì sera, sul campo dell’Aquila, c’erano persone che, se volessero, potrebbero effettivamente destinare grosse somme di denaro (nell’ordine dei miliardi di euro, per capirci) per potenziare non solo due ospedali del Centro Italia, ma quelli di tutto il paese. La scorsa primavera, governo e opposizioni hanno battibeccato sul taglio dei fondi alla Sanità previsti nel Pnrr: secondo la maggioranza non c’è stato alcun taglio, secondo PD e M5S sì (potete approfondire la questione su Pagella Politica, per capire come stanno davvero le cose). Un rapporto dell’AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata) segnala che le liste d’attesa nella sanità pubblica sono talmente lunghe che ormai il 51% degli italiani si rivolge direttamente al privato, ma esiste un 42% della popolazione che rischia di essere escluso dalle cure per ragioni economiche. Questo perché nel nostro paese le spese per la sanità privata sono più alte del 30% rispetto alla media della UE. Il diritto alla salute, in Italia, sta diventando sempre più esclusivo e vincolato al censo.

È ovvio che questa è una situazione che nessuno pensa di risolvere con un evento benefico e un pallone, ma ciò che è in gioco, in questo caso, ha un valore molto più simbolico. Tra i politici scesi in campo martedì scorso contro gli incolpevoli cantanti, c’erano il presidente della Camera Lorenzo Fontana, il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il presidente del Senato Ignazio La Russa (in qualità di allenatore), la senatrice Licia Ronzulli: esponenti, anche piuttosto importanti, della maggioranza di governo che nei mesi scorsi è stata accusata per i tagli alla Sanità. Ma il depotenziamento del SSN è una problema che precorre la salita del governo Meloni: dal 2010 a oggi è stata stimata una riduzione dei fondi pari a 37 miliardi di euro, in maniera politicamente trasversale. Riduzione a cui hanno partecipato anche Matteo Renzi, Presidente del Consiglio tra il febbraio 2014 e il dicembre 2016, e Giuseppe Conte, che ha rivestito la stessa carica tra il giugno 2018 e il febbraio 2021, pure loro tra i protagonisti della Partita del Cuore.

Uno che poteva avere in casa il busto di Roberto Boninsegna, tra i protagonisti di Italia-Germania 4-3, ma ha preferito quello di un altro italiano con un rapporto molto differente coi tedeschi.

Nessuno vuole negare la possibilità di giocare a calcio e divertirsi tra colleghi, però è anche vero che quello del politico è un mestiere un po’ diverso dagli altri, specialmente di questi tempi. Tra i politici non c’è rivalità, come ci può essere tra due cantanti di successo che si contendono lo stesso pubblico; c’è contrapposizione. E oggi questa contrapposizione è più che mai forte, vista la radicalizzazione dei temi: può Elly Schlein, che sostiene i diritti LGBTQ+ e giustamente partecipa al Pride, permettersi di giocare a pallone tranquillamente con Lorenzo Fontana, secondo cui i matrimoni gay e la teoria gender “mirano a cancellare la nostra comunità e le nostre tradizioni”? Si può denunciare il pericolo neofascista rappresentato dall’attuale governo e poi andare a divertirsi con alcuni dei suoi più discutibili esponenti, facendosi addirittura dare indicazioni in campo da una persona che rivendica orgogliosamente di avere un busto del Duce in casa o che fa del bieco revisionismo su Via Rasella?

La risposta sta chiaramente alla coscienza di ognuna delle persone scese in campo martedì, anche perché banalmente ne va della loro credibilità nel mestiere a cui hanno deciso di dedicarsi. E non si vuole fingere che la scelta di sottrarsi alla partita fosse semplice: trattandosi di un evento benefico, fare un passo indietro per ragioni politiche, per quanto condivisibili, ti espone a critiche moralistiche. Si possono già sentire le repliche giungere da quell’universo parallelo: “Qui giochiamo per raccogliere fondi per i bambini malati, e tu dici di no perché sei accecato dall’odio politico!” Forse, a livello d’immagine, era più dannoso non partecipare, e noi che la pensiamo diversamente siamo una ristretta minoranza di persone ossessionate da cavilli e questioni di puntiglio. Però non si può non fare un paragone con quanto avvenuto di recente al parlamento francese, dove numerosi deputati si sono rifiutati di stringere la mano, come da prassi, a Flavien Termet del Rassemblement National, che aveva ricevuto l’incarico di accogliere i nuovi eletti all’Assemblea Nazionale in quanto deputato più giovane dell’aula. E una stretta di mano è un atto molto più formale e molto meno impegnativo di una partita di calcio.

La questione dell’immagine pubblica è però probabilmente centrale in quello che è accaduto con la Partita del Cuore. Si è trattato di un grande evento, che si è svolto davanti a oltre 6.700 spettatori e che è stato poi ritrasmesso la sera dopo in televisione: per farla breve, si è trattato di una grande occasione per farsi vedere dai potenziali elettori. Non è un caso che, in un momento in cui la Rai è sotto accusa per essere divenuta uno strumento di propaganda imparziale in favore del governo, alla Partita del Cuore (andata in onda su Rai 1) abbiano sentito il bisogno di partecipare i principali leader dell’opposizione. L’abbraccio in campo tra Renzi e Schlein è stato propedeutico, come si è visto, ai tentativi di avvicinamento politico del primo alla seconda. La partita sembra non essere stata altro che un teatrino per dare ulteriore visibilità a personaggi il cui lavoro pare consistere sempre più spesso nel farsi vedere dalla gente. Una politica sempre più priva di contenuti veicolabili, i cui protagonisti sono personaggi del mondo dello spettacolo, influencer. E infatti si confrontano da pari a pari con cantanti e attori, fin dal 1996.

A ciò si aggiunge il fatto che un evento come quest’ultima Partita del Cuore è essenzialmente possibile e legittimo solo considerando che calcio e politica siano due cose separate. Nel momento in cui si mette piede in campo, i conflitti ideologici del mondo reale restano bloccati fuori dai cancelli, e il rettangolo verde viene calcato solamente da individui absoluti (nell’etimologia originale: liberi da vincoli). Eppure il calcio non fa che ribadirci – agli ultimi Europei in Germania, tanto per fare un esempio recente – che sport e politica sono tutt’altro che separati e inconciliabili. Anzi, poche altre cose al mondo hanno la capacità dello sport di semplificare, universalizzare e veicolare messaggi politici. Pretendere che non sia così è frutto di cecità cognitiva, quando va bene, o di una precisa operazione di comodo delle persone coinvolte (su tutte, ovviamente, le grandi istituzioni del pallone come FIFA, UEFA e CONMEBOL). Vista da quest’ottica, la performance della Nazionale Politici sembra ancora più grottesca e fuori dal mondo.

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Valerio Moggia

21/7/2024 https://pallonateinfaccia.com/

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