Università israeliane: il giro di vite
La polizia israeliana arresta una manifestante durante una protesta contro il procedimento penale a carico della professoressa Nadera Shalhoub-Kevorkian, Gerusalemme, 19 aprile 2024. Foto AP/Mahmoud Illean
di Neve Gordon e Penny Green,
The New York Review, 5 giugno 2024
Lo scorso ottobre, gli studenti e gli accademici palestinesi in Israele hanno dovuto affrontare sanzioni senza precedenti per le loro parole. La repressione persiste ancora.
Il 18 aprile la polizia israeliana ha arrestato la studiosa Nadera Shalhoub-Kevorkian nella sua casa nel quartiere armeno di Gerusalemme. La studiosa, ormai sessantatreenne, si occupa da decenni della repressione operata dallo stato sui bambini palestinesi a Gerusalemme Est, ma l’arrivo della polizia alla sua porta è stato comunque uno shock. Le hanno confiscato il cellulare, il computer, i poster realizzati dall’organizzazione no-profit Defense for Children International e diversi libri di Mahmoud Darwish; l’hanno inoltre accusata di “grave incitamento contro lo stato di Israele per le dichiarazioni rilasciate contro il sionismo e per aver affermato che Israele sta attualmente commettendo un genocidio a Gaza”.
Shalhoub-Kevorkian, cittadina palestinese di Israele, è titolare della Cattedra di Diritto Lawrence D. Biele presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. (È anche una nostra collega alla Queen Mary University di Londra.) Per sei ore la polizia l’ha interrogata in merito ai suoi articoli accademici e alle sue dichiarazioni pubbliche rilasciate dal 7 ottobre in poi. Le hanno poi ammanettato polsi e caviglie e l’hanno portata al Russian Compound, un centro di detenzione situato vicino al municipio di Gerusalemme. La donna ha raccontato ad Haaretz che una poliziotta l’ha spogliata, l’ha maledetta, l’ha accusata di far parte di Hamas e le ha detto di “darsi fuoco” e “morire”.
Un secondo agente l’ha portata in una cella, ha gettato un materasso sul pavimento e l’ha chiusa dentro. “Tremavo dal freddo”, ricorda la donna.
Ho chiesto una coperta e me ne hanno portata una che puzzava di spazzatura e urina ed era anche bagnata. Sono rimasta seduta sul letto fino al mattino, le orecchie e il naso hanno iniziato a sanguinare, ho vomitato, mi sono lavata la faccia e sono tornata a letto. Non so come una cosa del genere possa accadere a una persona della mia età. La luce era molto forte e c’era rumore. Il freddo era terribile, mi battevano i denti; anche se la coperta puzzava ed era bagnata, alla fine mi sono coperta perché non riuscivo a sopportare il freddo.
Durante l’udienza del mattino seguente, il procuratore di stato ha chiesto alla Corte Magistrale di Gerusalemme di prolungare la detenzione di Shalhoub-Kevorkian. Il giudice, non avendo prove che la donna rappresentasse un pericolo, ha respinto la richiesta; la donna è stata rilasciata su cauzione. Da allora, ci ha detto in una recente conversazione, è stata convocata per altri tre interrogatori.
L’attivita di ricerca di Shalhoub-Kevorkian ha gettato luce sul trattamento degradante e disumano che Israele riserva ai bambini e ai giovani palestinesi: secondo Defense for Children International, nel decennio che ha preceduto l’attuale guerra di Gaza, quasi mille minori sono stati uccisi e migliaia incarcerati da soldati e coloni israeliani; solo nel 2019, secondo le Nazioni Unite, quasi 1.500 sono stati mutilati dalle forze israeliane. L’autrice definisce queste pratiche “disinfantilizzazione”, un processo di dura sottomissione. “Anche se mi sono documentata su queste cose”, ha detto ad Haaretz, “non le avevo mai sentite sulla mia carne”.
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Il 26 ottobre – quando Israele aveva già ucciso più di settemila palestinesi a Gaza, di cui quasi tremila erano minori – Shalhoub-Kevorkian ha firmato e fatto circolare una petizione intitolata “Ricercatori e studiosi dell’infanzia chiedono il cessate il fuoco immediato a Gaza”. La petizione, che ha raccolto 2.492 firme di studiosi di tutto il mondo, chiedeva un cessate il fuoco immediato e la fine del “genocidio israeliano sostenuto dall’Occidente” e della “grave violazione dei diritti dei minori palestinesi”.
