Un’alta marea di asfalto. Con il Passante, Bologna avanguardia dell’ingiustizia climatica
INDICE
0. Introduzione
1. Due aggressioni emblematiche
2. Reti arancione, comincia l’invasione
3. Arboricidio (la somma non fa il totale)
4. Offensiva d’asfalto
5. La «guerra alle emissioni» non avrà luogo
6. Medaglia di platino al valore
7. No Passante Trek – Parte seconda
«Ogni albero ha il suo nemico, pochi hanno un avvocato.»
J.R.R. Tolkien
Nei primi mesi di quest’anno, Bologna e l’Emilia-Romagna sono state spesso sulle prime pagine dei quotidiani nazionali, per via del duello tra il presidente della Regione Stefano Bonaccini e la vicepresidente Elly Schlein. In gioco, la carica di segretario del Partito Democratico. Molto inchiostro s’è versato per rimarcare le differenze tra i due, e la vittoria della candidata più giovane ha rinfocolato le speranze in una svolta ambientalista del PD.
Come abbiamo già scritto altre volte, si tratta di una fiducia mal riposta.
L’Emilia-Romagna e il suo capoluogo sono terra di industrie e di interessi economici che marciano compatti in direzione opposta rispetto alla tutela degli ecosistemi, alla riduzione del riscaldamento globale, al tentativo di fermare lo stravolgimento del clima.
Si va dalla Motor valley di Lamborghini, Ferrari, Maserati e Ducati alla Packaging valley degli imballaggi di plastica (centinaia di aziende tra Bologna e Reggio Emilia), fino alle innumerevoli death valley degli allevamenti concentrazionari di polli, vacche e maiali.
Il PIL della Regione dipende dagli hub della logistica che divorano suolo da Piacenza a Rimini, dalle cooperative di muratori trasformate in enormi finanziarie del cemento, dalla grande distribuzione di Coop Adriatica, dall’agritortura intensiva del piano padano, dal turismo insostenibile della Riviera e da quello energivoro dello sci d’Appennino.
La classe dirigente emiliano-romagnola viene selezionata per difendere quest’economia. Possono cambiare le retoriche, possono colorarsi di verde le parole, ma non si vedono eccezioni alla regola, comprese le nuove leve, i pesci piccoli, i «civici» coalizzati con la maggioranza, gli antagonisti convertiti al leporismo.
1. Due aggressioni emblematiche
Oggi Bologna è una città all’avanguardia dell’ingiustizia climatica, in particolare con due progetti che non esitiamo a definire criminali: l’allargamento dell’A14/Tangenziale – meglio noto come «il Passante» – e l’incubo ventennale del «più grande comprensorio sciistico del Mediterraneo». Entrambi, al netto di qualche frase o gesto senza conseguenze, procedono nel loro cammino con il benestare delle forze politiche che governano la Regione, la Città Metropolitana e il Comune.
Abbiamo scritto molto intorno a queste due opere, fin dai loro primi vagiti. Non solo perché colpiscono il territorio in cui viviamo, ma anche per la loro carica simbolica: in tutt’Italia è difficile trovare due esempi più spudorati della protervia del capitalismo fossile.
«Largo alle automobili!», gridano i fautori del Passante di Bologna, sostenendo la necessità di espandere fino a diciotto corsie un arco d’asfalto che passa tra caseggiati e campi di granturco, parchi e centri sportivi, scuole dell’infanzia e terreni selvatici.
«Largo allo sci senza neve!», strillano i paladini della nuova seggiovia sul Corno alle Scale, tacendo il fatto che quell’impianto è il primo passo di un’aggressione in stile Godzilla al crinale appenninico tra l’Abetone e il Reno, dove si trovano due parchi regionali e cinque siti della rete Natura 2000.
