Valerio Verbano 40 anni fa, una storia da guardare oggi
Questo non è un corteo / c’è troppo silenzio / Valerio dove sei / t’avemo tutti / drentro. Questo non è un corteo / ma neppure un funerale / stamo tutti a pesà / quanto sta vita vale. Versi di una canzone forse sgangherata ma soprattutto dimenticata.
È la sera del 22 febbraio 1980, sono passati 40 anni, come scordarla? Non c’erano i cellulari, il solo modo per contattarci erano i telefoni di casa o gli incontri programmati o casuali.Scatta il ricordo personale. Al capolinea dell’autobus 109, in Piazza del Verano fa freddo, si torna a casa presto e le corse sono ancora più scarse di oggi. Sale Teresa, coetanea calabrese, aria sconvolta, mi vede e mi abbraccia: «Ste hai saputo? Hanno ammazzato Valerio». Era avvenuto all’ora di pranzo, a casa sua, in Val Melaina / Tufello, quartiere della periferia est di Roma. Le notizie si susseguono. Lasciamo il bus e ci precipitiamo sotto la sede di Radio Onda Rossa, della nostra radio. Valerio lo conoscevamo in tanti, frequentava l’Archimede, un liceo scientifico e i nostri collettivi, era normale incontrarlo in piazza, nei tanti cortei, nelle interminabili riunioni, forse troppo serio rispetto a noi e perennemente preoccupato dalla crescita delle organizzazioni neofasciste nei nostri quartieri. Si era da un po’ allontanato dalla vita politica più attiva. Bisogno di studiare certo ma anche una traccia, emersa poi negli anni successivi a cui venne data allora scarsa rilevanza.
Valerio indagava, come facevamo (mi si scusi la prima persona plurale ma questo è) sui legami fra i gruppi della destra neofascista a casa nostra e il traffico di eroina. Giravano soldi sporchi e c’erano pezzi di generazione che si stavano bruciando grazie anche a questi circuiti che poco interessavano la magistratura e i palazzi del potere. Erano anni duri, difficili da tradurre oggi, in cui ci si era abituati, in ampi strati del “movimento” al fatto che qualche ragazzo finisse sotto sprangate o colpi di pistola. Avevamo quasi tutti più o meno venti anni e in una città come Roma, allora divisa in zone in cui potevano transitare solo i “rossi” e in altre proibite ai “neri”, sconfinare per sfida, per riappropriarsi del territorio, per affermare un proprio punto di vista, con ogni mezzo necessario, era la norma. Si scendeva in piazza senza avere la certezza di tornare a casa e si viveva in tanti quartieri, oggi rimasti fuori controllo, come spazi in cui riaffermare l’antifascismo come un valore assoluto e totale, non negoziabile. E se le forze democratiche dell’allora arco costituzionale – di cui non faceva parte il Movimento Sociale Italiano – sceglievano la strada della vigilanza democratica, in molte e molti andavamo oltre, pensavamo, forse senza neanche aver troppo torto, che garantire agibilità democratica a determinate forze, a gruppi che teorizzavano il golpe, che hanno per decenni mantenuto legami con gli apparati più torbidi del potere, avrebbe portato ad uno sdoganamento del peggior retaggio fascista. Oggi che vediamo i loro epigoni nei pressi dei palazzi del governo o legittimati a proclamare la propria xenofobia, godere di finanziamenti, a prendersi la piazza per celebrare i loro cupi rituali di morte e di odio diffuso, si resta sconcertati e qualcuno magari si sorprende. Ma dotandosi di minimi elementi di analisi storica era un passaggio ampiamente prevedibile.
Bastava il nostro, forse ingenuo “antifascismo militante” a fermare tale involuzione? Certamente no, sarebbe servito un lavoro continuativo di costruzione di cultura politica democratica, di ripudio di tali nostalgie da ventennio, di semplice applicazione del dettato costituzionale. Non si è fatto ed anche in ragione di questo molti ragazzi hanno perso in cinquanta anni la propria vita-Ma si tratta di vittime tutte uguali e in quanto tali sovrapponibili? No caro Veltroni che dalle pagine del Corriere della Sera ricorda la morte di un ragazzo della galassia neofascista. Ferma restando la pietas che si deve ai morti e partendo dal presupposto, che dovrebbe interrogare tutti, per cui a morire sono stati esclusivamente giovani, a confrontarsi erano due mondi diversi, alternativi, che propugnavano idee di futuro fra loro incompatibili. La vicenda di Valerio Verbano, aggredito in casa con i genitori legati, da ignoti entrati attraverso un sotterfugio e poi ucciso in circostanze mai chiarite, la sparizione di carte con nomi scomodi, troppo importanti forse della borghesia nera romana, non si è fermata con quel brutale omicidio di cui non si sono mai conosciuti mandanti ed esecutori. Il 25 febbraio, a tre giorni dalla morte si tenne un suo funerale laico davanti al cimitero del Verano.