Tre giorni dopo il presidente della Hebrew University, Asher Cohen, e il suo rettore, Tamir Sheafer, hanno inviato una lettera a Shalhoub-Kevorkian. Erano “stupiti, disgustati e profondamente delusi” dalla sua decisione di firmare il documento, un atto “non molto lontano dai crimini di incitamento e sedizione”. Le azioni di Israele a Gaza, hanno insistito, “sono ben lontane dalla definizione di genocidio”. Il massacro di Hamas del 7 ottobre, invece, soddisfa “completamente” la definizione. “Siamo dispiaciuti e ci vergogniamo che l’Università Ebraica includa tra i suoi membri di facoltà una come lei”, hanno concluso. “Viste le sue convinzioni, riteniamo che sia opportuno che lei prenda in considerazione la possibilità di lasciare la sua posizione”.
I membri della comunità universitaria hanno poi diffuso la lettera sui social media, dove Shalhoub-Kevorkian ha ricevuto una valanga di messaggi di odio e minacce violente. Ma tutto ciò che aveva detto e fatto era conforme alla legge e il suo incarico la proteggeva dal licenziamento. In effetti, i dirigenti dell’università avevano fatto ricorso all’intimidazione per indurla ad andarsene.
Shalhoub-Kevorkian ha deciso di rimanere. Nel marzo successivo è stata intervistata nel podcast Makdisi Street e ha fatto commenti per i quali è stata ulteriormente accusata. Ha fatto riferimento alla politica israeliana di trattenere i cadaveri dei palestinesi uccisi in operazioni militari o morti in custodia, una pratica ampiamente documentata da gruppi per i diritti come B’Tselem e Human Rights Watch e da una serie di cause della Corte Suprema a partire almeno dal 1981. In seguito la conversazione si è spostata sulla percezione che Israele stesse usando le accuse di violenza sessuale commesse dai militanti di Hamas il 7 ottobre per giustificare la sua violenza a Gaza. Lei ha denunciato gli abusi sessuali senza mezzi termini. “È una cosa che non condonerò mai, né agli israeliani né ai palestinesi, mai a mio nome. Se una donna dice di essere stata violentata, le crederò”, ha detto. “Il problema è: Israele permette una corretta raccolta delle prove?… Non vediamo donne che escono allo scoperto e dicono cosa è successo, quindi i corpi delle donne vengono usati come armi politiche”.
Poco dopo che un giornalista della televisione israeliana aveva riferito queste osservazioni, un membro della Knesset -il parlamento israeliano- di nome Sharren Haskel ha chiesto all’Università Ebraica di intervenire. In una dichiarazione pubblica di risposta, il presidente e il rettore hanno ribadito di vergognarsi della presenza di Shalhoub-Kevorkian nella loro facoltà. Accusandola di aver usato “cinicamente” la libertà di parola e la libertà accademica per “dividere e incitare”, l’hanno sospesa da ogni responsabilità didattica. Hanno concluso dichiarando la loro istituzione un’università sionista, sottintendendo che in essa non c’è posto per studenti, docenti o dipendenti non sionisti o antisionisti. Dopo una serie di lettere da parte di membri della facoltà – che sostenevano che il presidente e il rettore avevano oltrepassato la loro autorità – e di accademici dall’estero, i dirigenti dell’università si sono incontrati con Shalhoub-Kevorkian e hanno annullato la sospensione sulla base del fatto che lei, secondo Haaretz, aveva chiarito la sua posizione sulle accuse di stupro. Tre settimane dopo è stata arrestata.
Come si spiega l’intensità degli attacchi contro Shalhoub-Kevorkian? La sua vicenda sottolinea quanto possa essere fragile la libertà accademica quando subisce pressioni politiche. Inoltre, offre una visione sull’assalto che gli studenti e le studentesse palestinesi dell’istruzione superiore israeliana hanno subito dopo il 7 ottobre. Nelle tre settimane successive all’attacco di Hamas, oltre un centinaio di studenti palestinesi in Israele, di cui quasi l’80% donne, hanno dovuto affrontare azioni disciplinari per aver pubblicato sui social media post che sostenevano la fine dell’assedio a Gaza, celebravano l’abbattimento della barriera di confine con Gaza, esprimevano empatia nei confronti dei palestinesi della Striscia o semplicemente includevano immagini sui bambini palestinesi. Quando si è saputo di arresti, indagini, sospensioni ed espulsioni, molti studenti e docenti palestinesi hanno smesso di postare o condividere sui social media. Il trattamento riservato, mesi dopo, a Shalhoub-Kevorkian ha reso evidente che l’ondata di repressione non si è affatto placata.