Due slogan che riecheggiano in tutta la Penisola, ma che a Bologna acquistano un tono più sinistro. L’A14/Tangenziale è un autostrada cittadina, a dieci minuti di bicicletta dalle Due Torri, accanto alle case di migliaia di persone. Se si accetta l’idea che la si possa allargare ancora, dove mai riusciremo a contrastare il culto del trasporto privato, dell’inquinamento, delle malattie cardiovascolari, degli alberi abbattuti, del consumo di terra, delle emissioni che alterano il clima?
Le piste da sci dell’Abetone, della Doganaccia e del Corno alle Scale, che si vorrebbero aggregare in un unico comprensorio, costruendo almeno tre nuovi impianti a fune, si trovano tutte sotto i 2000 metri d’altezza. Nonostante la neve artificiale e i contributi pubblici sopravvivono a fatica, riuscendo a malapena a rendere sciabile quel che già c’è. Se accettiamo che s’investano milioni di euro per ampliare queste stazioni fallimentari, come possiamo fermare la monocultura dello sci da discesa in altri territori?
Non a caso, il 22 ottobre scorso, Bologna ha visto convergere sulla Tangenziale almeno ventimila paia di gambe, arrivate da tutt’Italia, insieme al collettivo di fabbrica della GKN. Una manifestazione che nel progetto del Passante ha riconosciuto il simbolo di un mondo rovesciato, dove il profitto di pochi è più importante della salute di tutti gli esseri viventi.
Non a caso, il 23 febbraio, a Porretta Terme, sotto il Corno alle Scale, si sono riuniti comitati e associazioni di Marche, Lazio, Lombardia ed Emilia-Romagna per un’assemblea dal titolo: «In montagna non nevica più ma piovono soldi e impianti: a vantaggio di chi?»
Purtroppo, da allora, la situazione non ha fatto che peggiorare.
2. Reti arancione, comincia l’invasione
I primi cantieri del Passante, quelli «propedeutici», hanno srotolato le reti arancione nel solito clima di informazione parziale, di menzogne e di negligenza.
I quotidiani locali, ricalcando i comunicati stampa del Comune, hanno annunciato l’inizio dei lavori per il campo base in un’area «utilizzata d’estate come parcheggio».
Solo che il terreno in questione non veniva usato in quel modo da svariati anni, ed era diventato un prato di dieci ettari, con arbusti fitti, giovani pioppi, noci e robinie, all’interno di una più vasta distesa verde di oltre ventinove ettari di superficie.
Per dare un termine di paragone, uno dei parchi urbani più grandi della città, i giardini Margherita, si estende per ventisei ettari. O ancora: ventinove ettari misura il bosco urbano dei Prati di Caprara Est, strappato con le unghie a chi lo voleva cementificare mentre adesso si fa bello per averlo tutelato.
Ed è un bosco urbano anche quello che cresce lungo il torrente Savena abbandonato e attraverso il quale passeranno i mezzi diretti al campo base (almeno stando alle mappe del progetto definitivo, perché quello esecutivo è ancora in fase di sviluppo).
Un’altra fascia di alberi, lunga trecento metri, sorgeva tra il cantiere e la tangenziale, ma li hanno estirpati uno a uno, in poche ore, come peli superflui da un sopracciglio.
Tutto questo senza remore né proteste, perché a differenza dei giardini Margherita e dei Prati di Caprara, il bosco di via Zambeccari si trova in estrema periferia, oltre il distretto fieristico, in una zona della città dove il paesaggio rinselvatichito non ha valore in sé, non fa vincere premi o menzioni speciali, e si può valorizzare solo distruggendolo.
https://player.vimeo.com/video/816866202?h=0e68e7d9dd&badge=0&autopause=0&player_id=0&app_id=58479Domanda 1: sradicare alberi in questo modo il 21 marzo non è contrario alle regole che vietano le potature nel periodo di nidificazione degli uccelli?
Domanda 2: sradicare alberi in questo modo, accanto alla Tangenziale su cui passano automobili e camion, non è pericoloso?
