Uva, lo Stato si assolve per sempre
«Una sentenza sbagliata rimane sbagliata anche se confermata in Cassazione. Ci rivolgeremo alla Corte europea dei diritti dell’uomo», dice l’avvocato Fabio Ambrosetti, legale dei familiari di Giuseppe Uva, alla notizia della conferma dalla Cassazione dell’assoluzione di sei poliziotti e due carabinieri per la morte di Uva, l’operaio deceduto in ospedale a Varese nel giugno del 2008, dopo essere stato portato in caserma a seguito di un controllo. La sentenza è sbalorditiva perché il pg di Cassazione ne aveva chiesto l’annullamento, al termine di una lunga requistoria, per ripetere un processo che ascoltasse i testi Biggiogero, Finazzi e Russo.
“Era pieno di lividi e fratture”
“Aveva segni di bruciature di sigaretta dietro il collo”
“Aveva i testicoli tumefatti”
“Aveva sangue dall’ano”
Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, ricorda questi passaggi dell’autopsia, stringendosi a Lucia Uva e la sua famiglia «per questa grande, ennesima, vergogna dell’inGiustizia Italiana». In aula, con Lucia, anche altri familiari di vittime di abusi come Domenica Ferrulli e Claudia Budroni.
Gli imputati, accusati di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona, erano stati assolti sia in primo grado che in appello, qui con formula piena per tutti «perchè il fatto non sussiste». Il ricorso era stato depositato dalle parti civili e dalla Procura di Milano che aveva chiesto condanne fino a tredici anni di reclusione per gli uomini in divisa. Il Pg della Cassazione Tomaso Epidendio aveva chiesto di riaprire il processo su un caso come quelli di Stefano Cucchi e di Federico Aldrovandi, morti dopo essere stati fermati dalle forze dell’ordine. Malapolizia. Tra un mese circa si conosceranno le motivazioni del verdetto degli ermellini. Intanto il partito trasversale della polizia esulta per una sentenza che direbbe che gli otto avrebbe agito «rispettando le regole del nostro ordinamento», come spiegano i legali delle difese. Ad avviso del Pg milanese Gaballo, invece, la condotta degli imputati sarebbe stata «inequivocabilmente la condizione necessaria» che ha portato alla morte di Uva, mentre nel verdetto di proscioglimento i magistrati di secondo grado scrivevano che non è possibile sostenere il «nesso causale» tra il comportamento di agenti e carabinieri e la morte dell’operaio. In Cassazione, però, la Procura milanese, senza successo, ha insistito nel sottolineare che se gli «imputati non avessero operato al di fuori dei loro poteri, il signor Uva sarebbe tornato a casa e, non subendo alcun trattenimento contro la sua volontà, ammanettato e consapevole dell’ingiustizia che stava subendo, non si sarebbe agitato, non sarebbe stato portato in ospedale – in preda a una fatale tempesta emotiva – non gli sarebbero stati somministrati farmaci e con ogni probabilità sarebbe ancora vivo». In base alle indagini, Giuseppe Uva venne fermato a Varese, in Via Dandolo in pieno centro, nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2008 da due militari mentre stava spostando, con un amico, delle transenne di un cantiere in mezzo alla strada e rovesciando cassonetti. Fu trattenuto per alcune ore in caserma, e secondo l’amico che era con lui, Alberto Bigioggero, Uva fu vittima di un pestaggio e poi venne trasportato in ospedale a Circolo e sottoposto a trattamento sanitario: qui morì la mattina successiva per arresto cardiaco. Nel ricorso in Cassazione il Pg di Milano ha contestato anche l’assoluzione dal reato di sequestro di persona contestato agli imputati in quanto la Corte d’Assise d’Appello avrebbe «travisato i fatti», e avrebbe «erroneamente ritenuto» che «la privazione della libertà di Uva potesse essere legittimata dal dovere di impedire che i reati venissero portati a compimento» anche se per quel tipo di reato non si prevede l’arresto né la tortura. Il 31 maggio del 2018 la Corte d’Assise d’appello di Milano aveva assolto tutti, alleggerendo ulteriormente anche la posizione dei due carabinieri ai quali era stata estesa la formula di assoluzione «perchè il fatto non sussiste» già concessa agli altri imputati fin dal primo grado. «Sono addolorata – commenta Ilaria Cucchi – come semplice cittadina non ho gli strumenti per comprendere tutto questo ma da cittadina, che ha seguito attivamente il processo Uva fin dai primi istanti, andando ad ogni udienza, posso dire che non dimenticheremo Giuseppe». E anche Fabio Anselmo, a lungo legale di parte civile anche in questo caso: «Sono profondamento addolorato, veramente profondamento addolorato. Speravo di non avere questa notizia. Non ho altro da aggiungere». «È una vergogna, purtroppo siamo in Italia. Sono vicino alla sorella Lucia, la sorella di Giuseppe», dice Guido Magherini, padre dell’ex calciatore Riccardo morto dopo essere stato arrestato per strada a Firenze dai carabinieri, assolti anche loro dalla Cassazione. Lo Stato difficilmente si condanna.
Checchino Antonini
8/7/2019 www.popoffquotidiano.it
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