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Con l’eccezione di una manciata di scuole primarie e secondarie miste, che accolgono circa duemila degli oltre due milioni di scolari israeliani, le università israeliane sono le uniche istituzioni educative in cui si incontrano studenti palestinesi ed ebrei. Nel corso degli anni le iscrizioni sono aumentate tra i palestinesi, che costituiscono il 20% dei cittadini del paese e attualmente rappresentano poco più del 16% degli studenti di primo ciclo, l’11% degli studenti di master e l’8% degli studenti di dottorato. Da tempo sono soggetti a sanzioni sproporzionate per i loro discorsi. Nel suo libro Towers of Ivory and Steel: How Israeli Universities Deny Palestinian Freedom (Verso, 2024), l’antropologa Maya Wind racconta che nel 2002, al culmine degli attacchi militari israeliani in Cisgiordania, gli studenti palestinesi dell’Università di Haifa sono stati sospesi per aver protestato pacificamente. All’epoca costituivano una minoranza del corpo studentesco, ma tra quell’anno e il 2010 hanno rappresentato oltre il 90% degli studenti convocati davanti alle commissioni disciplinari. Tra il 2010 e il 2015 la probabilità di essere convocati è rimasta tre volte superiore a quella dei loro coetanei ebrei.
Nel 2007 la Knesset ha approvato la “Legge sui diritti degli studenti“, che specifica che “un’istituzione stabilirà e renderà pubblico, in conformità con le disposizioni della presente legge, un codice comportamentale per la condotta dei candidati e degli studenti per quanto riguarda i loro studi presso l’istituzione, compreso il comportamento durante le lezioni e nelle strutture dell’istituzione, nonché nei dormitori degli studenti”. Da nessuna parte la legge dà agli istituti di istruzione superiore l’autorità di monitorare e perseguire gli studenti per le loro dichiarazioni o attività extramurali, compresi i post su account privati di social media. Eppure molti comitati disciplinari hanno oltrepassato la loro autorità per fare proprio questo.
Anche gli studenti palestinesi, pur consapevoli dei precedenti periodi di repressione, non potevano prevedere quanto le università avrebbero ignorato tali protezioni dopo l’attacco di Hamas. Le sospensioni sono iniziate nel giro di pochi giorni. Il 9 ottobre l’organizzazione per i diritti umani Adalah, che lavora con i cittadini palestinesi di Israele, aveva ricevuto una richiesta di assistenza legale per sette studenti palestinesi temporaneamente sospesi dall’Università di Haifa. A differenza di Shalhoub-Kevorkian, sono stati puniti per i post condivisi tra amici o su account privati di social media. Il rettore dell’università, Gur Alroey, ha dichiarato ad Haaretz che i loro post erano espressioni di sostegno all’attacco di Hamas. I media israeliani hanno riferito che il rettore ha inviato agli studenti un secco e-mail: “Alla luce delle vostre dichiarazioni sui social media e del vostro sostegno all’attacco terroristico contro gli insediamenti che circondano Gaza e all’uccisione di innocenti, siete sospesi dagli studi all’università fino a quando la questione non sarà indagata”. Adalah, in una petizione legale all’inizio di quest’anno, ha sottolineato che gli studenti hanno “ripetutamente chiarito che si oppongono alla violenza contro i civili”.
Di solito Adalah si occupa ogni anno di una manciata di reclami di studenti. Ora, invece, è stata sommersa da decine di richieste di rappresentanza legale. È diventato chiaro che organizzazioni di destra come Im Tirzu -che monitora i membri delle facoltà nell’ambito del progetto “Individua il Professore Israeliano Antisionista” e che, secondo una sentenza del Tribunale di Gerusalemme, ha “caratteristiche fasciste” – stavano analizzando i post dei cittadini palestinesi sui social media. Ben presto gli studenti sionisti hanno messo insieme dei dossier sugli account privati dei loro compagni di classe palestinesi.