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Dopo l’annuncio coram populo del cantiere primigenio, a metà febbraio ne sono spuntati altri, all’insaputa di chi ci vive accanto. Giusto il tempo di appendere i cartelli del «Lotto 0» e di dare un nome criptico ai lavori («interventi per lo spostamento dei sottoservizi»), ed ecco partire il coro delle motoseghe. Questa volta però gli spazi recintati e i grandi alberi abbattuti si trovavano all’interno di parchi e giardini, dove giocano bimbi e bimbe, la gente passeggia, i cani scorrazzano. L’ufficio segnalazioni del quartiere San Vitale ha ricevuto decine di richieste di chiarimento. Quanti tronchi sono stati tagliati? Che genere di lavori verranno eseguiti? Quanto dureranno? Nessuna risposta, alla faccia del «piano di comunicazione costante per informare efficacemente le comunità locali», ovvero una delle dodici migliorie che hanno convinto gli ex-oppositori di Coalizione Civica ad appoggiare l’opera.
3. Arboricidio (la somma non fa il totale)
Di fronte alle critiche, il Comune ha chiesto ad Autostrade di accelerare i tempi delle piantumazioni, quasi che gli alberi fossero una voce di bilancio. Ne tolgo 2936 già cresciuti, annuncio che pianterò 34 mila virgulti (dove? quando?) et voilà, il saldo è positivo.
L’assessore regionale alle infrastrutture Andrea Corsini si è affrettato a ribadire che verrà creato «un bosco di 130 ettari». La superficie, in realtà, è la somma (arrotondata) delle opere a verde previste dal progetto.
In queste «opere a verde» rientra il rinnovo di arredi (panchine, staccionate, ecc.) in dodici ettari di parchi. Il che è una buona cosa, ma è scorretto conteggiare quella superficie come “bosco”. E la manutenzione dei giardini pubblici è un compito dell’amministrazione, senza bisogno di allargare un’autostrada.
Ci sono poi 46 ettari di fasce arbustive o arboreo-arbustive. Si tratta per lo più di piante che verranno messe a dimora sulle scarpate dell’autostrada. Singoli filari di pruni, melograni, aceri e ciavardelli, alternati a rosa canina, viburno, sambuco, corniolo. Oppure, sempre sulle scarpate, cinque ranghi di arbusti misti. Nulla che possa somigliare, nemmeno in futuro, a un bosco.
A questi si aggiungono 29 ettari di nuovi parchi pubblici, che saranno certamente alberati, ma questo non li trasforma in boschi. Inoltre, se a San Donnino diventerà parco un campo coltivato di undici ettari, uno dei pochissimi che ancora esistono nell’area urbana a sud della Tangenziale, in cosa consiste il risultato positivo? Per quale motivo “il verde” cittadino dev’essere omologato e ridotto a una sola tipologia, ovvero quella del giardino ben curato?
Stesso discorso in zona Birra: cinque ettari di terreno incolto saranno per cinque anni un cantiere, dopodiché verranno trasformati in parco, ma lasciandoli in pace sarebbero già uno spazio verde, fruibile, dotato di piste e sentieri.
Le fasce arboree (33 ettari) e la forestazione di parchi esistenti (19 ettari) sono gli unici due interventi che possano vagamente ricordare un bosco. Farnie, pioppi, olmi, tigli, frassini, aceri. Dieci file di piante ad alto fusto distanziate di due metri per tre. Sulla scelta delle specie, c’è già chi solleva grossi dubbi. Quanti decenni impiega una quercia a diventare adulta?
In ogni caso, più della metà di questi “boschi” rimpiazzerà i boschi ripariali del fiume Reno e del torrente Savena distrutti dall’opera (30 ettari).
L’intervento di “forestazione” riguarda invece il Parco Nord, uno spazio mal messo, terra da eventi e feste dell’Unità, che verrà sistemato e riempito di fronde. Bellissima idea, nata fuori dal progetto di Autostrade, ma poi vincolata al Passante, per usarla come ricatto, insieme a piste ciclabili e sottopassi rigenerati. «Se volete una cosa, vi tocca prendere anche l’altra», è il ritornello che si sente ripetere. E così un’opera da due miliardi di euro, profondamente ingiusta, malsana e retriva, vuole colonizzare le periferie di Bologna in cambio di una manciata di perline verdi.