Ogni manifestazione era stata vietata e il funerale, a cui partecipammo in migliaia, venne brutalmente caricato dalla polizia. Chi scrive ricorda ancora di aver visto dalle finestre del vicino commissariato, agenti con il fucile, sparare sulla folla. Per miracolo forse non ci furono altre vittime. Fuggimmo nel cimitero inseguiti dagli agenti e dal fumo dei lacrimogeni, ci ritrovammo smarriti nei quartieri vicini a osservare come ragazzi dall’abbigliamento tipico dei fascisti d’epoca e agenti delle forze dell’ordine si scambiavano informazioni, indicavano dove erano i “compagni” da colpire o da prendere. Una notte tremenda che ci segnò in molti, che ruppe gli argini, che fece capire anche a molti titubanti che per i fascisti c’era protezione per noi solo la caccia all’uomo.
Poco tempo dopo alcune formazioni neofasciste cominciarono a colpire anche esponenti delle forze dell’ordine e magistrati e gli spazi di collusione si restrinsero. Ci accorgemmo che l’aria cambiava quando, insieme ad altri ed altre militanti dell’allora “area dell’Autonomia”, costituimmo il Centro di Documentazione Valerio Verbano. Un’esperienza in cui sono transitati in tanti e tante, in cui raccogliemmo tutto quello che la sinistra “di movimento” produceva non solo in Italia e che dovemmo chiudere perché ci venne raddoppiato l’affitto dei locali che sostenevamo attraverso sottoscrizioni, presentazioni di libri, vendita di riviste, militanza dal basso. Una parte del nostro sterminato archivio è oggi presso il Centro Franco Serantini di Pisa, un’altra, soprattutto i manifesti, presso la libreria anarchica Anomalia, a Roma.
Molti documenti e materiali sono andati dispersi come brandelli della storia di chi doveva sparire, risucchiato fra il fallimento delle piccole organizzazioni, gli ultimi colpi di coda della lotta armata, la stanchezza e il venir meno delle energie. E viene da domandare, a chi oggi fa ricostruzioni di pacificazione prive di un minimo di analisi contestuale, ma non è che siamo tornati in contesti simili? Non è che le nuove forme di repressione che colpiscono soprattutto chi pratica il conflitto sociale, con forme di violenza infinitamente inferiori rispetto al 1980, si ritrovi oggi, grazie anche a queste analisi consolatorie, a subire la violenza del potere costituito e quella dei gruppi più violenti dell’estremismo fascista?
A chi rimuove le ragioni storiche, sociali, culturali, valoriali, politiche di un conflitto profondo e lacerante viene da chiedere: ma non è che si stanno ripetendo gli stessi errori o – più esattamente – le stesse scelte scellerate? “Fumo dei lacrimogeni / sempre più acre e amaro / pagherete tutto si / pagherete caro” No, non ha pagato nessuno, solo i genitori di Valerio e in molti abbiamo ancora in mente Carla che fino all’ultimo ha lottato per avere verità e giustizia, solo i tanti e le tante che quella sera e poi in tante altre sere, hanno scoperto tanto il dolore di una morte inaccettabile quanto la violenza ottusa del potere.
Anche per questo, non solo perché sono passati quaranta anni esatti, sarà importante essere in tante e in tanti, di Rifondazione Comunista, alla manifestazione che partirà sabato 22 febbraio, dalle ore 16.00 da quella che era la sua casa in Via Monte Bianco, dove deporremo, come ogni anno, dei fiori e poi partiremo in corteo per le strade di Val Melaina e di Monte Sacro. Alla sera ci sarà in Piazza Sempione, un concerto antifascista a cui parteciperanno molte band storiche del circuito musicale alternativo romano.
Stefano Galieni
Resp. Comunicazione, pace immigrazione e movimenti PRC-SE
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