Al Technion, l’istituto di tecnologia israeliano, gli studenti hanno fatto circolare su WhatsApp e Telegram una presentazione in PowerPoint che includeva schermate di post sui social media insieme a informazioni accademiche su sedici studenti palestinesi e brevi spiegazioni sulle “infrazioni” da loro commesse. Nel documento, condiviso da Adalah, uno studente è stato denunciato per aver apprezzato l’immagine su Instagram di un bulldozer che sfonda la barriera di Gaza. Gli studenti sionisti delle università e dei college hanno presentato decine di denunce contro i loro compagni palestinesi, che nel giro di pochi giorni sono stati sottoposti a indagini, procedimenti disciplinari, sospensioni ed espulsioni, spesso senza udienze. Alcune istituzioni hanno sfrattato dai loro dormitori gli studenti accusati.
Il 12 ottobre il ministro dell’Istruzione israeliano, Yoav Kish, che presiede il Consiglio per l’Istruzione Superiore del paese, ha pubblicato una lettera in cui si intima alle università e ai college di “sospendere immediatamente qualsiasi studente o dipendente che sostenga i barbari atti terroristici subiti dallo stato di Israele, o che sostenga un’organizzazione terroristica, un atto di terrorismo, un nemico o uno stato nemico”. Tutte queste dichiarazioni, ha scritto, equivalgono all’incitamento al terrorismo. “Nei casi in cui l’incitamento è confermato”, ha proseguito, le università devono “emettere espulsioni o licenziamenti permanenti”. Il 17 ottobre Kish ha approvato una risoluzione che richiede alle università di riferire al Consiglio su come hanno trattato gli studenti che “incitano e sostengono Hamas”. I dirigenti universitari si sentivano offesi perché il governo sembrava non fidarsi di loro.
Alcune università sono state sommerse da denunce. Alcune hanno istituito comitati di controllo per vagliare i post sui social media e determinare quali studenti sospendere, mentre un comitato disciplinare decideva se gli studenti in questione potessero continuare i loro studi. Questi comitati, consapevolmente o meno, hanno anche aiutato le loro istituzioni a censurare gli studenti. L’Università Bar Ilan ha twittato di aver istituito un comitato composto da esperti accademici, legali e di sicurezza per esaminare le dichiarazioni rilasciate da membri della comunità universitaria che si identificano con il terrorismo o sono impegnati in incitamenti o razzismo. Il tweet includeva l’indirizzo e-mail del rettore, al quale i cittadini potevano inviare reclami.
“Nelle due settimane successive all’attacco”, ci ha detto l’avvocato Adi Mansour, che lavora per Adalah, “ci siamo trovati a rappresentare settantaquattro studenti palestinesi in venticinque istituti di istruzione superiore, tra cui tredici della Bezalel Academy of Arts and Design e sette dell’Università di Haifa”. Molti altri studenti sono stati rappresentati da Academia for Equality o da avvocati privati. La stragrande maggioranza è stata sospesa, secondo Mansour, per aver espresso solidarietà con i palestinesi di Gaza, dimostrato compassione per le loro sofferenze o citato versetti del Corano. Nella maggior parte dei casi, l’istituto ha fatto notare che, come parte della procedura, aveva anche inviato i dettagli degli studenti sotto indagine alla polizia.
Lubna Tuma, un’altra avvocatessa di Adalah, ci ha raccontato che diversi studenti sono stati arrestati, interrogati e persino incriminati per aver pubblicato un’immagine del 7 ottobre di ragazzi palestinesi che gioiscono su una jeep militare israeliana catturata. Gli studenti sono stati spogliati, perquisiti e umiliati. Una studentessa ventitreenne del Technion ha raccontato al Washington Post che, dopo aver postato un video di cucina l’8 ottobre con la didascalia “oggi mangiamo la shakshuka della vittoria”, è stata sottoposta a tre perquisizioni integrali ed è stata svegliata per l’appello a ogni ora della notte. Alcuni sono stati schiaffeggiati e spintonati; altri hanno affermato che le guardie li hanno esposti al freddo, hanno dato loro cibo non “adatto agli animali”, li hanno spostati da una struttura all’altra e li hanno tenuti in stanze chiuse per ore e ore prima di trasferirli in celle gravemente sovraffollate. La stessa studentessa del Technion ha raccontato aPBS Newshour ciò che era accaduto ad altre studentesse nella sua cella: “Io avevo il mio hijab, ma le altre ragazze le hanno prelevate dalle loro camere da letto e non era stato permesso loro di mettersi il velo in testa. Poi hanno messo dei sacchi della spazzatura sulla loro testa “.