4. Offensiva d’asfalto
Ma il tocco mortale del Passante non ha colpito solo i parchi a ridosso della Tangenziale, cioè i giardini Montale a Scandellara e le fasce boscate dell’Arcoveggio e della Pescarola. Scavatrici e trituratori sono entrati in azione anche in aree più distanti, come di fianco al centro sportivo Lame, perché la Grande Opera non ha mai un impatto lineare, e sparge all’intorno asfalto al posto di aiuole, tigli e coltivi.
Con il «restyling» dell’uscita San Donato un terreno agricolo di ben sette ettari sarà occupato da una rotatoria e dalle sue bretelle.
Sei chilometri più a ovest, la nuova uscita “Lazzaretto” vomiterà automobili sullo spicchio di città con la più bassa densità abitativa, un territorio sorprendente di campi e boscaglie che negli ultimi anni ha visto spuntare: la nuova sede di Ingegneria; un supermercato Eurospin; la monorotaia sopraelevata per la navetta stazione-aeroporto (il Marconi Express, già «People Mover») e l’unica fermata intermedia di quest’ultima, per ora in mezzo al nulla, ma in realtà pronta a servire le persone che dovrebbero insediarsi lì, nel campus universitario e in duemila abitazioni, in gran parte ancora da costruire.
Chi s’immagina che l’allargamento dell’A14/Tangenziale consista solo nell’aggiungere, su ciascun lato dell’infrastruttura, otto metri di carreggiata, dovrebbe leggere la sfilza di nuove opere stradali previste: sette cavalcavia; tre svincoli in uscita; dieci nuove rotonde; una bretella di collegamento; cinque varianti della viabilità esistente.
Sette anni or sono, l’assessore alla mobilità Irene Priolo, oggi vicepresidente della Regione al posto di Elly Schlein, dichiarò che il Passante avrebbe sbloccato infrastrutture «che i bolognesi attendevano da trent’anni». E quindi all’elenco di cui sopra si aggiungono: il terzo lotto della Lungosavena (due chilometri a due corsie per senso di marcia, più un viadotto); il nodo di Funo (tre nuove rotatorie, un cavalcavia, una nuova bretella lunga 600 metri); il completamento dell’Intermedia di Pianura (nove chilometri di nuova strada, cinque chilometri “potenziati”, otto rotatorie e un cavalcavia); il nuovo ponte sul Reno Triumvirato-Chiù (ovvero il quinto in due chilometri e mezzo, più quello della ferrovia ad Alta Velocità, e compresi i due nuovi viadotti dell’A14/Tangenziale, che scavalcherà il fiume sdoppiandosi in due impalcati).
Queste le opere direttamente collegate al Passante. Ma la cura d’asfalto che Autostrade somministrerà a Bologna prevede una dose ancora più massiccia: lungo l’A14, i sette chilometri della Complanare Nord, il nuovo casello di Ponte Rizzoli, e da lì l’ampliamento a quattro corsie fino alla diramazione per Ravenna (circa 27 km e altrettanti ettari di suolo ricoperto), oltre ai nuovi svincoli di Dozza e Solarolo; sull’A13, la terza corsia fino a Ferrara Sud (32 km e 32 ettari) e il nuovo svincolo di via Aposazza.
5. La «guerra alle emissioni» non avrà luogo
Tutto questo accade in un Comune che nel 2019 ha dichiarato l’emergenza climatica, figura tra le cento città europee che intendono raggiungere la neutralità carbonica ed è pronto a convocare l’assemblea cittadina per il clima.
L’obiettivo di azzerare le emissioni di anidride carbonica e di altri gas serra si può ottenere in vari modi. L’impegno principale dovrebbe essere quello di abbatterle. Alberi e piante possono servire a compensarle, a patto che non si finisca per usarli come “automobili al contrario”, macchine verdi da installare perché assorbano certi elementi chimici invece di produrli.
Su questo tema, la posizione di Autostrade non è chiara.
Nel giugno 2017, la Regione Emilia Romagna presentò le sue richieste d’integrazione alla procedura di valutazione d’impatto ambientale del Passante. La domanda numero 4.44 sollecitava una stima delle emissioni veicolari totali di CO2 nei diversi scenari: attuale, programmatico e progettuale.
La risposta arrivò in forma di tabella e dal raffronto tra le varie colonne risultò che il Passante avrebbe prodotto più anidride carbonica dell’A14/Tangenziale senza allargamento. Nel complesso, considerate anche le altre strade, il nuovo progetto avrebbe comportato un aumento dello 0,38% rispetto agli ultimi dati disponibili, quelli del 2014.
Oggi Autostrade dichiara che la green infrastructure farà risparmiare 70 milioni di chilogrammi di CO2 all’anno. Viene da chiedersi se un risultato così diverso, rispetto a sei anni fa, sia attribuito a qualche ettaro di “bosco” in più e alle famigerate migliorie introdotte nel frattempo.
In cerca di lumi sul sito del proponente, si rimane ancor più disorientati, perché nel testo introduttivo compare la cifra suddetta – «70 milioni di chilogrammi» – mentre nel video promozionale, al minuto 1.27, una scritta in sovrimpressione promette il «contenimento delle emissioni con -1350 tonnellate di CO2 all’anno», cioè un milione e 350 mila chili. Un milione o settanta?
Del resto, il sito del comune di Bologna, nella cronologia dei lavori, calcola cinque anni di cantieri, mentre nel video sulla stessa pagina, realizzato ai tempi del “confronto pubblico”, ancora si parla di “solo tre anni” (ed è uno dei vantaggi elencati rispetto ad altre soluzioni progettuali che… avrebbero richiesto cinque anni). Tre o cinque? Più probabile tre più cinque.
Allo stesso modo, ballano le cifre sulle opere verdi (140 ettari per il Comune, 160 per autostrade) e quelli sulle barriere fonoassorbenti (18 chilometri o 20?).
Di fronte a questi dati messi giù un tanto al chilo, l’Assemblea No Passante ha formalizzato la richiesta di una Valutazione di Impatto Sanitario dell’opera: ché almeno sulla salute ci si possa veder chiaro, dato che intorno alla Tangenziale/A14 si concentrano le zone della città con il maggior rischio di mortalità relativo.
Inoltre, gli studi sull’inquinamento inseriti nel progetto definitivo risalgono ormai al 2016, si basano su stime e modelli matematici, e prendono in considerazione i valori registrati l’anno prima. Tant’è che proprio in questi giorni Autostrade ha chiesto una proroga al provvedimento di compatibilità ambientale (V.I.A.) ottenuto ad aprile 2018 e valido cinque anni. Per farlo, ha dovuto redigere un aggiornamento del suo studio sull’impatto ambientale dell’opera e in particolare sull’atmosfera, dal quale risulterebbe «un trend in leggera diminuzione degli inquinanti», basato per lo più sulle rilevazioni del 2020, ovvero l’anno del confinamento in casa per contenere il virus Sars-Cov2 (e, indirettamente, anche le emissioni di particolato e biossido d’azoto).
Oltretutto, le tre centraline per l’analisi dell’aria di Bologna si trovano ben lontane dall’A14/Tangenziale. Dal 2016 fino a oggi, si sarebbe potuta monitorare quella zona specifica e avere così ben sette anni di dati su cui ragionare. Invece, soltanto da poche settimane sono state piazzate le centraline per la rilevazione ante operam, con i lavori «propedeutici» già partiti e a meno di un anno da quelli di allargamento. Una scelta che trasuda cattiva coscienza.