In un altro caso, circa sessanta agenti di polizia hanno fatto irruzione nella casa della famiglia di uno studente. Lui era al lavoro, quando ha saputo dell’irruzione, si è recato alla stazione di polizia, dove è stato interrogato e poi portato alla prigione di Megiddo e detenuto in condizioni che gli avvocati hanno definito “deplorevoli”. Dopo due settimane è stato rilasciato nel cuore della notte. Non è mai stata formulata alcuna accusa nei suoi confronti.
Gli avvocati di Adalah hanno assistito gli studenti universitari e delle scuole superiori nelle loro udienze disciplinari. Lubma Tuma, che ha assistito a più di settanta procedimenti disciplinari negli ultimi otto mesi, ce li ha descritti come farseschi e draconiani. In un caso ha difeso uno studente sospeso per aver condiviso il 7 ottobre il versetto coranico “Il tempo stabilito per loro è il mattino. Non è forse vicino il mattino?”. Con una completa inversione della presunzione di innocenza, ricorda Tuma, i giudici si aspettavano che lo studente li convincesse di non sostenere il terrorismo. Gli hanno chiesto perché non avesse condiviso post che condannavano Hamas o chiedevano la restituzione degli ostaggi israeliani.
La colpa principale, in molte udienze, è sembrata a Tuma quella di “ferire i sentimenti del pubblico”. Ma come si può dimostrare che i sentimenti del pubblico sono stati feriti, in particolare da post condivisi solo su account privati con piccoli gruppi di amici? E cosa si intende per “pubblico”? “Nell’immaginario della maggior parte dei giudici accademici che siedono nelle commissioni disciplinari”, ha detto, “sembra indicare solo la cittadinanza ebraica di Israele”. Tuma ha ricordato un’udienza all’Università Ben-Gurion in cui la commissione disciplinare ha invitato uno studente i cui familiari sono stati uccisi il 7 ottobre a dimostrare che il post in questione era offensivo.
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In alcuni casi le commissioni disciplinari hanno emesso il loro verdetto, ma gli studenti di destra hanno poi preso in mano la situazione. Al Ben-Gurion, una commissione ha deciso di non sospendere una studentessa palestinese di infermieristica che aveva condiviso un video che negava alcune delle violenze avvenute il 7 ottobre. L’istituto l’ha soltanto rimproverata e le ha chiesto di prestare quaranta ore di servizio alla comunità. Gli studenti di un gruppo WhatsApp hanno reagito al verdetto con una minaccia: “Se lei rimane in questo corso, nessuno inizierà l’anno – l’università sarà messa sottosopra”.
L’università ha annunciato che avrebbe fatto ricorso contro la decisione della commissione e, secondo Haaretz, il rettore, Chaim Hames, ha inviato un’e-mail alla studentessa, usando ancora una volta i toni dell’intimidazione: “Mi sembra sbagliato che tu possa tornare a scuola domani come se nulla fosse accaduto. Ti consiglio di non venire in classe domani e di studiare per i prossimi giorni da sola in biblioteca o in qualsiasi altro posto tu ritenga opportuno”. Nella sentenza di appello, la studentessa è stata dichiarata colpevole e sospesa per un trimestre, ma poiché tutti i corsi della facoltà di infermieristica durano un anno, è stata in realtà sospesa per un tempo doppio.
Questo non è stato l’unico o il primo appello alla giustizia popolare. Già il 16 ottobre il presidente dell’Unione Nazionale degli Studenti Israeliani aveva pubblicato una lettera in cui suggeriva di allontanare dalle università e dai college gli studenti palestinesi che avessero sostenuto il terrorismo. Nemmeno due settimane dopo, un gruppo di studenti sionisti ha cercato di fare irruzione nei dormitori universitari della città di Netanya, gridando “morte agli arabi” mentre la polizia rimaneva immobile. A gennaio, su Facebook è circolato un video che mostrava gli studenti dell’Emek Yezreel Academic College avvolti in bandiere israeliane, in piedi sul podio di una classe, dichiarando che “non si sarebbero seduti nella stessa classe con i sostenitori del terrorismo”. A Natale, i palestinesi chiedevano agli avvocati se potevano condividere sui social media immagini di Babbo Natale in mezzo alle macerie di Gaza. Molti studenti palestinesi che se lo potevano permettere hanno cominciato a cercare opzioni universitarie alternative all’estero.