6. Medaglia di platino al valore
Ben lungi dal rispondere agli interrogativi sulla salute, il sindaco Lepore e il governatore Bonaccini preferiscono esibire la certificazione Envision® di livello Platinum per l’elevata sostenibilità socio-ambientale del Passante. Il prezioso bollino è stato assegnato grazie alle verifiche di ICMQ,«un organismo di certificazione di terza parte» che ha per soci effettivi: Enel; Rete ferroviaria italiana; Associazione italiana operatori nel settore bitumi; Associazione italiana tecnico economica del cemento; Associazione nazionale produttori manufatti in calcestruzzo; Confindustria ceramica e via così, di conglomerato in conglomerato. Forse qualcosa ci sfugge, ma in che modo questi soggetti possono essere «terzi» nel certificare la sostenibilità di un’infrastruttura che porterà profitti al loro settore?
Per lo meno, quando il TAR dell’Emilia Romagna ha dovuto valutare se la nuova seggiovia sul Corno alle Scale fosse nuova – e non una semplice sostituzione di due esistenti – si è rivolto a un ingegnere dell’Università di Ferrara e non all’Associazione Nazionale Esercenti Funiviari. Il verificatore ha verificato e ha rispedito la domanda al mittente, dichiarando di non avere le competenze per rispondere in maniera esaustiva. Come a dire che non serve un tecnico delle costruzioni per decidere se sia davvero “nuovo” un impianto che gli stessi proponenti, nelle loro carte, chiamano «nuova seggiovia Polla – Lago Scaffaiolo». Serve piuttosto un lessicografo, oppure un esperto di leggi e codici, e così la palla è tornata ai giudici amministrativi, che dovrebbero esprimersi proprio in questi giorni.
Nel frattempo, «l’ambientalista» Elly Schlein ha formato la squadra per la segreteria del “nuovo” PD e come responsabile organizzativo ha scelto Igor Taruffi. Già consigliere comunale a Porretta Terme (con Rifondazione comunista), poi consigliere regionale (con Sinistra Ecologia e Libertà ed Emilia Romagna Coraggiosa), quindi assessore regionale al Welfare, Politiche giovanili e Politiche per il sostegno e lo sviluppo della Montagna e delle aree interne. Da poco iscritto al Partito Democratico. Chi s’è battuto in questi anni contro l’allargamento del comprensorio sciistico del Corno alle Scale lo conosce come uno degli irriducibili sostenitori del progetto.
Un’ulteriore conferma che l’Emilia Romagna spinge sulla scena nazionale coloro che, coperti da autonarrazioni di comodo e greenwashing, meglio difendono asfalto, cemento, motori, plastica, turismo pesante, sfruttamento intensivo degli esseri viventi e sci senza neve.
Se vogliamo una vera transizione energetica e una svolta ecologica, la classe dirigente emiliano-romagnola è l’ultima a cui dobbiamo guardare.
7. No Passante Trek – parte seconda
Per toccare con mano e calcare coi piedi quel che sta succedendo lungo la Tangenziale di Bologna ci vediamo domenica 16 aprile alle ore 14.30 al Parco delle Caserme Rosse. Da lì partiremo per una camminata a tappe, organizzata insieme al collettivo Amanda, visitando alcuni dei luoghi già sconvolti o che saranno sconvolti dalla Grande Opera.
Si tratta della seconda puntata dopo quella del 3 settembre scorso.
Tutti i dettagli qui.
Il giorno seguente, lunedì 17 aprile, alle 16.30, sotto Palazzo D’Accursio, in Piazza Maggiore, spentolata rumorosa per rompere il silenzio del Comune e del sindaco sulla Valutazione d’Impatto Sanitario chiesta dall’Assemblea No Passante.
Tutti i dettagli qui.
12/4/2023 https://www.wumingfoundation.com/
Foto in Home page: Marzo 2023. Alberi abbattuti al Giardino Eugenio Montale di Bologna. Foto tratta dal blog di Gianni Tugnoli Tgcoop.
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