Singoli membri del corpo insegnante hanno contribuito a questo clima ostile. In ottobre un professore della Hebrew University ha pubblicato un video, ora cancellato, in cui paragonava Hamas ai nazisti e sosteneva la necessità di una “Nakba 2” a Gaza. In un contributo editoriale del 27 ottobre per il quotidiano di destra Makor Rishon, anch’esso concellato, Eviatar Matania, politologo dell’Università di Tel-Aviv, ha chiesto la completa distruzione di Gaza City e la creazione di un parco al suo posto.
Nessuno dei due professori è stato sottoposto a provvedimenti disciplinari. Ma quando, il 14 ottobre, venticinque membri dello staff dell’Università di Haifa hanno scritto una lettera per criticare la sospensione degli studenti palestinesi senza un giusto processo, oltre 10.000 persone hanno firmato una petizione per chiedere il licenziamento di quei venticinque dipendenti.
I docenti accademici palestinesi sono una piccola minoranza: costituiscono solo il 3,5% del personale docente universitario del paese e sono quasi sempre gli unici membri non ebrei dei loro dipartimenti accademici. Anche loro sono stati presi di mira. Il 29 ottobre Arye Rattner, presidente del Kaye Academic College of Education, ha inviato una lettera per informare il personale della scuola che l’amministrazione del college aveva ricevuto diverse lamentele sui social media da parte di studenti e membri della facoltà. “La direzione”, ha scritto, “ha deciso di agire con mano pesante e tolleranza zero nei confronti di questi casi”, tra cui l’espulsione di una studentessa dai suoi studi e il licenziamento di un membro dello staff accademico. “Le pubblicazioni che condannano le attività dei soldati dell’IDF che difendono lo stato di Israele”, ha sottolineato il presidente, “saranno accolte con tolleranza zero”.
Neanche i membri di facoltà ebrei sono rimasti del tutto immuni. Il 25 ottobre Yoseph Frost, presidente del David Yellin Academic College for Education, ha convocato per un’udienza disciplinare Nurit Peled-Elhanan, una rinomata studiosa che studia la rappresentazione dei palestinesi nei libri di testo ebraici per i bambini. La studiosa è stata accusata di aver inviato su un gruppo WhatsApp messaggi che criticavano l’assimilazione di Hamas ai nazisti e di aver richiamato la discussione di Jean-Paul Sartre sulla violenza anticoloniale. Per Frost, queste note su WhatsApp dimostravano “comprensione per l’orribile atto di Hamas” e “giustificazione del loro atto criminale”.
La commissione disciplinare si è accontentata di rimproverare Peled-Elhanan, ma lei si è dimessa. “I valori che conoscevamo sono stati rovesciati da tempo”, ha scritto in un editoriale di Haaretz per spiegare la sua decisione:
Dire che l’attacco e il massacro [di Hamas] sono avvenuti in un certo contesto, e che non si è trattato di un pogrom antisemita nato dal nulla, è considerato un crimine peggiore dell’omicidio in questo paese…. Le parole sono diventate pericolose e i proiettili letali legittimi. Le persone che usano le parole sono perseguitate, mentre gli assassini godono dell’impunità. Una persona che ha bruciato un’intera famiglia è considerata giusta, mentre chiunque osi riconoscere la sofferenza dei residenti di Gaza o della Cisgiordania viene denunciato come sostenitore del terrorismo.
A metà novembre l’Achva Academic College, tra Tel-Aviv e Beer-Sheva, ha licenziato un docente di nome Uri Horesh per due post sulla sua pagina personale di Facebook: il 7 ottobre ha cambiato la sua foto di copertina con una che dice “Liberare il Ghetto Gaza” in ebraico; una settimana dopo ha postato un appello a “porre fine al genocidio ora” e a “lasciare vivere Gaza”. Più di recente Im Tirzu ha raccolto le petizioni firmate dagli accademici e ha inviato i nomi ai gruppi studenteschi, che poi chiedono alle loro università di licenziare i firmatari. Al Sapir College, situato non lontano dalla Striscia di Gaza, un docente di nome Regev Nathansohn ha firmato una petizione che chiedeva all’amministrazione Biden di interrompere il trasferimento di armi e fondi correlati a Israele. È stato denigrato come sostenitore del terrorismo e ha scritto al rettore di sentirsi insicuro nel campus. In risposta, ci ha raccontato, l’università ha approvato un suo congedo non retribuito di sei mesi, nonostante lui non avesse fatto alcuna richiesta in tal senso.
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Il 24 ottobre il Comitato per la Libertà Accademica della Società Britannica per gli Studi sul Medio Oriente (BRISMES)- che uno dei due autori, Neve Gordon, presiede- ha inviato una lettera ai presidenti di tutte le università israeliane, sottolineando l’importanza di difendere i diritti degli individui a esprimere opinioni che altri potrebbero trovare eccessive o provocatorie. La lettera sottolineava anche il dovere istituzionale di prendersi cura degli studenti palestinesi sotto attacco. Tre dirigenti universitari hanno risposto caratterizzando Israele come un’isola di civiltà in mezzo alla barbarie. Sei giorni dopo, l’associazione professionale BRISMES ha inviato al presidente Frost, del David Yellin Academic College for Education, una lettera in cui accusava la sua interpretazione del testo di Peled-Elhanan di essere viziata da pregiudizi. Frost ha risposto con una lettera che diceva, tra le altre cose, “stai attento”.
La repressione non si è chiaramente placata. Lunedì il membro della Knesset Ofir Katz, capogruppo parlamentare dell’attuale coalizione, ha presentato una proposta di legge dedicata alla “rimozione del terrore dal mondo accademico”. Secondo le parole del Jerusalem Post, “la legge costringerebbe le istituzioni accademiche a licenziare i docenti della facoltà che fanno dichiarazioni che negano il carattere di Israele come stato ebraico e democratico o che sostengono le attività terroristiche”. I membri della facoltà in questione, si legge nel documento, non riceverebbero un’indennità di licenziamento. Le istituzioni accademiche che non si adeguano verrebbero sanzionate finanziariamente.
La proposta di legge ha l’appoggio dell’Unione Nazionale degli Studenti Israeliani, che domenica, in una campagna ben coordinata, ha affisso dei cartelloni sulla Ayalon Highway di Tel Aviv con citazioni decontestualizzate di Shalhoub-Kevorkian e della professoressa Anat Matar dell’Università di Tel-Aviv. Matar è stata additata per aver pubblicamente pianto il prigioniero politico palestinese Walid Daqqa, morto in carcere lo scorso aprile dopo trentasette anni di detenzione, nonostante gli fosse stato diagnosticato un cancro nel 2022. La sua salma è stata trattenuta dalle autorità carcerarie.
Lo scorso aprile, il direttore generale di Adalah, Hassan Jabareen, ha rappresentato Shalhoub-Kevorkian nelle udienze sulla sua detenzione. Nelle sue osservazioni conclusive, ha sottolineato che tutti i suoi commenti, comprese le critiche all’esercito, rientrano nella legittima libertà di espressione. Il suo caso, ha osservato Jabareen, è senza precedenti sotto diversi aspetti. È stata la prima volta nella storia di Israele che la Sezione 144d del Codice Penale – la disposizione che criminalizza l’incitamento pubblico e l’incitamento al razzismo – è stata “applicata contro un’accademica per estendere la sua detenzione”; la prima volta che “un’accademica è stata indagata dalla polizia per articoli scientifici pubblicati su riviste internazionali in lingua inglese”; e la prima volta che la polizia ha arrestato qualcuno anche per aver citato resoconti fattuali di Israele che trattiene i corpi dei palestinesi morti.
Jabareen ha anche sottolineato che 150 professori della Hebrew University hanno firmato una lettera aperta di condanna della detenzione di Shalhoub-Kevorkian. Ma è poco probabile che un piccolo gruppo di studiosi dissenzienti possa arginare l’assalto alla libertà di parola all’interno del sistema di istruzione superiore israeliano. Al contrario, gli eventi degli ultimi sette mesi suggeriscono quanto le università del paese siano strettamente allineate agli imperativi dello Stato.
Neve Gordon è autore di Israel’s Occupation e coautore, con Nicola Perugini, di Human Shields: A History of People in the Line of Fire, entrambi pubblicati dalla University of California Press. (Marzo 2024).
Penny Green è un’esperta di crimini di stato e genocidi. È docente di Diritto e Globalizzazione presso la Queen Mary University di Londra e, insieme a Tony Ward, è coautrice di State Crime: Governments, Violence and Corruption e State Crime and Civil Activism: On the Dialectics of Repression and Resistance. (giugno 2024).
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
19/6%2024 https://www.assopacepalestina.org/
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